Succo di Carnevale

La Battaglia delle Arance lo conclude in un bagno di... succo. Ma il Carnevale d'Ivrea è ben altro e di più: è una festa lunga e complessa, anzi la vera festa della comunità residente. Il calendario è così ricco e la città così ospitale che l'occasione di visitare l'una per seguire l'altro non si può mancare.

Indice dell'itinerario

Anche voi siete di quelli che non si curano troppo di questa festa: un vestitino da Zorro al bambino, qualche dolce fritto, magari una festicciola in maschera, tanto per cambiare un po’. Allora non siete mai stati a Ivrea: il Carnevale, qui, è una cosa seria, organizzata e curata nei minimi particolari. Uno show per attirare turisti? Assolutamente no, anche se i turisti in effetti sono moltissimi, a volte troppi per una cittadina così piccola.
Noi abbiamo seguito passo passo lo Storico Carnevale nei suoi ultimi più intensi giorni, quelli che vanno dal sabato al Martedì Grasso. La festa è davvero grande, con una partecipazione della gente davvero straordinaria, ma è solo al funerale del Carnevale che ci siamo resi conto fino in fondo di quanto sia vera e genuina.
ll funerale inizia intorno a mezzanotte del Martedì Grasso. Scende, lungo la strada principale del centro di Ivrea, una processione silenziosa illuminata da una marea di fiaccole ondeggianti nella notte e preceduta da un drappello di persone che indossano una divisa dall’aria antica, simile a quelle degli ufficiali napoleonici. Rappresentano lo Stato Maggiore e durante tutto il Carnevale sono impegnati a proteggere il regolare svolgimento della manifestazione; trascinano le loro spade sul selciato producendo un suono lugubre e penetrante che si diffonde lungo i muri della città. L’atmosfera è triste a tal punto che qualcuno tra la folla piange sommessamente, e a chi guarda la scena dall’esterno tutta questa commozione può sembrare perfino eccessiva. Eppure l’emozione che palpita nel cuore dei presenti è autentica: è un forte sentimento di lutto per qualcosa che sta terminando, un’esperienza che avendo accomunato per giorni e notti molti di loro va ben oltre le parate in costume e il cerimoniale della manifestazione. Così, come è capitato a noi, non prendetevela se qualcuno di questi ufficiali in divisa ottocentesca vi sposta brutalmente dal mezzo della parata mentre state cercando di fotografare le spade che si trascinano sull’asfalto. Capirete invece che il Carnevale d’Ivrea non è solo un momento ludico, ma anche e soprattutto una faccenda ritualmente molto importante per gli eporediesi (così chiamati dall’antico nome della città, Eporedia, fondata dai Romani nel 100 a.C.) che più o meno sono tutti coinvolti. E la cosa straordinaria è che ognuno di loro riesce ad esserne a suo modo protagonista (si dice che alcuni gruppi provino la loro parte per mesi), grazie alla grande ritualizzazione raggiunta nel corso dei decenni e alla perfetta organizzazione della manifestazione, gestita da uno speciale Consorzio per l’Organizzazione dello Storico Carnevale d’Ivrea. Vi partecipano oltre 1500 persone che indossano costumi tradizionali, tra cui spiccano i due protagonisti: il Generale e la Bella Mugnaia. I ruoli sono solitamente ricoperti da persone di un certo livello sociale, sia per il prestigio di questa carica sia per il peso economico che devono sostenere (sembra che buona parte dei costi organizzativi ricada sui due famosi personaggi, ma l’onore è tale che i pretendenti non mancano mai). Il primo rappresenta il nuovo ordine e il nuovo potere nella città nel periodo del Carnevale (tanto che alla sua investitura, il Giovedì Grasso, riceve dal sindaco piena autorità), mentre la seconda impersona la fanciulla che – narra la leggenda – diede origine nel Medioevo alla rivolta popolare nei confronti del dispotico conte Ranieri di Biadrate (esistito realmente nel 1200 circa, citato anche da Dante nella Divina Commedia) che pretendeva di esercitare sulle giovani spose lo ius primae noctis nel giorno delle nozze. La bella e coraggiosa figlia di un mugnaio, Violetta, si ribellò al sopruso e nel corso della notte fatidica uccise il tiranno e ne mozzò la testa mostrandola al popolo dalle finestre del castello. Scoppiò una violenta insurrezione, conclusasi con la distruzione del castello e il giuramento che non ne sarebbe stato mai più edificato uno in quel luogo. E ancora oggi, cantando “Il castello non c’è più…” con l’accompagnamento musicale della magnifica banda di pifferai e tamburi locali, la gente di Ivrea saluta le principali manifestazioni del Carnevale. Del resto è a questa rivolta popolare (poi mescolatasi man mano con altre vicende che hanno influito sullo sviluppo di Ivrea) che si rifà tutta la complessa rievocazione del Carnevale, considerato il più antico d’Italia. Le sue prime rappresentazioni sono avvenute addirittura in epoca prenapoleonica, quando in città si festeggiavano ben cinque diversi Carnevali, uno per ogni rione; in seguito, durante il governo napoleonico, questi vennero unificati anche per motivi di ordine pubblico.
Lo Storico Carnevale d’Ivrea è però una kermesse in continua evoluzione: la figura della Bella Mugnaia, ad esempio, venne istituita solo intorno al 1850 (con caratteristiche che ricordano Giovanna d’Arco); e anche la Battaglia delle Arance, uno dei momenti più spettacolari della manifestazione, è in uso solo dall’inizio del Novecento. Sembra che qualcuno da una finestra lanciò sulla processione un’arancia che gli venne prontamente rilanciata. Negli anni successivi questo episodio venne riadattato ricreando una situazione che ricordava simbolicamente lo scontro tra i soldati del tiranno e i popolani in rivolta, gli uni trasportati da carri, gli altri a piedi; una battaglia rigorosamente solo a colpi di arance (che più di un occhio nero non fanno!). Oltre allo Stato Maggiore vi sono molti altri gruppi di spicco, quali le Vivandiere, gli Alfieri portabandiera che aprono la parata inaugurale, i già ricordati pifferi e tamburi e gli Abbà, un tempo i priori dei vari rioni, oggi impersonati da dieci bambini che portano una spada con un’arancia infilzata sulla punta a rappresentare la testa mozzata del tiranno. Ma ci sono tanti altri gruppi e personaggi che non basterebbe un libro per descriverli tutti nei minimi particolari. Dei cavalli però, specie di quelli che trainano in pariglie e quadriglie i carri da battaglia, non si può non parlare: sono straordinari, bellissimi, perfettamente addestrati e magnificamente bardati. Tra i lanciatori di arance (a proposito, chiunque può iscriversi a una squadra di lanciatori a piedi) vige una sorta di regola d’onore che proibisce di colpire intenzionalmente i cavalli; le persone sono più o meno al sicuro se indossano un copricapo rosso, il berretto frigio simbolo di imparzialità nella disputa, ma le arance vaganti non si sa dove vanno a colpire. Così tra grandi parate e rievocazioni storiche, tra inimmaginabili “aranciate” (ogni anno circa 4000 quintali, tutti destinati comunque al macero, ci tengono a far sapere dal consorzio organizzatore), incendio rituale degli Scarli (pali di legno ricoperti di erbe secche, conficcati nel mezzo delle piazze, ai quali viene dato fuoco) e infine anche un funerale, si svolge il più lungo, il più antico e il più passionale Carnevale d’Italia.

