Tra laghi di fiume

Smarrire la diritta via non è peccato, al contrario: se serve a guadagnare oasi di pace e di natura altrimenti dimenticate. Così è seguendo in camper, in bici e a piedi, per vie traverse e per anguste valli, il medio corso del Tevere. Là, in Umbria, dove le acque del grande fiume bagnano l'unico parco fluviale che ne porta il nome.

Indice dell'itinerario

Per raggiungere da Todi le zone più significative del Parco Fluviale del Tevere non bisogna percorrere i rettilinei di fondovalle della statale 448, ma la provinciale che passando tra sereni bellissimi colli sale prima verso Izzalini per toccare Acqualoreto e poi scendere al Forello, il tratto più sorprendente del fiume. Il castello di Izzalini (in origine Ezzelino) si propone come meta agli appassionati del mobile di antiquariato, offrendo loro una nutrita esposizione permanente. Ma più avanti è il serrato ambiente medioevale di Acqualoreto a suscitare la maggiore ammirazione. Ciò che rimane di questo “castello forte e di difficile accesso” al ciglio di una terrazza, è un grumo di stradine, voltoni, case di sasso, e l’alta torre sotto la quale si apre l’antico varco al microscopico abitato. Superba la vista sulla valle del Tevere e le sue strettoie, che il fortilizio teneva sotto controllo per conto di Todi. Per raggiungerle, come fa il nibbio bruno che si vede talora volteggiare in questo cielo, curva dopo curva discendiamo in pochi chilometri le Gole del Forello.
Gli antenati non disdegnarono questi luoghi così adatti alla caccia e all’agguato e gli archeologi hanno scoperto su ambo i lati delle gole varie grotte che furono abitate fin dal Neolitico medio. Alcuni spazi consentono la sosta del mezzo e quindi di avventurarsi in qualche punto di miglior veduta. Subito dopo un alto ponte, si apre sulla destra una stradina sconsigliabile a un v.r. ma non certo a chi vuol fare uso delle gambe. Converrà parcheggiare il mezzo un chilometro prima del ponte (distributore IP con vasta area di sosta) o un chilometro dopo – e scendere per il ripido sterrato che va in breve ad internarsi nella forra della Pasquarella, una volta Regoverci, che unisce valore botanico a selvaggia bellezza. Dove la pista termina con un piazzale, un viottolo sulla destra sale a un antico luogo di culto che sembra fare tutt’uno con l’intatta natura circostante. E’ l’eremo della Pasquarella, che la domenica dopo Pasqua, aperta la chiesetta, è tradizionale meta delle gite di questa parte dell’Umbria.

Le Gole del Forello
Ed eccoci proprio in vista del il lago di Corbara, le cui rive possono essere raggiunte per lo sterrato che segnala il centro di canottaggio inaugurato la scorsa estate.
Mentre scriviamo, però, rimane disagevole ai camper l’accesso al lago per varare piccoli scafi: derive per veleggiare o canoe e gommoni con cui in buone condizioni di portata risalire il fiume fino ai piedi di Todi. Il più bel panorama sul bacino di Corbara si gode dall’antico paese di Civitella del Lago, che del nuovo lago profittò nel ’62 per ripudiare il nome di Civitella dei Pazzi che portava dagli inizi dell’Ottocento, da quando con improvvisa decisione “delli superiori” aveva perso il titolo di comune diventando frazione di Baschi. Vale raggiungere in camper i quasi 500 metri del borgo per l’aria buona, per il cinquecentesco Palazzo Atti che limita la parte antica, e per un centro di attrezzature sportive (piscina funzionante in luglio e agosto), immerso nella lecceta a un chilometro dall’abitato. Subito al di là della diga, passando all’altra sponda, si trovano le poche case di Corbara, dominate dal complesso architettonico evolutosi sulla rocca medioevale d’origine. Ma avvicinandosi, si rimane allibiti per l’abbandono e lo sfacelo del monumentale edificio. Nel salire, la solitaria stradina si apre ad ariose viste di poggi e vigne per poi spuntare in quota sulla vecchia Orvieto-Todi, praticamente deserta per la concorrenza della più breve fondovalle tiberina di cui dicevamo in principio. Il castello di Prodo, apparizione magnifica, si pianta con scenografiche torri tonde e quadre all’estremità di un sottile sperone immerso nel verde, anticipato da un ampio slargo che contiene il villaggio. A questo punto decidiamo di continuare ancora per un pezzo sulla vecchia statale: vorremmo indagare un luogo che sulla carta è solo un punto chiamato Titignano, al termine di un cul-de-sac laterale di alcuni chilometri. La deviazione è una strada bianca che si apre di fronte a due cospicui casolari con un pozzo. La stradina incontra dopo tre chilometri alcune casette comprendenti il “Centro di servizi del Parco Fluviale del Tevere” e termina dopo poco nella piazza quadrangolare di un piccolo quieto borgo. Orla la piazza una fila di casette medioevali restaurate e un nobile palazzo vecchio di quattrocento anni. Il quarto lato è invece solo un basso muretto al di sotto del quale si disegna un vasto paesaggio di messi, oblique siepi d’alberi, prati lontani e intatte gobbe di monti, quadro di rigorosa bellezza che ha il volto di una serenità d’altri tempi. Scopriremo che Titignano, estesissima tenuta che appartiene ai principi Corsini dagli inizi dell’Ottocento, è da qualche tempo anche azienda agrituristica (nolo bici, piscina, passeggiate, prodotti della fattoria…) e che parte del palazzo, come le casette della piazza, sono destinati all’ospitalità. In programma, nella cipressaia adiacente al borgo, un’area di sosta (di cortesia) per pochi camper che dovrebbe essere disponibile dalla prossima primavera.
Ora, rimettendovi con noi sulla via del ritorno verso Corbara, vorremmo segnalarvi un’incantevole passeggiata (a piedi o in bici) di una dozzina di chilometri; richiede però un assistente che si adatti a portare il mezzo, via asfalto, a fine percorso. Si tratta della stradina (bianca, nessuna indicazione) che s’incontra a sinistra qualche chilometro oltre Prodo. Quasi tutta in discesa, arriva alle insenature della sponda ovest del lago attraverso un ambiente naturale vario e seducente, dopo aver toccato Osa, palazzo ottocentesco (chiuso) tra le poche case di un borgo semiabbandonato. L’alto silenzio e l’ombra di alberi secolari conferiscono al luogo un senso di pace misteriosa.

