Te la do io, la Turchia

Dopo due soggiorni negli ormai lontani anni '60, si riacutizza il mal di Turchia. E nasce un progetto di viaggio perfettamente a misura di camper, per l'autonomia e la libertà di movimento che si richiedono. Ma c'è un piccolo problema: l'autore e il suo equipaggio il camper non lo possiedono...

Indice dell'itinerario

Certamente non fanno per noi i viaggi organizzati: si viaggia sempre, si vede tutto ma non si approfondisce nulla; sballottati da un albergone all’altro non si entra mai in contatto con la cultura locale, salvo che per gli acquisti “pilotati”. Insomma, tirate giù due cifre, gettato uno sguardo alla nostra fida tendina (un igloo Sixty Second System della Nova) e districandoci al meglio fra tariffe aeree e noleggi auto abbiamo optato per una soluzione “volo+nolo”. Si trattava ora di impostare un itinerario di circa tre settimane senza compiere i passi falsi ormai in agguato anche in Turchia, dove il boom turistico ha compromesso molti luoghi tra i più rinomati. Ad esempio abbiamo depennato la famosissima Pamukkale e la costa centro-settentrionale: avevamo notizie sicure di cementificazione massiccia, di folla e confusione. Naturalmente non tutti i luoghi sono rovinati, ma chi ha visitato anni fa Kas, Side, Anamur e Antalya, oggi rischia un impatto negativo con questi luoghi.

Suggestioni di Cappadocia
Da Istanbul ad Ankara ci vogliono circa sei ore di comoda autostrada. Si fa presto l’abitudine allo stile di guida turco, ai prepotenti bus turistici e ai camion dal carico in equilibrio precario. La recente tangenziale scavalca Ankara e, dopo altre cinque-sei ore di strada nazionale, larga e discretamente tenuta, si giunge in Cappadocia. La visita della regione richiede almeno tre o quattro giorni, sebbene anche questa zona sia stata violentata dal turismo di massa. Fortunatamente, a pochi passi dai circuiti più battuti, esistono paradisi facili da scovare, dove si scopre la vera Cappadocia. Lasciato alle guide il compito di raccontarla, ci limitiamo a fornire qualche consiglio. Innanzitutto, dove sostare: i campeggi qui sono numerosi, ma pochi quelli da raccomandare. Uno di questi è il Kaya Camping di Göreme, la località più famosa e turisticizzata. Provenendo da Uchisar, lo si raggiunge attraversando il paese e superando il celebre museo all’aria aperta di Göreme. Dopo alcuni tornanti si arriva a destinazione: spazioso e ombreggiato, il campeggio offre un’impareggiabile vista sulla valle, “camini delle fate” compresi. I servizi sono puliti, l’acqua calda è gratuita e non manca mai e c’è una bella piscina. Confermiamo le nostre riserve su Göreme: tranne che per il museo all’aria aperta, non merita granché. Meglio una puntata nella più tranquilla Uchisar, dall’inconfondibile roccia dominata dalla torre. A pochi chilometri dal campeggio merita una visita Mustafa Pasa, con testimonianze architettoniche della dominazione greca; stupenda la chiesa ortodossa dei Santi Costantino ed Elena. Interessante anche una puntata a Ürgüp, anch’essa vittima della solita valorizzazione turistica, ma animata da una piacevole confusione orientale e dall’immancabile hamam, il bagno turco.
Una meta meno battuta è la Valle di Peristrema. Ai possessori di v.r. converrà trasferirsi sul posto (ad esempio a Ihlara), mentre chi soggiorna in tenda valuterà se pernottare in loco (c’è un campeggio a Selime) o tornare al Kaya la sera. La Valle di Peristrema è attraversata da un profondo canyon, al quale si accede dal Centro Visitatori di Belisirma. Tramite un’interminabile serie di gradini si giunge sul fondo, dove scorre il fiume. Innumerevoli sono le chiese rupestri visitabili (molte a pagamento e difficili da trovare); numerose anche le cavità naturali delle pareti a strapiombo, adibite nei secoli ad abitazione. Prossima meta, il Nemrut Dagi, circa quattrocento chilometri a sud-est.