Il centro storico
Prima di immergersi nell’atmosfera festiva, è d’obbligo un’accurata visita della città. Si può iniziare da Piazza Balla, prossima al comodo parcheggio di Piazza Freguglia, entrando in Via Palestro che dopo un centinaio di metri si apre sull’ottocentesca Piazza Ottinetti, incorniciata da palazzi porticati tra i quali la Biblioteca Civica e il Museo Civico Garda (raccolta d’arte orientale e una sezione archeologica). Si continua in Via Palestro per imboccare sulla destra la stretta Via Giacosa che sbuca proprio davanti all’omonimo teatro; costruito nel 1834 conserva l’impianto ottocentesco, con la forma a ferro di cavallo e i palchi a vari ordini sovrapposti. Si prosegue verso sinistra in Via Gariglietti e poi a destra, salendo lungo Via Peretti, fino a giungere nella Piazza del Duomo: edificato nel IV secolo, rifatto nel X e ristrutturato infine nel 1700, mantiene della costruzione romanica originaria i due campanili absidali, il tiburio e la cripta, mentre la facciata è neoclassica. All’interno, nella cripta degli affreschi del XII e XIII secolo e nella sacrestia, due dipinti di Defendente Ferrari (XVI secolo). Attraverso il vicolo San Nicola si passa in Piazza Castello, posta su un’altura che domina i dintorni, dove l’insieme del castello, del palazzo vescovile e del duomo costituisce uno dei più begli scorci della città. Sulla destra del duomo l’imponente castello ora diroccato, costruito nel 1358 per volontà di Amedeo VI di Savoia, ha mantenuto il suo aspetto di fortezza difensiva: Eporedia infatti, trovandosi all’ingresso della Valle d’Aosta, aveva una posizione di grande importanza strategica.
Da Piazza del Castello si scende per Via Vaglia e poi per Via 4 Martiri fino a ritornare in Via Palestro dove, verso sinistra, si sbuca nella Piazza Nazionale. Qui il Municipio, costruito nel 1758, presenta una notevole torre campanaria sormontata da una piantina di canapa, simbolo del Canavese. Si riprende Via Palestro che diventa poi Via Arduino e si attraversa il centro storico fino a Piazza Gioberti, dove si svolta a sinistra per Via Guarnotta. Qui si giunge in vista della Dora Baltea, la “cerulea Dora” del Carducci. Si segue il fiume percorrendo Corso Re Umberto per tutta la sua lunghezza sino a sfociare in Corso Gallo al termine del quale sorge la romanica torre-campanile di Santo Stefano, ultimo reperto dell’abbazia costruita nel 1041 per accogliere i frati dell’Ordine Benedettino. Svoltando a sinistra in Corso Botta c’è da notare la struttura davvero unica dell’Hotel La Serra, la pianta del quale mostra, se vista dall’alto, la forma di una macchina da scrivere (le camere da letto sporgenti ne ricordano i tasti), ovvero una delle geniali architetture dell’era olivettiana (gli Olivetti hanno segnato com’è noto la fase dello sviluppo industriale della zona).
Poco oltre si ritorna al punto di partenza in Piazza Balla, e ora che conosciamo il palcoscenico del Carnevale non resta che godersi lo spettacolo.

PleinAir 378 – gennaio 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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