Tanto di cappello

Esemplare per l'accoglienza ai turisti pleinair, l'entroterra di Fermo è una collana di graziosi borghi di origine medioevale in cui trascorrere ore di fresco relax, magari alternandosi con le vicine spiagge. Anche perché, ad attirare il visitatore, troviamo originali manifestazioni dedicate alla storia e alla tradizione locale: come a Montappone, uno dei quattro paesi celebri per la produzione dei cappelli di paglia.

Indice dell'itinerario

«Vi ho cercato con Internet… Quanto? Duecento euro?». il signore non fa una piega, paga in contanti e neppure controlla la misura né indossa il panama per uscire abbagliante nella fiera , come avrebbe scritto Garcia Lorca, anzi se lo fa accuratamente inscatolare e va via. «Duecento euro per un cappello di paglia?» chiediamo sbigottiti. «Ne abbiamo anche da mille, solo che qui non li esponiamo» ci rispondono. Occasione per collezionisti, dunque, l’annuale festa che si svolge in piena estate nel borgo marchigiano di Montappone ed è tutta dedicata a questo particolare copricapo, al punto da intitolarsi Il Cappello di Paglia. Ma in questo weekend di luglio c’è posto anche per chi vuole esibire il suo pezzo migliore, il panama a larghe tese acquistato anni fa a Portorico (in una bottega italiana); al suo fianco, la signora si è messa in testa… un residuato, o per meglio dire l’involontario regalo di un incompetente che lasciò presso un cassonetto un intero baule di preziosissimi cappelli di paglia (roba da cinema anni ’50, Vacanze romane, per dire, o di modiste coeve, per chi ricorda il genere). Non siamo ovviamente gli unici ad aver pensato di partecipare in tal modo alla manifestazione, ma tanta bella gente divertita e divertente. Anzi, la prossima volta si potrebbe ampliare l’idea organizzandosi fra equipaggi e attrezzandosi per rievocare l’antico breve film Il cappello di paglia di Firenze, in cui il grande regista francese Jean Renoir seppe riprodurre le atmosfere dei dipinti impressionisti di suo padre Auguste. Poi al culmine della serata arriva in piazza, preceduto come di consueto dalla banda di musici tradizionali, il folkloristico carro tirato dai buoi con il suo carico di paglia, anche se già ci hanno detto che il materiale di base ormai viene dall’Ecuador e con questo preparano solo i modelli. Ma il contesto rimane simpatico e coinvolgente, dimostrando che il piccolo borgo ha saputo creare dalla tradizione una vera festa. Dalla stalla a Santiago La produzione di capeli e bireti in Italia è documentata fin dal secolo XII, anche se si dovette aspettare il ‘600 perché raggiungesse dimensioni consistenti. Si trattava ovviamente di manifatture preindustriali, spesso a livello di lavoro domestico; e così il cappello di paglia nacque nelle stalle dove, secondo il principio per cui nulla si butta , questo scarto della lavorazione del grano veniva intrecciato da intere famiglie, occasione fra l’altro per ritrovarsi assieme e raccontar storie ai tempi in cui non c’era la televisione. Il notiziario era costituito dai resoconti del cappellaio tornato dalla vendita in un paese vicino: erano gli stessi produttori infatti a trasformarsi in ambulanti nell’occasione di una fiera o un mercato. “Industriali da strapazzo” scriveva nel 1905 Olivieri nel suo Della industria trecciaiuola nel Piceno, che armati di invidiabile coraggio… di solito con un modesto mezzo di trasporto si trascinano girovaghi di paese in paese”, anche se a volte il mezzo di trasporto si riduceva alle proprie gambe e il banco di vendita a una lunga asta portata a bilanciere, a cui veniva appesa la merce (come testimoniano le foto d’epoca).Questo artigianato, trasformatosi poi a poco a poco in piccola industria, prese piede in varie regioni d’Italia. Per la produzione specifica del cappello di paglia si ricordano Firenze e il circondario, Marostica nel Vicentino, Carpi in provincia di Modena e soprattutto, per ciò che riguarda le Marche, i paesi di Falerone, Montappone, Monte Vidon Corrado e Massa Fermana, il cosiddetto quadrilatero del cappello . Il prodotto italiano trovò successo anche all’estero prima di entrare in crisi per la concorrenza (già nel 1907!) di Cina e Giappone, capaci di fornire trecce a prezzo più basso, e poi per la decadenza delle mode: si pensi alla paglietta, onnipresente nei filmati d’epoca e che oggi sopravvive solo nei costumi di scena. Ma il cappello intanto se n’era partito per mete ben più lontane. Quello a larghe falde appartiene infatti al look classico del viandante e quindi del pellegrino, assieme al mantello e al bastone. Aggiungiamoci la conchiglia ed eccoci sul Cammino di Santiago, verso il Campo delle Stelle in cui fu miracolosamente rinvenuto il corpo dell’apostolo Giacomo: il quale è diventato il santo patrono dei cappellai. Nella terra dei cappelli A guardare la mappa il quadrilatero di cui sopra è più che altro una serpentina, coincidente in pratica con la strada che, di colle in colle, unisce la valle del Tenna e quella del Chienti. Che si arrivi da sud, come nel nostro caso, oppure da nord, si incontreranno l’uno dopo l’altro i piccoli centri che si contendono (anche a colpi di segnaletica!) il simbolico titolo di città del cappello . La festa di Montappone, insomma, è un’ottima scusa per visitare questo stralcio di terra ascolana diventata