Tremila e più su

Prediletta dagli escursionisti puri, la Valpelline è uno dei comprensori valdostani che meglio si prestano alle lunghe sgambate d'alta quota: rifugi, bivacchi e qualche rara ma utile possibilità di soggiorno con il v.r. in un ambiente di selvaggia bellezza montana, che ha saputo conservarsi praticamente intatto resistendo agli assalti del turismo di massa.

Indice dell'itinerario

Una grande montagna ghiacciata sembra incombere da settentrione su Aosta. Dal centro, dalla periferia industriale, dall’autostrada per Courmayeur e il Monte Bianco che aggira il capoluogo e l’aeroporto, la piramide del Grand Combin si alza impressionante e severa, striata dal gelo anche nelle estati più torride, spesso imbiancata da nevicate recenti. D’inverno, con la sua fredda corazza, ha l’aspetto di una vetta himalayana. La sua posizione alla sommità della valle che sale in direzione del confine fa credere che la cima più elevata (4.314 metri) fra il Monte Bianco e il Cervino si alzi sulla cresta dove la Svizzera e l’Italia s’incontrano: ma non è così, perché il Grand Combin è tutto in territorio elvetico e sono le sue gigantesche dimensioni ad ingannare l’occhio.
Chi viaggia da Aosta verso il confine se lo trova davanti nei primi chilometri del percorso, fino a Signayes e a Gignod, chi prosegue verso la Valpelline e Ollomont continua ad avere di fronte le rocce e i ghiacci del Grand Combin, e lo stesso vale per chi sceglie l’antico e suggestivo sentiero che sale dalle poche case di Glacier verso la conca di By e i suoi pascoli, uno degli angoli della Valle d’Aosta più amati dagli escursionisti dell’800. Qui, finalmente, le vette della cresta di confine nascondono alla vista la grande montagna. Per trovarsela di nuovo davanti occorre inerpicarsi fino ai 2.979 metri del Rifugio Amianthe, in una selvaggia conca che alterna le pietraie ai nevai. E poi salire ancora, passo dopo passo, fino ai 3.413 metri della Tête Blanche, uno dei tanti e magnifici belvedere d’alta quota che la Valpelline offre al camminatore allenato. Da qui, con la luce dell’alba, il Grand Combin ritrova il suo aspetto himalayano, e il ghiacciaio del Mont Durand che corre ai piedi della montagna, ormai in territorio svizzero, lo fa sembrare ancora più remoto.

Giganti di confine
Chi conosce e ama la Valle d’Aosta sa come la più piccola regione italiana, negli ultimi decenni, si sia rapidamente trasformata. L’apertura del traforo del Bianco e poi dell’autostrada che lo raggiunge hanno portato colonne di automobili e autotreni fra i castelli, le antiche chiese e i vigneti del fondovalle della Dora. Il frenetico sviluppo edilizio di Courmayeur ha coinvolto le vicine Pré-Saint-Didier e Morgex, e Cervinia non è stata da meno. La crescita delle seconde case non ha risparmiato La Thuile, Gressoney e la stessa Cogne. Come quasi ovunque sull’arco alpino, gli impianti e le piste da sci hanno continuato ad aumentare.
C’è un luogo, però, in cui la Valle d’Aosta è rimasta quella di cento o centocinquant’anni fa. Una valle chiusa da vette solitarie e selvagge, messa in comunicazione con le sue vicine da alti valichi raramente frequentati, dove l’escursionista e l’alpinista hanno a disposizione rifugi ricchi di storia, resi confortevoli da lavori recenti, ma che si possono raggiungere solo con lunghe (e spesso interminabili) camminate. Allungata per 30 chilometri in linea d’aria dalla statale del Gran San Bernardo alla Dent d’Hérens, la Valpelline è una delle mete migliori per l’escursionista che cerca una Vallée autentica, mille miglia lontana dalla mondanità, dove al posto degli ingorghi e della brutta edilizia moderna si incontrano interminabili morene, magri pascoli d’alta quota, ghiacciai quasi sempre modesti sul versante italiano ed estesissimi su quello svizzero.
I paesi che la scandiscono – Valpelline, Ollomont, Oyace, Dzovenno, Bionaz – sono tranquilli, solitari, poco o per nulla cambiati dal turismo. A trasformare la valle, nei primi decenni del dopoguerra, è stato invece il vastissimo lago artificiale di Place Moulin, che ha ricoperto per 4 chilometri il fondovalle tra La Lechère e i pascoli di Prarayer. Sono stati fortunatamente bloccati sul nascere, invece, i progetti che puntavano a trasformare l’alta Valpelline in una Cervinia bis , collegata da un traforo alla conca del Breuil. Dato che il Grand Combin si alza in territorio svizzero, spetta alla Dent d’Hérens, che raggiunge quota 4.171, il titolo di vetta più elevata della Valpelline. Poco spettacolare se vista da Prarayer, scende con versanti ripidi, spettacolari e selvaggi in direzione di Cervinia e di Zermatt. A sud, ben visibile dall’alta Valpelline, si alza la catena rocciosa delle Grandes Murailles, che culmina nei 3.905 metri della Punta Margherita e nei 3.872 dei Jumeaux. Sulla cresta di confine si alzano da ovest a est il Vélan (3.708 m), la Grande Tête de By (3.588 m), il Mont Gelé (3.518 m), la Becca Rayette (3.529 m), la Grande Becca Blanchen (3.680 m), il Mont Brulé (3.591 m), la cresta rocciosa della Sengla (3.714 m). Concludono la carrellata la Tête de Valpelline (3.798 m) e la Tête Blanche (3.724 m), due straordinari belvedere sul Vallese e sul versante settentrionale del Cervino. Dal Mont Gelé scendono verso la Valpelline i contrafforti rocciosi del Morion (3.487 m) e dell’Aroletta (3.017 m), che hanno avuto una discreta importanza nella storia dell’alpinismo valdostano. Sulla cresta che chiude la Valpelline verso sud si alzano invece il Monte Faroma (3.073 m), la Becca di Luseney (3.504 m) e la Punta di Cian (3.320 m).
Una parte di queste cime è alla portata anche degli escursionisti, tutte le altre possono essere raggiunte affidandosi all’esperienza e alla corda di una guida alpina. Ai piedi delle grandi montagne, una decina tra rifugi e bivacchi offrono piacevoli occasioni a chi ama i sentieri. Tra questi il solo Rifugio Prarayer, all’estremità del lago di Place Moulin, si raggiunge con un comodo itinerario pianeggiante, mentre tutti gli altri richiedono sgambate più faticose e a volte davvero impegnative, come il Col Collon, l’Aosta, l’Amianthe.

