Sul fronte occidentale

Nel febbraio 1916 ebbe inizio la lunghissima battaglia di Verdun, nel luglio dello stesso anno quella della Somme, eventi cruciali della Prima Guerra Mondiale in Francia. Oggi la natura ha ripreso il sopravvento su rovine, trincee e crateri scavati dalle bombe, mentre la storia del conflitto e la memoria dei caduti parlano attraverso musei e memoriali protagonisti di un inconsueto percorso tematico.

Indice dell'itinerario

Chi ha la fortuna di avere tempo a disposizione per i viaggi, anziché doversi affrettare a raggiungere la meta prefissata può divagare a lungo, anche senza un programma preciso, lasciandosi magari guidare dai cartelli che segnalano emergenze storiche o artistiche. E’ così che trovandoci in Francia e attraversando la Piccardia, tappa obbligata per chi si sta recando in Inghilterra, e poi sulla strada del rientro in Italia, abbiamo scoperto un’interessante realtà che non avevamo neppure messo in programma.
La parte settentrionale dell’Esagono è nota, agli appassionati di vicende militari e non solo, per lo sbarco in Normandia. Pochi invece ricordano che da queste parti si era combattuto aspramente anche trent’anni prima: dal Belgio ai confini della Svizzera, infatti, correva il fronte occidentale della Grande Guerra. Quasi un secolo è trascorso da quell’evento tragico che segnò la fine di un’epoca nonché del modo di combattere, quando le strategie ottocentesche si scontrarono con gli effetti devastanti delle nuove armi: le mitragliatrici, i lanciafiamme, i gas, l’aviazione. Basti pensare che alcuni reparti dovettero sostituire le sgargianti uniformi di cui andavano fieri con altre meno appariscenti, in quanto facile bersaglio per il nemico. Ma gli errori si sarebbero ripetuti con la Seconda Guerra Mondiale. Visto che le trincee dopotutto avevano funzionato, i francesi decisero di costruire una linea di bunker in cemento con passaggi sotterranei, chiamata Maginot, che avrebbe dovuto costituire un confine insormontabile: e invece i Panzer tedeschi, scoperto il suo punto più debole, nella primavera del 1940 la sfondarono e la aggirarono.
La natura per fortuna ha ripreso il sopravvento sui campi di battaglia, dove sembrava non potesse crescere più nulla. Fitti boschi avvolgono fortificazioni da cui oggi non si scorge l’orizzonte, le voragini causate delle bombe sono state quasi tutte riempite e i villaggi, ove possibile, ricostruiti, in qualche caso anche due volte perché distrutti in entrambe le guerre. Nella prima, che in Francia si combatté dal 1914 al 1918 (l’Italia vi sarebbe entrata nel 1915), i punti chiave furono Verdun a sud, sulla Mosa, e la Somme a nord.