oggi parte della neonata provincia di Fermo, e l’estate è la stagione giusta per chi, sistematosi in una delle località della riviera marchigiana, voglia godersi una serata nel fresco delle colline e in vista dei Sibillini. Dalla statale Adriatica o dalla A14 già si staglia sul suo colle il capoluogo, immediatamente raggiungibile dall’uscita autostradale con 6 chilometri di comoda superstrada. Fermo è uno di quei centri di antica fondazione che si sviluppano tutti in salita, per strade strette o addirittura scalinate. Impensabile quindi cercare di visitarlo in camper, facendo invece il giro delle mura fino a trovare un parcheggio (non impossibile neppure in un giorno lavorativo) e da lì muoversi a piedi. Saliti sui bastioni, una porta conduce direttamente alla scenografica Piazza del Popolo, dai lunghi portici, chiusa dal quattrocentesco palazzo comunale. Subito sulla destra, oltre un passaggio coperto, la scalinata di Via della Rocca porta al punto più alto della città, la spianata detta del Girifalco, da cui si gode un panorama immenso, dal Conero alla Majella, dal Gran Sasso ai Sibillini; dietro grandi lecci e pini si staglia la cattedrale dell’Assunta, un edificio romanico dalla facciata in pietra d’Istria con uno splendido rosone e un massiccio campanile. Ridiscendendo si cerchi l’indicazione per la Piscina Epuratoria Romana: da una porticina si accede a una serie di locali dalle volte ad arco, risalenti al I secolo e tuttora adibiti a cisterna. Ripreso il veicolo, si guadagna il fondovalle raggiungendo in una ventina di chilometri lungo la statale 210 le Piane di Falerone. I cartelli permettono di giungere facilmente ai resti dell’insediamento romano di Faleria, con il grande teatro e quanto rimane delle terme. La vicina chiesetta di San Paolino, in suggestiva solitudine oltre un viale di pini chiuso al traffico, venne edificata in epoca longobarda con materiali di recupero chiaramente provenienti dagli scavi. Poco più avanti merita una sosta il borgo di Servigliano, con il singolare impianto quadrangolare voluto nel ‘700 dal papa Clemente XIV per la nuova edificazione dopo che il paese originario era rimasto inghiottito da uno smottamento. Tornati alle Piane (volendo si può pernottare nell’area attrezzata poco lontano dal sito archeologico) si sale ora al paese di Falerone, prima tappa dell’itinerario dei cappelli. Nel Museo Civico sono conservati i reperti provenienti dagli scavi di Faleria, mentre il centro storico è nobilitato da due edifici del ‘400: una casa sul corso principale e la Loggetta dei Mercanti in Piazza della Libertà. Assolutamente da non perdere, nella chiesa di San Fortunato, una tavola del grande pittore di origine veneziana Vittore Crivelli che nel XV secolo, assieme al fratello Carlo, lasciò innumerevoli testimonianze in questi luoghi. A 4 chilometri, deviando sulla strada per Sant’Angelo in Pontano è possibile ammirare un rosone gotico sulla chiesina rurale di Santa Margherita, vegliata da una torre campanaria incompleta del secolo XIII. Ripreso il nostro percorso, in meno di 3 chilometri si giunge alla seconda tappa. Del borgo fortificato di Monte Vidon Corrado rimane solo un torrione trecentesco, ma il paese vanta l’aver dato i natali al pittore Osvaldo Licini (1894-1958) detto il Paul Klee d’Italia , che negli ultimi anni tornò qui da Parigi accettando persino di fare il sindaco. In occasione del cinquantenario della scomparsa, all’artista è dedicata una mostra che si potrà visitare con calma approfittando del punto sosta comunale poco lontano dal centro. A Montappone, festa del cappello a parte, è interessante salire alla parte alta – oggi pressoché disabitata – dove si trovano i resti del castello che fanno da sfondo alla manifestazione, l’oratorio del Sacramento con un bel portale in cotto del XIV secolo e affreschi del ‘500 e la chiesa di Santa Maria che contiene un dipinto attribuito al Pomarancio. Salendo sugli spalti, al belvedere chiamato Caminata de la Vela Vista e magari sedendosi ai tavoli del bar-ristorante (in cui vengono organizzate speciali cene con menù tradizionali, lo magnà de’na’ota) si potrà ammirare lo splendido tramonto sui Sibillini. Nel paese basso – in cui vengono allestiti durante la festa ampi parcheggi serviti da navette gratuite che fanno incessantemente la spola con il castello – da non perdere il Museo del Cappello, fra i cui pezzi originali spicca il famoso copricapo a quadretti bianchi e neri che usava Federico Fellini, donato dalla sorella del grande artista ed esposto su una sedia da regista. Ultima meta della strada dei cappelli, Massa Fermana offre un altro castello trecentesco di cui rimane la spettacolare porta turrita di Sant’Antonio, con due doppie logge. Interessanti i reperti nella pinacoteca comunale, mentre nella parrocchiale dedicata ai Santi Lorenzo, Silvestro e Rufino si ammirano una Madonna col Bambino, altra tavola di Vittore Crivelli, nonché un polittico del fratello Carlo. Da qui si potrà facilmente rientrare alla base costiera tornando a prendere la statale di fondovalle, che collega anche alle principali direttrici stradali per il rientro se la vacanza fosse già agli sgoccioli.

PleinAir 432-433 – luglio-agosto 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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