“Qui finisce l’Europa e inizia l’Asia”: tratta da una guida, la frase riassume perfettamente l’atmosfera che aleggia a Istanbul. Ma il turismo di massa è sbarcato anche qui con il consueto corollario di grattacieli, hotel e cianfrusaglie, e persino il Bazaar ha perso smalto e suggestione. Di autentico non sono rimasti che pochi antiquari, qualche gioielliere, alcuni bei negozi di tappeti e il mercato egiziano delle spezie, coi sacchi colmi di colorate miscele di tè e frutta secca. Il traffico, invece, è rimasto quello di trent’anni fa, caotico e fracassone, ma i vecchi taxi americani Dodge e Plymouth sono ormai rari e fotografatissimi, sostituiti dalle più moderne Fiat 131.
Il nostro tour della città occupa quattro giorni. I primi due li dedicheremo al Corno d’Oro, dove sono concentrate le bellezze di Istanbul: il Topkapi (chiuso il martedì), che insieme alla visita dell’Harem, per la quale è previsto un ulteriore biglietto con visita oraria programmata, richiede più di mezza giornata; Santa Sofia, che si visita a pagamento (chiusa il lunedì); lo Yerabatan Saray, ovvero “palazzo sommerso”, antica cisterna bizantina (sempre aperta); la Sultanahmet Camii, ovvero la Moschea Blu (ad ingresso libero tranne che nelle ore di preghiera). Per evitare le interminabili code all’entrata, in particolare alla Moschea Blu, a Santa Sofia e al Topkapi, è necessario recarvisi prima dell’apertura mattutina, precedendo l’arrivo della massa. Mete canoniche a parte, è inoltre gradevole risalire le stradine alle spalle di Santa Sofia e ammirare le vecchie case in legno ristrutturate, angolo di pace parzialmente ignorato dai turisti.
Fra le altre moschee, da non tralasciare le due maggiori opere del celebre architetto Sinan (l’artefice della Moschea Blu), la Suleymanie Camii, la più grande e maestosa di Istanbul, e la Rustempasha Camii; in un’altra zona della città, è da vedere la Kariye Camii, anticamente la chiesa di San Salvatore in Chora: piccolo ma superbo edificio con splendidi affreschi bizantini. E ancora il palazzo di Dolmabache, sulla riva del Bosforo (raggiungibile a piedi o col il bus); lo si può definire la Versailles d’Oriente, l’ultima follia dell’ultimo sultano di Istanbul. Si pagano ingresso e diritti fotografici, e vi si trovano immancabilmente lunghe code. La classica escursione in traghetto sul Bosforo richiede almeno un’altra mezza giornata.
Infine, un indirizzo curioso per chi si reca al Gran Bazaar (chiuso la domenica, come il mercato egiziano): uscendo dalla porta di Beyazith, dopo neppure cento metri a sinistra un piccolo vicoletto introduce in un grazioso cortile, dove è in funzione una delle ultime narghilerie di Istanbul: un autentico angolo di vecchia città.
PleinAir 312/313 – luglio/agosto 1998