Tibet d'Appennino

L'Italia ha un cuore bianco: i Sibillini, dove i Piani di Castelluccio sono una delle più belle palestre di fondo della Penisola. E dopo lo sci, una puntata nei borghi medioevali del circondario per assaggiare le eccellenze gastronomiche del territorio.

Indice dell'itinerario

La pista da Forca Canapine ai Pantani è uno straordinario belvedere sull’Appennino. Verso nord, dietro alle code dei nostri sci, il massiccio centrale dei Sibillini mostra il suo profilo imponente, con il Vettore che si alza oltre alle creste della Cima di Prato Pulito e della Cima del Lago. A sud, accanto ai laghetti dei Pantani – invisibili quando la montagna è innevata – si alza l’arrotondato Monte dei Signori, in parte rivestito dalla faggeta. Verso sinistra e l’est, al di là della conca dove Accumoli e Amatrice sono nascoste dalla nebbia, si levano i bianchi crinali e le cime arrotondate dei Monti della Laga; alle loro spalle, lontana ma inconfondibile, la piramide del Gran Sasso.
Anche se l’ambiente è solitario, l’escursione di fondo tra il valico e i Pantani è un’avventura accessibile a molti. Basta un’ora, dalla tortuosa strada che collega Norcia con Arquata del Tronto, per raggiungere e seguire con gli sci ai piedi la sterrata estiva che sale a un cocuzzolo raggiunto da uno skilift, aggira il Monte Serra e si porta in leggera discesa alla conca dei Pantani, a 1.607 metri di quota. Frequentato da decenni dagli appassionati dell’escursionismo sugli sci nordici, il tracciato viene saltuariamente battuto dalla fine degli anni ’90, trasformandosi nella più bella pista da fondo dei Sibillini. Se la neve non è ghiacciata, dai laghi si può salire per un facile pendio sino ai 1.718 metri di La Civita, balcone su Amatrice e il versante occidentale della Laga. Sulla via del ritorno lo sguardo spazia ancora sul Vettore, sul Pian Grande e sulla lontana Castelluccio.

D’estate e d’inverno
Ripida, spettacolare e selvaggia, la catena dei Sibillini è protetta dal 1993 da un parco nazionale esteso su 71.437 ettari, che interessa quindici comuni delle Marche e dell’Umbria. Celebre grazie alle cime del Vettore (la più alta con i suoi 2.476 metri), del Redentore, del Pizzo del Diavolo, dei monti Priora, Sibilla e Bove, il parco è una celebrata palestra estiva per arrampicatori e trekker: nella bella stagione lunghe comitive raggiungono il Lago di Pilato, la gola dell’Infernaccio e le vette più famose del massiccio, mentre chi cerca un itinerario più lungo può affrontare il Grande Anello dei Sibillini (segnalato dal parco stesso) che compie in una settimana il periplo completo dei Sibillini. I pendii erbosi che circondano i Piani di Castelluccio sono invece frequentati da appassionati di parapendio provenienti da ogni parte d’Europa.
D’inverno, mentre gli sciatori-alpinisti hanno a disposizione alcuni degli itinerari più lunghi e suggestivi dell’Appennino, gli amanti della discesa possono scegliere tra le piccole stazioni di Forca Canapine, Monte Prata, Frontignano di Ussita e Bolognola-Sarnano. Valli e faggete consentono di passeggiare con le ciaspole; nelle zone meno elevate del parco, in particolare attorno alla gola calcarea del Fiastrone, si può camminare senza incontrare la neve anche nel pieno della stagione fredda. Chi preferisce il fondo, invece, deve far rotta verso sud dove gli altipiani che circondano Castelluccio – il Pian Grande, il Pian Piccolo e il Pian Perduto – offrono da novembre a marzo un eccezionale paesaggio innevato: dominati dal massiccio centrale dei Sibillini, sempre in vista dei Monti della Laga e del Gran Sasso, i tre Piani formano uno spettacolare piccolo Tibet nel cuore dell’Appennino.