Un milione di caduti
La Somme è un fiume lungo 245 chilometri che nasce ai confini con il Belgio e scende per larghi meandri, attraversando Amiens e gettandosi nella Manica con un ampio estuario presso Saint-Valéry. Sulle sue rive si svolsero due fondamentali battaglie della Grande Guerra: quella del 1914, vinta dai tedeschi sull’esercito franco-inglese, e quella del 1916 con cui gli inglesi liberarono il Belgio e i dipartimenti francesi occupati dai tedeschi. Ce lo ricordano i vari cimiteri sparsi qua e là e i cippi commemorativi, fra cui quelli dedicati alle truppe australiane, neozelandesi e sudafricane che affiancarono quelle britanniche. Sorprende al riguardo non trovare cimiteri militari locali: ma in Francia, abbiamo appreso, c’è la tradizione di riportare le salme identificate alla loro terra d’origine, e qui erigere un monumento (pare d’altro canto che in tutta la nazione siano solo diciassette i paesi che non hanno avuto neppure un caduto nelle due guerre mondiali e, non si dimentichi, in Algeria e in Indocina).
Ma non ci sono solo questi tristi monumenti a ricordarci gli scontri della Somme. Il nostro itinerario parte da Albert, una cittadina industriale del primo ‘900 che nessuna guida segnala e che bisogna andarsi a cercare sulla carta, una trentina di chilometri a nord-est di Amiens. Sotto un edificio vegliato dal Memorial, un grande murale inneggiante ai caduti, una galleria di 250 metri che di certo fu rifugio al tempo dei bombardamenti è stata trasformata in un singolare museo della guerra, con ventidue vetrine in cui sono ricostruiti tutti i momenti di vita quotidiana dei militari coinvolti, impersonati da figure a grandezza d’uomo. Interessanti, più che le armi, i vari oggetti che facevano parte del corredo di un soldato, dall’attrezzatura per la barba ai fornelli alle borracce che – a parte il dovuto rispetto per i caduti – si rivelano pittoreschi antenati dei nostri accessori da campeggio. A una svolta del tunnel, effetti speciali riproducono in son et lumière un bombardamento. Sorprendente è poi la risalita dal sottosuolo, poiché ci si ritrova su strade sconosciute e, in mancanza di altre indicazioni, si è costretti a chiedere per ritornare al punto di partenza, nei cui pressi abbiamo lasciato il camper. Fra le tante pubblicazioni, al bookshop del museo è possibile procurarsi un libretto con il riassunto degli eventi e la guida ai campi di battaglia della zona, nonché una cartina che permette di visitare i luoghi più significativi. Il circuito della Somme è altresì segnalato da una cartellonistica che porta come logo un papavero rosso (involontario omaggio a Fabrizio De André e alla sua celebre Guerra di Piero).
Uscendo da Albert sulla D929 in direzione Bapaume, dopo circa 5 chilometri si incontra in località La Boisselle, a fianco della strada, la grande mine, una voragine conica ricoperta d’erba che sembra il cratere spento di un vulcano: si tratta invece dell’effetto devastante di una bomba, lasciato com’era da quell’epoca. Da qui si retrocede ad imboccare sulla destra la D20 per Aveluy e da qui la D50 verso nord fino a Beaumont, dov’è un primo memoriale dedicato alle truppe della Nuova Zelanda. Tornando verso la Somme, per la D73 si arriva in breve a Thiepval in cui sorge il Mémorial Franco-Britannique, con annesso centro visitatori. Proseguendo fino a Pozières ci si ritrova nuovamente sulla D929 che, svoltando a sinistra, si percorre per pochi chilometri fino a Courcelette da cui, a destra, si stacca la D6. Procedendo sempre dritti (anche se la strada cambia numero) si incontreranno a Longueval il memoriale sudafricano, con relativo museo, e svoltando per la D20, a Rancourt, la Chapelle du Souvenir Français. Da qui infine, scendendo verso sud con la N17, si va a visitare a Péronne l’Historial de la Grande Guerre, importante museo che in quattro sale racconta l’intero conflitto con le storie parallele dei primi tre paesi belligeranti, Francia, Regno Unito e Germania, dalle premesse al conteggio delle vittime (ben 9 milioni di morti e 20 di feriti!) alla ricostruzione del dopoguerra; nella sala di proiezione si può assistere a un film in tre lingue della durata di 20 minuti sulla battaglia della Somme, che da sola fece oltre un milione di vittime, ma ancora più interessanti sono i video distribuiti sul percorso della visita, formati da reperti restaurati provenienti dagli archivi dei paesi in guerra.