Alba sul Nemrut Dagi
Duemila anni fa Antioco I, sovrano del piccolo regno di Commagene, si fece erigere un grandioso monumento funerario in cima al monte Nemrut (2150 m), dalla cui vetta l’occhio può spaziare dai Tauri ai monti della Mesopotamia, mentre nella valle luccica l’Eufrate. Il monumento, alto 100 metri, è di forma conica; sulle due sottostanti terrazze, ad est e ovest, sorgono gigantesche statue raffiguranti aquile, leoni, divinità e guerrieri ittiti. Per rendere l’effetto ancor più grandioso, le sculture sono posizionate in modo da venire “incendiate” dalle prime luci dell’alba e dagli ultimi raggi del tramonto. Si accede al monte sia da sud (Khata) che da nord (Malatya). Scartata la prima via, più caotica e turistica, puntiamo su Malatya, dove un piccolo ufficio del turismo ci ragguaglia sul da farsi. Ci attendono 80 chilometri di strada tortuosa, sterrata nell’ultimo tratto, attraverso un magnifico scenario montano, un’escursione impegnativa ma fattibile da qualsiasi vettura (abbiamo dubbi solo per i v.r. di grossa taglia). Arrivati in vista della vetta nel tardo pomeriggio, ci fermiamo nel rifugio-alberghetto che appare isolato, all’improvviso. E’ una sistemazione spartana ma simpatica: si cena tutti assieme, e i letti sono piazzati in anguste camerate da quattro o sei posti. E’ permesso piantare la tenda, ma il freddo – anche d’estate – è intenso e occorre essere attrezzati: indispensabile un giaccone pesante, soprattutto quando, a notte fonda, ci si alza per recarsi in vetta. Quando il sole sorge all’orizzonte, i primi raggi vanno a colpire la sommità della collina, e poi via via a vestire di luce i volti di guerrieri, divinità e animali: la suggestione e l’emozione sono intense.
Tornati a valle, su consiglio del gestore del rifugio, al primo villaggio di due case deviamo a sinistra; dopo parecchi chilometri di sterrato, in un paesaggio solenne, ci ricolleghiamo alla strada da Katha per il Nemrut. Si cerchino in zona i tumuli di Karakus e il Cendere Koprüsü, ponte costruito dai Romani verso l’anno 200 d.C.

Popolo senza patria
Ora si torna verso Katha e poi Adiyaman, in vista dell’enorme diga Ataturk destinata ad irrigare le pianure di tutta la regione, provocando però risentimento nella vicina Siria. Questa disputa si aggancia a un altro contenzioso ben più grave e antico: la questione curda. Il popolo curdo, che conta quasi 25 milioni di anime, è stato “cancellato” dalla carta geografica, e il suo territorio spartito fra Turchia, Iraq, Iran e Siria. Questa gente, gelosa delle proprie tradizioni, lotta per non scomparire e si sottrae come può alle prepotenze dei Paesi “ospiti”. Intanto viene letteralmente decimata da iracheni, iraniani e siriani, ma anche la repressione turca non scherza. Il governo di Ankara fa passare sotto silenzio le operazioni militari, mentre a qualche centinaio di chilometri impazza la vacanza.

Terre di confine
Urfa (o Sanliurfa), città santa per i Turchi, è storicamente uno dei luoghi più antichi: i profeti Abramo e Giobbe, e poi selgiuchidi, bizantini, persiani, turchi e arabi hanno calpestato questo suolo. Da vedere la moschea Ulu Camii del XII secolo e il Bazaar, considerato l’ultimo del genere in Turchia: ogni mattina si accalcano, nel dedalo di strade e vicoli, carretti trainati da cavalli, venditori vocianti, compratori che mercanteggiano: un caleidoscopio di popolo indaffarato e rumoroso. Non essendoci campeggi (a quanto ci risulta), i viaggiatori in tenda dovranno trasferirsi altrove, se non intendono ripiegare sulle modeste locande del luogo. Un’escursione da non perdere ci porta ad Harran (o Altinbasak), a 47 chilometri da Urfa e ormai a pochi dalla Siria. Questo affascinante villaggio, dove visse per alcuni anni Abramo, è composto da casupole edificate a forma di termitai, costruite col fango. Esistono ancora parti delle antiche mura e rovine della Grande Moschea risalente al VII secolo, dove un edificio ci viene additato come la prima università del mondo. Ad Harran è possibile cenare e pernottare, ospiti della comunità di origine irachena, la cui calda accoglienza non deve però far dimenticare che le temperature sono elevatissime, e che si dorme all’aperto su spartani lettini a castello.
Harran è la punta più estrema del nostro itinerario; ripassando per Urfa, percorrendo la strada n. 400 (E90), superiamo Gaziantep e poi Adana, capitale della Cilicia e patria del cotone. Il caos orientale è assicurato, ma senza il fascino captato altrove.
Tra Gaziantep e Adana meritano una deviazione il Parco Nazionale di Karatepe-Aslantas (presso Karatepe), che racchiude rovine d’epoca ittita, e i resti romani di Anazarbus (l’attuale Anavarza). A nord-est di Adana, e una cinquantina di chilometri a sud di Konya, è interessante una puntata al sito neolitico di Catal Höyük, la più vecchia città del mondo (7000 anni a.C.). Sino alla ormai vicina costa non è facile trovare campeggi; per chi viaggia in tenda, una soluzione economica è rappresentata dalle innumerevoli pansyon.