Monumenti in valle
In una zona che sembra fatta per camminare, solo pochi visitatori rivolgono gli occhi verso il basso: ma è un errore. Anche se oggi può sembrare remota, infatti, la valle ha alle spalle un passato interessante, raccontato da monumenti di molte epoche diverse. Nel paese capoluogo di Valpelline si notano una bella casa-forte medioevale, la Tour, edificata nel ‘200 e rifatta nel 1709, la chiesa di San Pantaleone, più volte rimaneggiata, e un altro edificio medioevale chiamato La Tornalia. A caratterizzare l’abitato sono soprattutto le lunghe balconate di legno costruite sui lati delle case esposti a sud, che consentivano ai montanari di scaldarsi nelle belle giornate d’inverno. Oyace, la Agacium dei Romani, conserva la bella parrocchiale di San Michele e una torre ottagonale trecentesca a picco sulle acque del Buthier: anche questo monumento, edificato su un fortilizio saraceno, è noto ai valligiani come La Tornalia. Bionaz, che con i suoi 1.606 metri è il centro più elevato della valle e uno dei più alti dell’intera regione, ha probabilmente preso il nome dalla bioula, la betulla nel patois valdostano, ed è diventato relativamente famoso per aver ospitato vari profughi illustri, tra i quali l’arcivescovo di Parigi durante la Rivoluzione Francese. La parrocchiale di Santa Margherita mostra eleganti altari in legno dorato. Un’altra bella chiesa, dedicata a Sant’Agostino, sorveglia l’abitato di Ollomont, nel tratto che punta verso il Grand Combin.
Ma sono le testimonianze della vita quotidiana a raccontare, meglio di tante parole, la capacità dei montanari del passato di abitare e utilizzare questi ambienti selvaggi: come il sentiero che dalle case Closé scende verso il fondovalle, per poi risalire al di là verso i boschi e gli alpeggi ai piedi del Monte Faroma, scavalcando l’Orrido di Betenda su un impressionante ponte in pietra costruito nel ‘600. Alla stessa epoca appartengono i canali a mezza costa, ru in patois, che partono dalla conca di By portando l’acqua dell’alta montagna verso i borghi di Doues, di Châtelair e di Allain. Sono opere apparentemente semplici, ma la loro costruzione ha richiesto un ingegno e una fatica che oggi possiamo solo intuire: e camminare accanto ad esse è il modo più autentico per scoprire l’antica sapienza della gente della Valpelline.

PleinAir 420/421 – luglio/agosto 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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