Tra i falchi del re

A spasso, binocolo al collo, per le città, i castelli e i boschi del Vulture, al confine tra Basilicata e Puglia, dove Federico II aveva eletto la sua riserva di caccia e affinato l'arte della falconeria.

Indice dell'itinerario

Castello di Melfi, anno del Signore 1245. Tra una battuta di caccia e una cavalcata tra le selve e i laghi del Vulture, Federico II, l’imperatore innamorato del Mezzogiorno finisce di scrivere un trattato di straordinario interesse. Si chiama De arte venandi cum avibus, è al tempo stesso un manuale per l’allevamento e l’addestramento dei falchi e un testo scientifico assolutamente attuale. Nella sua redazione confluiscono l’esperienza del falconiere appassionato e la conoscenza dei classici greci (in particolare della Storia degli animali di Aristotele) arrivati a Federico II attraverso il mondo e la cultura arabi. Anche oggi, per chi si appassiona agli animali, la lettura del trattato è un esercizio istruttivo. “Colui che intende imparare e praticare l’arte della caccia con gli uccelli rapaci dev’essere esperto nella nutrizione, nella custodia, nell’addestramento, nell’addomesticamento e nell’insegnar loro le tecniche di caccia” scrive l’imperatore. “Deve essere ingegnoso, possedere buona memoria, vista acuta, udito fine. Se sarà perseverante potrà continuare a praticare con passione l’arte della caccia anche in vecchiaia”.
Federico fece proprio così. Politico acuto e viaggiatore instancabile, riservò una parte importante del suo tempo alla caccia con il falco pellegrino. Per questo, trascorse buona parte dell’anno tra i laghi costieri del Gargano, le pianure del Tavoliere, i boschi e i laghi del Vulture, il vulcano spento che si alza come un cippo di confine sulla frontiera tra la Campania, la Lucania e la Puglia. Ai piedi di questa montagna Federico fece costruire il castello di Lagopesole e le residenze di Monticchio, Monteverde, Lavello, San Nicola e Agromonte. E soprattutto il castello di Melfi, il fortilizio dove soggiornò più a lungo. Da qui, un paio d’ore a cavallo bastavano per arrivare al cospetto dei “falchi che vogliono signoreggiare e sopraffare tutti gli altri uccelli”.
Oggi il Mezzogiorno è cambiato, e il Vulture non fa certo eccezione. Nei fine settimana estivi, un turismo rumoroso e poco attento invade le rive dei laghi di Monticchio. La funivia abbandonata e la strada asfaltata che salgono in direzione della cima raccontano come, anche qui, una concezione distorta del turismo abbia lasciato le sue tracce. Pure, la montagna di Federico dà lo spunto a un itinerario del più vivo interesse per chi ama la natura e il volto autentico del Sud. Una passeggiata sulle rive del Lago Grande di Monticchio consente di osservare molti uccelli acquatici. Una sosta con il binocolo alla mano consente di avvistare facilmente i rapaci – il falco pellegrino, il gheppio, il nibbio bruno, la poiana – che nidificano nella zona. I viottoli della foresta che riveste il cratere del Vulture permettono escursioni a piedi o in mountain bike.
A poca distanza dal Lago Piccolo, l’imponente abbazia di San Michele è sorta intorno a un eremo basiliano, è stata consacrata nel 1059 da papa Nicolò II, ed è ancora oggi molto frequentata dai fedeli. Accanto all’istmo che separa i due laghi sorgono i pochi ruderi dell’abbazia di Sant’Ippolito. Gli incontri più interessanti con la storia, però, avvengono nei centri pedemontani.
Tra questi, Melfi resta anche oggi la “capitale” dell’angolo settentrionale della Lucania. Capitale dei re normanni Guglielmo il Conquistatore e Roberto il Guiscardo, ha ospitato a lungo Federico II che scrisse tra le mura del castello le sue opere più importanti. Oggi, soprattutto grazie all’industria automobilistica, la città attraversa una fase di crescita economica. Il centro, però, è rimasto suggestivo come un tempo.