Ma nella valle della Somme a tenerci compagnia non sono solo i ricordi bellici e le relative meditazioni (per chi e per cosa ci si massacrò inutilmente, qui come altrove e per due volte in un secolo, visto che nell’Europa pacificata e unita i confini tra gli stati ex belligeranti sono più o meno rimasti quelli originari?). Scesi da Albert a Bray-sur-Somme, si cerca l’indicazione per Froissy. Qui un convoglio turistico a vapore conduce dopo una risalita a zig-zag, marcia avanti e marcia indietro su binari paralleli collegati da scambi che sostituiscono l’impossibile tornante, sulla Haute Somme per un’escursione di 14 chilometri (tanto per restare in tema, la linea venne usata per le tradotte militari). Alla stazione di Cappy, per affrontare l’ultimo tratto di salita, al treno viene agganciato un piccolo locomotore diesel: e si arriva infine sull’altopiano di Santerre da cui si gode uno straordinario panorama.
Tornati a riprendere il v.r. si discende il corso della Somme fino a Corbie, la cui abbazia, fondata nel 657 e riedificata dopo le distruzioni belliche era famosa nel Medioevo per i suoi copisti, i cui reperti sono visibili nell’attiguo museo. Nella graziosa cittadina di case a mattoncini si parcheggia comodamente sotto i tigli del piazzale di fronte alla chiesa, anche se un collega ha preferito la chiusa del vicino canale; da qui possiamo completare il nostro pellegrinaggio nei luoghi della Grande Guerra con due brevi puntate, per visitare due memoriali australiani: a sud per la D23 fino a Villers-Bretonneux, dove al monumento è annesso un museo, ad est per la D96 fino a Le Hamel.
Amiens, nei secoli importante centro commerciale e manifatturiero con il suo grande porto fluviale che dista solo 60 chilometri dall’estuario della Somme, è soprattutto nota per la cattedrale duecentesca di Notre-Dame, la più grande di tutta la Francia, esempio massimo di architettura gotica: semplicemente straordinaria la facciata, ancora più bello e famoso il portale della Vergine sul lato sud del transetto, ma altresì notevoli sono le dimensioni nonché l’armonia dell’interno, ricco di statue e tombe (non si perda l’angelo piangente in faccia alla cappella absidale). La città viene anche chiamata la Venezia di Piccardia, e l’ennesimo riferimento alla Serenissima lì per lì ci infastidisce: si è perso il conto di quante volte l’abbiamo incontrato in giro per il mondo, e se bastano due canali in croce… Finché non scopriamo, a due passi dalla cattedrale, les jardins flottants, un fertilissimo marais che si estende per 300 ettari. Furono gli antichi Romani a scoprirlo e a valorizzarlo, e ancora oggi i suoi orti sono curati dagli abitanti di Amiens che si spostano lungo la fitta rete di canali con delle imbarcazioni caratterizzate dai cornets, prue sollevate per poter accostare senza danni. La visita guidata in barca si può effettuare rivolgendosi al civico 54 del Boulevard de Beauvillé.
Continuando lungo la N235 che segue il fiume si incontra Picquigny, vegliata da uno château che non è la solita fastosa residenza bensì una piazzaforte con mura spesse 4 metri, i barbacani e ben due prigioni: ma a dispetto della sua vocazione militare, è passato alla storia perché nel 1475 i re di Francia e d’Inghilterra siglarono proprio qui il trattato di pace che pose fine alla guerra dei Cento Anni.
Di tutt’altro genere il castello che, poco più avanti, si può incontrare sull’altra riva della Somme a Long: stavolta si tratta davvero di una residenza, e chi vi abitò poté togliersi lo sfizio di godere ogni giorno dell’anno di una diversa visione dell’esterno, tante sono le finestre da cui è possibile affacciarsi. Ma ben altra camera con vista si gode tornando, a conclusione del nostro itinerario, nella città bassa di Picquigny che, in barba al sovrastante castello, è passata alla storia delle nostre notti in libertà per averci regalato un punto sosta sul fiume assolutamente eccezionale, un moletto che sembrava messo lì apposta per ospitare un solo privilegiato equipaggio.