Per un piatto di lenticchie
Isolato sul suo colle, in vista dei ripidi pendii della Cima del Redentore, Castelluccio di Norcia è il paese più alto del parco e dell’Umbria con i suoi 1.452 metri. Alla vivacità dell’estate turistica si contrappone il silenzio dell’inverno, quando vi resta una trentina di persone. Nei giorni in cui la nebbia nasconde i pianori, il villaggio sembra un vascello fantasma diretto verso un approdo segreto.Anche per la gente di qui l’alta stagione va dalla primavera ad agosto. Quando la neve lascia libero il terreno, un terzo della superficie dei Piani (circa 400 ettari su 1.200) viene lavorato con l’aratro e con l’erpice per preparare la semina della lenticchia, che avviene ad aprile; in giugno la celebre fioritura colora l’orizzonte, con i fiorellini bianco-azzurri della lenta che scompaiono tra papaveri, fiordalisi, narcisi, tulipani selvatici, asfodeli. Con l’arrivo del caldo, gli effimeri fiori colorati lasciano il posto alle tenaci pianticelle di lenticchia che all’inizio di luglio sfiorano i 30 centimetri di altezza. La raccolta, ad agosto, è il momento più faticoso del ciclo e richiede attenzione alle condizioni del tempo: qualche giorno di pioggia quando la lenta è già stata falciata rischia di compromettere il risultato. Ma il prodotto di tanta fatica è una vera specialità: piccola e di forma piatta, la lenticchia di Castelluccio – tutelata dal 1997 dal marchio IGP – è ricca di ferro, sali minerali e proteine. I ristoranti di Norcia e dei centri vicini la propongono sotto forma di zuppa, insieme alle salsicce o in piatti più innovativi.
Per secoli è stato proprio questo legume, importantissimo per i montanari di qui, a far contendere i Piani di Castelluccio tra Visso e Norcia: acquistati dalla prima nel 1325, gli altipiani videro due secoli di scontri e furono definitivamente assegnati alla cittadina umbra nel 1522, con la battaglia del Pian Perduto. Ma anche oggi, quasi cinquecento anni dopo, gli storici dei due versanti discutono se si sia trattato di una limpida vittoria d’armi o di un subdolo inganno tramato alle spalle dei norcini. Norcia che ha più forze vincer crede / Ma vince Visso che nei Santi ha fede ha scritto il pastore-poeta Berrettaccia da Castel Sant’Angelo. Le donne gualdesi si sono offerte ai combattenti di Norcia per farli accerchiare dai vissani ribatte un autore umbro.
Storia e letteratura a parte, la lenticchia è rimasta un caposaldo dell’economia e della tradizione locale. «Quassù siamo in pochi» sorride Sante Coccia, presidente della Cooperativa della Lenticchia che raccoglie due terzi dei produttori. «A Castelluccio vivono tutto l’anno solo le venti o trenta persone che hanno mucche o cavalli, poi ci sono i castellucciani di Norcia e quelli che risiedono a Roma. A marzo molti di loro incaricano qualcuno di noi della semina, poi vengono a passare l’estate in paese e danno una mano per la raccolta».
«Fino agli anni ’50 – aggiunge Romano Cordella, storico del versante umbro dei Sibillini – la carpitura, cioè il raccolto, si faceva a mano. I braccianti salivano a piedi da Arquata, da Accumoli e dagli altri centri della valle del Tronto, e si fermavano a Castelluccio per tutto il tempo necessario. Le donne che facevano questo lavoro erano note come le carpirine».

Panorami sulle vette
Chi sale verso Castelluccio e i suoi Piani dal versante di Norcia ha tutto il tempo per lasciarsi tentare dalle lenticchie e dagli altri prodotti del cuore goloso dei Sibillini, e per andare alla scoperta della città medioevale che intorno al 480 ha dato i natali a San Benedetto e a sua sorella Santa Scolastica. Chi passa da Visso, oltre a visitare un altro centro storico dell’Età di Mezzo, può assaggiare il ciaùscolo, il noto salame marchigiano da spalmare sul pane.
Ma in alto, una volta raggiunti i Piani, si scopre un altro mondo solitario e severo, spesso battuto da un vento violento. Per esplorare questo solenne deserto bianco i leggeri sci da fondo sono il mezzo di locomozione migliore: calzandoli a Castelluccio si può salire verso il Poggio di Croce che offre uno splendido panorama sui Sibillini, mentre dall’opposta estremità del paese, con una breve discesa, si raggiungono il Pian Perduto e le faggete della Valle Canatra.
Alla base del colle di Castelluccio, una carrareccia estiva ricoperta d’inverno dalla neve zigzaga per 3 chilometri fra dossi innevati e piccoli boschi di faggi e termina alla Capanna Ghezzi, ai piedi del Redentore. Non c’è un punto di partenza obbligato, invece, per i lunghi itinerari che si snodano tra il Pian Piccolo e il Pian Grande, dove è possibile scivolare per chilometri in un ambiente spettacolare e solenne.
Per raggiungere i percorsi più panoramici, invece, occorre fare qualche chilometro di strada. Tra Forca Canapine e Forca di Presta, i due valichi che mettono i comunicazione gli altipiani con Arquata e la valle del Tronto, la sterrata estiva tracciata accanto al crinale che separa i Piani di Castelluccio dalla valle del Tronto offre una piacevole traversata con viste magnifiche verso il Vettore, la conca di Amatrice e la Laga.
Più breve e più vario di tutti, però, è l’itinerario che raccontavamo all’inizio e che conduce da Forca Canapine ai laghetti dei Pantani, salendo alla sommità della Civita da cui lo sguardo raggiunge verso sud il Gran Sasso. A nord-est, oltre la valle del Tronto e Ascoli Piceno, si intuiscono le acque dell’Adriatico, verso ovest, al di là dei monti di Foligno e Spoleto, compare il profilo del Monte Amiata. Siamo nel cuore della Penisola: e si vede.

PleinAir 414 – gennaio 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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