Turchia fuori porta

Avventure in scooter e traghetto dall'Italia a Pergamo attraverso l'Egeo: pleinair minimale lungo le rotte fra Europa e Asia.

Indice dell'itinerario

Sui giornali satirici della mia infanzia comparivano le vignette raffiguranti un personaggio famoso per inventarsi glorie, successi e avventure giocando sugli equivoci della lingua. Mi è venuto in mente allorché, tornando dal mio ultimo viaggio su due ruote con lo scooterino di casa bardato a dovere, a chi mi chiedeva «Ma dove ci sei arrivato?» non mi sono trattenuto dal rispondere «Beh, in Asia».
In effetti si può fare: sfruttando tre traghetti, dall’Italia a Patrasso, dal Pireo a Mitilene e da Mitilene ad Ayvalik, e con in mezzo un solo lungo tratto da percorrere via terra, i 220 chilometri da Patrasso al Pireo, si sbarca in Turchia. Qui però le distanze sono su un’altra scala, e se non si ha a disposizione molto tempo bisogna limitarsi ad esplorare i dintorni. La meta simbolica del mio viaggio è stata perciò l’antica Pergamo, a una settantina di chilometri da Ayvalik.
Per il sottoscritto si è trattato di un atteso ed emozionato ritorno, dopo ben ventisette anni. Oggi Ayvalik è un’animata città moderna, che una serie di cartoline in bianco e nero ci mostra “com’era prima”. Sopravvivono tuttavia degli angoli caratteristici fra cui il mercato del pesce sul porto, le stradine del nucleo vecchio, i piccoli caffè dappertutto all’ombra di alberi o tettoie (qui di regola si ordina il çay, ovvero il tè servito in un bicchierino), la strada delle botteghe – non necessariamente per turisti – e la piazzetta in cui sostano, presso una fontana, cavalli e carretti dalle fiancate spesso dipinte. Attorno ad Ayvalik ci sono quattro campeggi, aperti usualmente da aprile a novembre, e diverse spiagge, piuttosto affollate d’estate, ma si può scegliere di fare un’escursione con andata e ritorno in giornata alle isole prospicienti prendendo uno dei battelli che le collegano.
Ed eccomi al capolinea del viaggio, dopo aver affrontato una statale malmessa con cantieri e deviazioni (ma ormai i lavori saranno terminati e la situazione è certamente migliorata) e con le ventate del Tir che irrispettosi sfiorano il povero turista in scooter. L’antica Pergamo si chiama Bergama, dal fiume che la attraversa, e il suo più noto motivo di interesse è l’acropoli. Il sito si raggiunge con 8 chilometri di una strada che all’inizio mostra preoccupanti strettoie fra le case – ma ci passano i bus turistici – fino ad arrivare in un parcheggio a pagamento. Con il biglietto d’ingresso viene consegnata una mappa sommaria delle rovine, e i vari tabelloni provvedono al resto. Siamo in uno di quei luoghi in cui non si è costretti a lavorare di fantasia procedendo tra fondamenta e reperti alti non più di un metro dal suolo: edifici, colonne, muri, archi sono ancora in piedi, il che rende facile immaginare come doveva essere. Girovagando quasi a caso com’è piacevole fare in situazioni del genere, su e giù per il colle, e scegliendo fra i molteplici percorsi quelli lasciati liberi dalle inevitabili comitive, è bello soffermarsi in tutta quiete su quel che rimane dei vari templi, del teatro, dei palazzi, della porta, ma soprattutto godere dell’ampia vista sulla pianura dove, apparentemente sterminata, si stende la città moderna. Inutile ricordare che nei mesi più caldi la visita andrebbe effettuata nelle prime ore del mattino o nel tardo pomeriggio: infatti, a parte un grande albero ben visibile sulla sinistra, non c’è modo di ripararsi dal sole che qui d’estate picchia in maniera inesorabile.
Tornati in basso, la segnaletica conduce a una seconda area archeologica attorno all’imponente sacrario dell’Asklepion: ancora templi, un teatro (tuttora in funzione per gli spettacoli estivi) e una fonte sacra. Completano la visita di Bergama un enorme edificio in mattoni chiamato Loggiato Rosso, di epoca incerta, il museo archeologico, il bazar coperto e naturalmente la Grande Moschea e il minareto dei Selgiuchidi, entrambi del XIV secolo.
Riguardo allo shopping, inevitabile passare davanti alla fila dei venditori di tappeti: nella prima bottega che si incontra sulla destra dopo essere scesi dall’acropoli, e dove lavora un simpatico tizio che si fa chiamare Tarzan e parla italiano, il vostro cronista in moto ha scovato una vecchia sella di stoffa ricamata a mano – probabilmente già di un asino – che si adatta perfettamente alla sua moderna cavalcatura. L’ideale, non c’è che dire, per rimettersi in marcia verso un trionfale ritorno. Luigi Alberto Pucci

Testo e foto di Luigi Alberto Pucci

PleinAir 451 – febbraio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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