Tesori a monte e a valle

Tra le maglie della fitta rete di cittadine industriali del Varesotto e a breve distanza dai frequentatissimi laghi della provincia lombarda si celano inaspettati gioielli di natura, di storia e d'arte. Da scoprire con il v.r. andando in giro quasi senza meta... e incontrandone più d'una.

Indice dell'itinerario

Monteviasco, Arcumeggia, Castelseprio, Castiglione Olona… dicono qualcosa questi nomi? Poco o niente se si eccettua forse Arcumeggia, il capofila dei Paesi Dipinti, recentemente citato anche su queste pagine. Invece siamo in luoghi che offrono altrettante mete per un turismo di qualità pur trovandosi in una delle aree più urbanizzate e industrializzate del nostro paese. E non sono le sole, come abbiamo potuto verificare in camper raggiungendone di nuove a poca distanza l’una dall’altra.
Entriamo nel Varesotto dal Lago Maggiore, precisamente a Maccagno, con l’esplicito intento di soddisfare qualche vecchia curiosità. Tanto per cominciare, vogliamo addentrarci nella vicina e appartata Val Veddasca (vedi anche servizio seguente) per raggiungere a piedi il villaggio di Monteviasco, dove non arrivano strade carrabili. E’ solo una gita, ma della serie “per chi se la merita”, specie se si viaggia con un camper meno smilzo del nostro. Tuttavia, sulla provinciale stretta e tortuosa di Curiglia – il capoluogo comunale dove siamo diretti – fa servizio strombazzando allegramente anche la corriera e, se capita, conviene accodarsi (sempre meglio averla come apripista che trovarsela di fronte in una curva a gomito). Il traffico in ogni caso è decisamente scarso, l’asfalto tirato a liscio e si arriva a destinazione senza troppi patemi. Curiglia per noi è solo un riferimento: bisogna infatti percorrere ancora qualche chilometro fino alla località Ponte di Piero e sistemarsi nel piazzale della funivia, che da non molti anni è l’unico mezzo di trasporto per Monteviasco. Il tragitto si impenna per 500 metri proprio accanto all’antico sentiero di collegamento che, per parte sua, è una cascata di 1.327 gradini in pietra. Solo a scriverlo dà da pensare: potremmo percorrerlo più comodamente al ritorno scegliendo l’andata per via aerea (l’ultima corsa della mattina parte a mezzogiorno e un quarto), ma abbiamo buoni motivi per non amare e anzi per sconsigliare i gradini in discesa, perciò ci accingiamo ad affrontarli in salita. Così scopriamo subito che il sentiero serve in una decina di minuti anche il borgo di Piero, al di là del ponte, e soprattutto che è l’attacco di escursioni più impegnative, da 2 a 4 ore e più, fino alla cima del Monte Tamaro (1.962 m), sconfinando in territorio svizzero. Per arrivare soltanto a Monteviasco, quota 950, la segnaletica del CAI stima 50 minuti: in realtà, senza forzare, ci vuole un’ora abbondante, più che dovuta alla bellezza del percorso e a quella dell’arrivo. Si sbuca dal bosco sotto il piccolo santuario della Madonna della Serta, ricostruito e consacrato quarant’anni fa, davanti a un benedetto fontanile d’acqua sorgiva. Ancora pochi gradini e si raggiungono le prime case, dove le prospettive di colpo si invertono: le pietre si accavallano fin sui tetti e lo sguardo precipita verso la valle lontana, appena un solco scuro fra due tsunami di verde. Il fascino genuino delle vecchie case e il turismo escursionistico hanno frenato l’abbandono del villaggio, gli hanno regalato una notorietà persino internazionale e ora sostengono l’economia di una discreta attività immobiliare, oltre che di due bar-trattoria. Si è persino costituita un’associazione di sostenitori allo scopo di preservare e promuovere le tradizioni locali, segno tangibile di quanto valga un amorevole attaccamento alle radici. In fondo anche questa è una metafora della vita, e ci riflettiamo mentre la cabina della funivia ci riconsegna silenziosa alla realtà.
Con una breve marcia raggiungiamo la prossima tappa, Luino. E’ quasi buio quando approdiamo sul lungolago; accanto al porto turistico, in posizione ottimale per visitare il centro, ci accoglie un grande piazzale alberato frequentato da altri v.r. Il cielo rosseggia, il tempo promette bene.