Dieci mesi di battaglia

Una cartina più estesa, anch’essa fornita dal museo di Albert, copre l’intero fronte occidentale, e il simbolo del papavero rosso ci accompagna a Verdun. Di nuovo sembra impossibile che tra queste serene colline tappezzate dai boschi ci si sia un tempo scannati nel tiro al bersaglio o nei corpo a corpo della guerra di trincea; ma se non bastassero a ricordarlo i vari cippi e cimiteri che si incontrano sul percorso di avvicinamento, troneggia sulle colline adiacenti la città, al centro di un parco e del percorso chiamato Tour de Vaux-Douaumont, un angosciante ossario a forma di barca capovolta la cui deriva è costituita da un’enorme torre.
Verdun è stata dichiarata città martire della Prima Guerra Mondiale perché qui si combatté per dieci interminabili mesi. dal 21 febbraio 1916 al 19 dicembre dello stesso anno, con incalcolabili perdite umane: le opposte trincee erano così vicine che il campo di battaglia sulle rive della Mosa vanta il non invidiabile record della maggior densità di morti per metro quadrato. Anche per questo si è detto che qui finì un’epoca, quella della guerra di posizione e del suo inutile massacro. Al riguardo il forte di Douaumont è per i francesi un simbolo della resistenza al nemico che con testardaggine teutonica vi immolò divisioni su divisioni, proprio come sarebbe accaduto trent’anni più tardi a Stalingrado. Un monumento alla vittoria, a forma di piramide, si trova anche in pieno centro in cima a una scalinata: all’interno i Livres d’Or riportano i nomi di tutti coloro che, caduti o sopravvissuti, parteciparono alla battaglia. Verdun vanta inoltre una cattedrale romanica fondata nell’XI secolo e via via rimaneggiata sino alla costruzione, nel XVIII secolo, delle due torri che caratterizzano il profilo della città; notevole il chiostro, realizzato fra ‘400 e ‘500 in stile gotico flamboyant. Nel centro storico, diversi palazzi dalle facciate liberty.
Simbolica partenza del Tour de Vaux-Douaumont è il monumento eretto nel 1935 (subito fuori dal centro storico, oltre il ponte sulla Mosa) in cui cinque soldati dei diversi paesi fanno muro contro il nemico. Presa la direzione di Metz e sorpassato un altro memoriale, un giardino in cui sono schierati tanti cannoni, si svolta a sinistra per la D913. Salendo in un bosco si incontra dopo un paio di chilometri un’indicazione per la casamatta Pamard, 400 metri da percorrere a piedi per un sentiero che si addentra nel verde, e subito dopo il bivio, presidiato da un monumento ai fucilieri, un’altra indicazione per il Fort de Vaux. Altri 3 chilometri ed ecco il primo dei due forti attorno ai quali si svolse la battaglia di Verdun: se ne visitano le gallerie, mentre nel circondario altri sentieri percorrono il bosco verso resti di altre fortificazioni.
Tornati sulla D913, si incontra un cippo: è quanto rimane del villaggio di Fleury, raso al suolo (dopo essere stato riconquistato addirittura sedici volte) e mai più ricostruito. L’Ossuaire de Douaumont è poco più avanti: qui sono sepolti i caduti rimasti ignoti, mentre dall’altra parte della strada agghiacciante è la distesa di croci del cimitero in cui riposano 15.000 morti. Ed ecco il Fort de Douaumont, il caposaldo strategico che decise le sorti della battaglia dopo che i due opposti schieramenti, per conquistarlo e perderlo, a turno si erano quasi annientati. Proprio di fianco si scende per il cosiddetto burrone della morte e per la trincea delle baionette, conservata sotto una tettoia così come fu trovata: fa impressione pensare che le armi affioranti dal terreno (da cui il nome) nascondano dei resti umani. Qua e là dei cannoni puntano oggi verso frassini, faggi e pioppi, cresciuti nei decenni successivi al conflitto a rendere ancora più irreale lo scenario. A un incrocio, lungo il tragitto, si incontra la statua di un leone dormiente in pietra. E’ stato posto nel punto estremo in cui arrivarono le truppe tedesche e vuole ricordare il Leone di Belfort, che fu eretto nell’unico luogo in cui la Francia resistette ai prussiani nella perduta guerra del 1870-1871. Ci sarà da qualche parte un terzo leone riguardante la Seconda Guerra Mondiale? Per fortuna ora l’estenuante revanche sembra finita…
Il Tour de Vaux-Douaumont si conclude chiudendo l’anello in direzione di Verdun con la D913b, avendo percorso in tutto una trentina di chilometri. Se non lo si è fatto all’andata, uscendo da Verdun si può seguire in direzione di Bar-le-Duc la Voie Sacrée, una strada i cui paracarri sono sormontati da elmetti militari. Dopo tante amare riflessioni concludiamo con un po’ di dolcezza a Commercy cercando les madeleines, i soffici dolcetti che Marcel Proust citava nella sua Recherche: il primo volume, Dalla parte di Swann, usci nel 1913, solo un anno prima dell’inizio della guerra.

PleinAir 439 – Febbraio 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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