Alla larga dalla costa!
Ed eccoci sul mare, a Mersin; l’impatto non potrebbe essere più deprimente. Centinaia di chilometri di costa degradata con grattacieli di infima qualità, arredo urbano postbellico e confusione ci inducono a macinare strada su strada. Anche quando le spiagge lasciano il passo a scogliere e piccole baie, il turismo di massa ne annulla il fascino. Verso sera approdiamo a Anamur, ma anche qui la vista è desolante. Pazienza: stanotte campeggiamo allo Yali Motorcamp direttamente sulla spiaggia, con ristorante e bungalow, terreno a prato, buoni servizi (peccato che lì accanto si trovino orribili casermoni). Anziché prolungare la sosta, il mattino dopo filiamo via, sempre con la speranza di scovare un posticino adeguato alla fama che queste località godevano; ma senza successo. Probabilmente il saccheggio della costa è stato favorito proprio dalla strada che fiancheggia il mare. Ad Antalya la situazione è addirittura clamorosa: una vera metropoli votata al turismo di massa, con palazzoni altissimi e ogni metro di spiaggia sfruttato spietatamente. Ma ci troviamo in zona per visitare Aspendos e Termessos, che meritano ampiamente la loro fama e ripagano delle brutture della costa. Ci ha colpito soprattutto Termessos, situata 35 chilometri a nord di Antalya, in uno scenario naturale di selvaggia bellezza. Consigliamo di recarsi sul posto nel pomeriggio inoltrato, quando si diradano i torpedoni.
Memori di giudizi lusinghieri, puntiamo quindi su Cirali: grazie alla via secondaria che lo raggiunge, il luogo è esente dalle deturpazioni viste altrove. Qui si respira un’atmosfera da turismo “minore”: piccole pensioni, campeggini più o meno liberi, accoglienti ristorantini. Leggermente defilato è il camping ‘Green Point’, sulla spiaggia, ben ombreggiato e gestito da simpatici giovani. E finalmente facciamo due bagni decenti, ma non siamo i soli: sul posto incontriamo camperisti italiani fuggiti dalla costa più a nord (Marmaris, Kas…), anch’essa ormai sotto la pressione del cemento e del turismo di massa.

I laghi di Egirdir e Kovada
Tornati ad Antalya, imbocchiamo la strada n. 650 per Isparta diretti al lago di Egirdir. La Guide du Routard lo descrive come “uno degli ultimi luoghi turistici della Turchia non ancora invaso dai turisti”, calzante definizione per questo splendido lago color turchese (il quarto per grandezza). Egirdir è un piccolo villaggio di pescatori: una penisola che si protende nel lago, con una miriade di pensioncine economiche e alcuni campeggi sulla riva a nord del paese. Il piccolo centro storico, animato e gradevole, gravita intorno alla moschea del 1500 (raccomandabile una puntata al vicino hamam del XIII secolo). Un piacevole diversivo è unirsi a un’uscita sul lago di una delle barche di pescatori che stazionano sui moli. Non è da scartare una sortita alla vicina Isparta (circa 40 chilometri ad est); è la “capitale delle rose”, intensamente coltivate nei dintorni, e ad ogni angolo di strada si vendono essenze e creme, marmellate e dolci dal gusto intenso.
Vera chicca è il Kovada Golu Milli Parki (Parco Nazionale del Lago Kovada), una cinquantina di chilometri a sud, in un ambiente di selvaggia e incontaminata bellezza: canyon, foreste, laghetti e cascatelle attraversati da sentieri e ponticelli in legno. Raggiungendo il luogo con la propria vettura (anche un camper non mastodontico può farcela), si ha il vantaggio di stare sul posto quanto si vuole e la contropartita di incontrare biforcazioni male o per nulla segnalate. L’alternativa è affidarsi, chiedendo a Egirdir, ad un tassista-guida che, per una cifra ragionevole, conduce ai luoghi più suggestivi; nel prezzo sono inclusi una frugale colazione e un pasto a base di alabalik (trote) pescate nel torrente che scorre accanto al rifugio-ristoro. Si parte al mattino e il ritorno è previsto a metà pomeriggio: una interessante possibilità per chi non ha un mezzo proprio o comunque non desidera usarlo. Non ci sono problemi per il campeggio libero nella zona, consigliamo però di chiedere l’autorizzazione sul posto.
A questo punto la voglia di Turchia non è ancora esaurita, ma il nostro tempo sì, e non ci resta che puntare le ruote verso la via del ritorno.

PleinAir 312/313 – luglio/agosto 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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