Divagazioni di… servizio
Attraverso la Val Cuvia non ci vuole molto da Luino a Varese, dove siamo diretti per chiudere l’itinerario con la visita del Sacro Monte; ma poiché è domenica, la giornata meno indicata anche a causa del prevedibile afflusso di pellegrini in pullman, quello che si prepara è un altro giorno di divagazioni, complici le notizie lette su PleinAir che ci spingono a una verifica e, se occorre, a qualche integrazione. Quando ad esempio incrociamo il bivio di Arcumeggia, ci sembra un delitto non andare a vedere: e allora andiamo, sono appena 4 chilometri. Ma la provinciale che sale da Casalzuigno non si può raccomandare ai camper a cuor leggero visto che, dopo un normale innesto, si avvita a cavatappi ed è larga poco più di quel che basterebbe a un senso unico; meno male che all’arrivo ci si rilassa in un bel parcheggio pianeggiante. Per il resto, a parte l’atmosfera rurale e l’amena posizione, il paese non vanterebbe particolari caratteristiche se non fosse diventato un’importante galleria d’arte all’aria aperta: senza ripetere cose note sugli artisti contemporanei rappresentati, ci limitiamo ad osservare che per visitare il capofila dei Paesi Dipinti in un giorno qualunque, cioè al di fuori di speciali eventi, bastano un paio d’ore. Rimane perciò il tempo per organizzare il resto della giornata.
Detto e fatto, ridiscesi a valle, proprio a Casalzuigno la segnaletica annuncia la Villa Della Porta Bozzolo, ora gestita dal FAI. Altro comodo parcheggio, in più alberato, e non ci facciamo pregare. Edificio e parco valgono bene sia il costo del biglietto che altre due ore di stimolante passeggiata; volendo, poi, ci si può attardare nella Locanda del Baco da Seta, l’annesso pregevole ristorante da poco allestito nei rustici del complesso, dal quale si accede direttamente al centro del paese.
A meno di 20 chilometri da qui, infine, ci richiama in direzione di Leggiuno una terza meta eccellente che non si può ignorare: l’eremo di Santa Caterina del Sasso. Tutti sanno che il santuario è abbarbicato a una spettacolare falesia a strapiombo sul Lago Maggiore, che dispone di un imbarcadero e che vi si arriva anche via terra da un grande parcheggio sommitale, scendendo una lunga scalinata (ora in ristrutturazione e ingabbiata da ponteggi). Ma in aggiunta almeno i camperisti gradiranno sapere che questo parcheggio, ben ambientato e illuminato al termine della strada di accesso, è perfetto per un pernottamento libero, e che dall’imbarcadero è possibile raggiungere Stresa e le Isole Borromee. In pratica, se si scende a visitare l’eremo la mattina presto (l’apertura è alle 9), poi con l’aiuto dell’addetto all’imbarco si possono intercettare gli orari utili per varie escursioni in battello da effettuare a proprio gusto. C’è tutto il tempo che occorre: si può salpare già alle 10.15 e l’ultimo attracco del ritorno è alle 17, dopodiché non resta che risalire soddisfatti al camper.