Meritano una visita l’elegante duomo dell’Assunta, costruito a partire dal 1155 e più volte danneggiato dai terremoti, cui si affianca un campanile che raggiunge i 49 metri di altezza; a poca distanza, il Palazzo del Vescovado e le chiese di Santa Maria la Nuova e di Sant’Antonio da Padova. Più in basso c’è la Porta Venosina. Ma è il castello a dominare, oggi come nel Medioevo, il panorama di Melfi. Costruito dai Normanni e rimaneggiato nel Duecento, il fortilizio reca segni evidenti dei numerosi terremoti. Le mura, le torri e il panorama sul Vulture lo rendono una mèta di grande fascino. L’interno ospita un museo archeologico e storico. Un viottolo non sempre comodo consente di fare il periplo delle mura. Da Melfi, una breve salita conduce a Rapolla, roccaforte longobarda diventata dopo il Mille un importante centro di cultura basiliana. Nel centro storico spicca la cattedrale completata nel 1253, danneggiata da vari terremoti e affiancata dal campanile progettato da Sarolo da Muro Lucano. Allo stesso artista si devono anche i due bassorilievi sulla fiancata del tempio. Da vedere anche la chiesa di Santa Lucia, in stile bizantino, che fu la prima cattedrale di Rapolla.
Suggestiva è anche la non lontana Barile. Popolato da genti di lingua e cultura albanesi, il paese è noto per la festa della Madonna di Costantinopoli e per la sacra rappresentazione del Venerdì Santo. Nel centro antico si trovano le chiese della Madonna delle Grazie, di Sant’Attanasio e San Nicola, la quattrocentesca Fontana dello Steccato e l’imponente palazzo baronale. Nei pressi merita una visita la necropoli italica di Contrada San Pietro.
Meno interessante è invece Rionero in Vulture, un grosso centro agricolo e commerciale ai piedi del versante orientale della montagna, che ha oggi aspetto prevalentemente moderno. Nel centro storico meritano comunque una sosta la barocca Chiesa Matrice (del 1763), il palazzo della famiglia Fortunato che oggi ospita una importante biblioteca e la chiesa del Santissimo Sacramento, dove ci sono alcune interessanti tele cinquecentesche.
Il centro più interessante di tutti, però, attende il viaggiatore ai piedi del versante orientale del vulcano, dove la Basilicata lascia il posto alla Puglia. E’ Venosa, la patria del poeta latino Quinto Orazio Flacco, che conserva un integro centro storico e vari monumenti di notevole fascino. Dal posteggio davanti al castello, una breve passeggiata porta alla grande statua di Orazio (del 1898) che sorge davanti al Municipio, all’imponente cattedrale di Sant’Andrea Apostolo costruita tra il 1470 e il 1502, e ai resti di un edificio romano tradizionalmente noto con il nome di “Casa di Orazio”. All’inizio della strada per Canosa di Puglia, l’Abbazia della Trinità è il monumento più affascinante di Venosa. Accanto alla strada si alza l’elegante Chiesa Vecchia, fondata dai Benedettini poco dopo il Mille, alla quale si affianca il piccolo palazzo abbaziale. All’interno dell’edificio sacro si trovano alcuni notevoli affreschi medioevali. Alle spalle della Chiesa Vecchia c’è invece l’incompiuta Chiesa Nuova. Iniziati nel 1135, i lavori furono abbandonati alla fine del Duecento. Le sue mura e le sue colonne si affacciano sull’area archeologica che include le terme, alcune domus romane e un battistero paleocristiano. Oltre la strada asfaltata ci sono le rovine dell’anfiteatro romano.
Uscendo da Venosa in direzione di Lavello, si raggiungono le catacombe ebraiche e il parco paleolitico di Notarchirico, dove si possono osservare ossa di animali e di un Homo erectus vissuti tra i 600 e i 260 mila anni fa. Altre due soste nel centro di Venosa, però, consentono di completare in modo migliore la conoscenza del Vulture. Una visita al poderoso castello del 1470, che ospita il Museo Archeologico di Venosa, consente di conoscere la storia delle pendici del vulcano.
Una sosta nella Cantina Cooperativa di Venosa, alla quale fanno capo 500 aziende, consente di assaggiare l’Aglianico decantato da Orazio e da molti altri dopo di lui. “Qui a Venosa il vino è buono, anzi eccellente” ha scritto nel 1915 Norman Douglas, scrittore inglese innamorato del Mezzogiorno d’Italia. Un giudizio che i visitatori si sentiranno di sottoscrivere senz’altro.

PleinAir 324/325 – luglio/agosto 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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