L’oasi di Alviano
Nel riprendere la strada verso Baschi non si dovrebbe mancare di dare un’ occhiata all’ex convento francescano di Pantanelli, che al di là della facciata settecentesca nasconde nell’ala ovest la sua origine medioevale (un sentiero nella lecceta scende alla grotta che sarebbe stata frequentata dal santo). Più avanti, le vecchie case di Baschi, che deriva il nome dai suoi antichi signori, si levano su uno stretto poggio che scende verso il Tevere. Nella fitta struttura a pettine di stradine e sottopassi che respirano aria d’altri tempi, la chiesa del Cinquecento di gusto bramantesco.
L’Oasi Faunistica di Alviano, pochi chilometri oltre Baschi, dispone di un comodo parcheggio. Mentre il lago di Corbara ha sponde sottili ma nude, l’oasi del lago di Alviano è una sorta di grande golena cinta da una ricca vegetazione palustre che comprende isolette di folto canneto e distese di lenticchie d’acqua, mentre sulle lingue di terra emersa si stende un incantevole bosco igrofilo di pioppi, salici, frassini, ontani. Ma veniamo agli uccelli, di cui sono state qui osservate oltre duecento specie. Tra le presenze invernali più cospicue ci sono 3000 folaghe e 1500 tra germani reali e alzavole, oche selvatiche e un centinaio di aironi cinerini ai quali si accompagna sempre più spesso per lo svernamento il più raro airone bianco maggiore. Se altre specie, come la gru in novembre e verso la fine dell’inverno scelgono Alviano come punto di sosta nei transiti stagionali, ad altre – dalla nitticora all’airone rosso – non dispiace nidificarvi, mentre restano numerosi quegli abili pescatori subacquei che sono il moriglione, il cormorano, il falco pescatore. L’oasi conclude degnamente il tratto di fiume compreso nel parco del Tevere, ma per chi continui lungo la sponda sinistra fino al nodo stradale di Orte non mancano altre piccole scoperte: a patto di non dar retta ad un inqualificabile segnale stradale che dopo Alviano Scalo segnala al bivio sulla sinistra una limitazione di transito per i mezzi alti più di 2,20 metri. Procedete tranquilli perché per chi vuole seguire sempre la sponda sinistra è pura menzogna. Ci si imbatterà invece in uno stretto ponte metallico (questo non preannunciato!) che nonostante l’ambigua apparenza lascia ben passare un mezzo largo 2,20 metri. Cosa c’è ancora da vedere? Oltre un alto portale l’esigua parte antica di Attigliano, con il suo orologio simbolo di epoche in cui il tempo era questione alquanto approssimativa: non ha che la lancia delle ore. A Penna in Teverina, infine, i meditabondi giganti in pietra alle soglie dell’antica tenuta signorile. Ma una passeggiata nella semideserta Penna Vecchia dà conto perché sia stata anticamente un castello assai conteso: proprio al termine della spina urbana una rotonda di ariosa veduta scopre tutto quanto accade nella sottostante valle del Tevere.

PleinAir 310 – maggio 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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