Lezione di storia
Abbiamo trascorso una notte tranquilla a Malnate nel camping La Famiglia, ben attrezzato e per niente caro, che occupa un parco alberato alle spalle della stazione ferroviaria ed è professionalmente gestito da una comunità di religiose. Da qui siamo in ottima posizione per compiere un interessante circuito storico lungo la valle dell’Olona. Questa che fin dall’antichità è stata una delle principali vie di comunicazione tra la Pianura Padana e l’Europa centrale divenne nell’800 anche uno dei principali poli produttivi della regione: scoprirne i gioielli del passato incastonati fra un insediamento industriale e l’altro sorprende ancora di più. Primo gioiello, a meno di 10 chilometri da Malnate, è Castiglione Olona. La segnaletica non aiuta, ma con qualche tentativo alla fine si raggiunge il parcheggio del centro storico: si trova più in basso rispetto alla statale, prossimo al fiume e accanto a uno stabilimento cinematografico. Da lì, non ci credereste, bastano pochi passi per ritrovarsi… in Toscana, o per meglio dire nell’ambientazione di una cittadina toscana del Rinascimento. L’effetto si deve all’intervento urbanistico voluto dal cardinale Branda Castiglioni, grande mecenate erede della famiglia proprietaria del borgo fin dal Medioevo, che agli inizi del XVI secolo lo ridisegnò secondo gli schemi elaborati dagli artisti fiorentini e, in più, lo abbellì con alcuni edifici di chiara impronta rinascimentale: dalla brunelleschiana Chiesa di Villa o del Corpo di Cristo, che affaccia su Piazza Garibaldi, al Palazzo Branda Castiglioni, la residenza personale che sorge proprio di fronte, alla Collegiata posta in posizione dominante sull’abitato. Qui l’alto prelato chiamò a lavorare anche vari maestri della pittura dell’epoca, tra i quali Masolino da Panicale che nell’abside affrescò le Storie della Vergine e nel vicino battistero le Storie del Battista. Dopo le visite d’obbligo, una passeggiata tra le case completa la fiction dispensando dettagli di stile, armoniosi chiostrini, portali e bifore in pietra grigia, finché un muro di mattoni rosso cupo, un tipico tetto a barchessa o un cortile a ballatoio non ci ricordano che siamo in Lombardia.
Possiamo così spostarci a Castelseprio, un’altra decina di chilometri verso sud, anche questo però non facile da individuare nel ginepraio di strade e stradine a cui si va incontro. Mettetevi l’anima in pace e abbiate fede, Castelseprio esiste e pure la sua principale attrattiva, il parco archeologico della città antica, disseminata su un pianoro boscoso un chilometro a monte di quella nuova. L’area, di libero accesso, è preceduta da un parcheggio sotto grandi alberi e da un centro visite con sala di documentazione (oltre a una strategica toilette). Le campagne di scavo, avviate solo a partire dagli anni Cinquanta, hanno rivelato preesistenze dell’Età del Ferro e i resti del romano Castrum Sibrium, ma soprattutto hanno riportato alla luce le più cospicue tracce della cittadella medioevale sviluppatasi sulle fortune strategiche del sito nel controllo della valle. Fortificato dai Longobardi, l’insediamento divenne infatti la capitale di un’immensa giurisdizione che si estendeva dalle Alpi alle porte di Milano: come dire una minacciosa presenza per i Visconti, signori della città meneghina, tanto che nel 1287 l’arcivescovo Ottone Visconti la sottomise grazie a un inganno e ne decretò la totale distruzione, risparmiando solo gli edifici religiosi. L’abbandono e il divieto di abitare la zona, rinnovato fino al XVIII secolo, hanno ridotto anche questi ultimi a rudere, ma fa eccezione la piccola chiesa di Santa Maria Foris Portas, situata all’esterno dell’area (duecento metri a ovest del centro visite) che ha miracolosamente conservato le strutture portanti e brani di un importante ciclo di affreschi del VII e VIII secolo, considerati di transizione tra l’arte classica e quella bizantina. Una piacevole passeggiata di circa un’ora e mezzo aggira la cerchia muraria e tocca le principali vestigia, ma non raggiunge più, come anni addietro, l’avamposto fortificato di Torba dove occorre spostarsi in camper. Si tratta di una torre di pianura, originaria del V secolo, a cui nell’VIII si sono aggiunti una chiesa e un monastero benedettino. Il complesso monumentale, divenuto proprietà privata e donato al FAI dalla famiglia dell’attuale presidentessa Crespi Mozzoni, è stato da poco restaurato e attrezzato con un ristorante tipico. Una spoglia architettura da edificio rurale colpisce il visitatore per la poesia del contesto oltre a conservare preziose memorie del passato monastico, in special modo alcuni affreschi all’interno della torre, all’epoca trasformata in luogo di culto.

In cerca di un approdo
Quando finalmente arriva la volta di Varese e del Sacro Monte il tempo si guasta, le previsioni minacciano un ulteriore peggioramento e non resta che rimandare il tutto a una prova d’appello. Prima di togliere l’ancora in vista del ritorno, però, cerchiamo di individuare una base logistica valida per la visita del capoluogo, saggiando nel contempo lo stato della viabilità. Il citato campeggio La Famiglia, che dista 7 chilometri dalla città e consente di raggiungerla comodamente anche con i mezzi pubblici, si rivela il miglior appoggio per la visita del luogo sacro, che è oltretutto privo di adeguati spazi di sosta e di manovra.
Le stesse difficoltà e un’analoga soluzione valgono per il Parco Regionale di Campo dei Fiori. In questo caso il riferimento più indicato – a patto di recarvisi fuori stagione e con un’indispensabile telefonata di preavviso per accertarsi della disponibilità di posti – è l’area attrezzata di Gavirate, sul Lago di Varese, realizzata qualche anno fa al posto del vecchio campeggio comunale e gestita dalla Pro Loco. Anche grazie ai pieghevoli prodotti dalla stessa, si scopre che l’area protetta offre innumerevoli possibilità di escursioni (quasi una ventina gli itinerari, la maggioranza dei quali adatti anche al camminatore più inesperto e meno allenato) non solo a piedi ma pure in mountain bike, magari con l’assistenza delle guide e la possibilità di effettuare corsi di varie discipline sportive all’aria aperta. Come dire che ce n’è quanto basta per salutare il Varesotto progettando e pregustando la prossima visita.

PleinAir 423 – ottobre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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