Storie di montagna

A Castel Firmiano, piccolo gioiello del Medioevo altoatesino tornato a nuova vita, compie un anno il quarto museo di Reinhold Messner.

Indice dell'itinerario

La rocca più visibile dell’Alto Adige è uscita dall’abbandono. Fra le torri e le mura di Castel Firmiano – lo Schloss Sigmundskron che domina Bolzano, l’autostrada del Brennero e la conca che si stende verso Merano – è stato inaugurato a giugno 2006 il quarto dei musei che Reinhold Messner, uno dei più famosi alpinisti di tutti i tempi, dieci anni fa ha iniziato a dedicare alle montagne: prima Castel Juval, poi il Monte Rite, Solda e ora questa nuova tappa sudtirolese.
Il colle di Firmiano, affacciato sulla confluenza dell’Isarco nell’Adige e sul punto d’incontro delle strade che salgono verso il Passo Resia e il Brennero, era abitato fin dalla preistoria, come hanno dimostrato gli scavi archeologici. La fortezza che vediamo ancora oggi ha invece preso forma nel Medioevo, quando i conti di Tirolo avevano la necessità di bloccare l’espansione di Venezia verso nord; dall’800 in poi le mura sono cadute in rovina, mentre nel fabbricato del castello è stato realizzato un ristorante. Qui, dopo l’annessione dell’Alto Adige all’Italia, si sono svolte importanti manifestazioni della Südtiroler Völkspartei e di altri movimenti politici. Poi è arrivato Reinhold Messner, individuando proprio in Firmiano il centro del sistema dei Messner Mountain Museum. Il restauro è stato curato dalla Provincia di Bolzano, poi Reinhold ha arredato l’interno con cimeli alpinistici e opere d’arte in parte provenienti dalla sua collezione privata e in parte realizzate per l’occasione. Il risultato è un percorso affascinante, di grande attrattiva per chi conosce la storia della montagna e dell’alpinismo, ma anche per il semplice turista che resta a bocca aperta di fronte alle mura, alla bellezza degli oggetti esposti, al panorama che abbraccia i vigneti, le città, le guglie dolomitiche dello Sciliar, il granito delle montagne di Tessa e i lontani ghiacciai dell’Ötztal. Sulla cima della collina, dove sorge una chiesa affrescata del Mille, non si può salire: l’itinerario gira intorno alla vetta proprio come una kora, il pellegrinaggio buddhista attorno al monte Kailas, in Tibet.
Spiega Reinhold Messner: «Delle cinque torri ognuna è dedicata a un tema, illustrato con opere d’arte e cimeli». Dall’ingresso, superati la biglietteria, lo shop e il caffè-enoteca all’aperto, si raggiunge l’antica residenza che oggi accoglie esposizioni temporanee. Subito dopo è il mastio di Firmiano, dove si scopre un’interessante raccolta dedicata alla storia dell’Alto Adige e del castello. «La storia recente da queste parti è un tema controverso. Nel resto del museo ho fatto quello che ho voluto, qui la Provincia ha controllato l’allestimento» sorride l’alpinista trasformato in imprenditore culturale.
La torre nord, che si raggiunge per un camminamento sospeso, è dedicata al rapporto tra la montagna e la fede, evidente in Mosè come nel Buddha, raccontato con dipinti, sculture e dei magnifici thangka, colorati arazzi tibetani che contrastano con le antiche pietre delle mura. All’esterno è un suggestivo teatro all’aperto, scavato nella roccia e appoggiato alle mura della fortezza. Ripide scale portano a una terrazza da cui lo sguardo spazia ancora verso Bolzano e le Dolomiti, mentre in una galleria artificiale sono in mostra opere dedicate ai cristalli e alla figura di Re Laurino, il sovrano dei nani protagonista di una celebre leggenda dolomitica. Una passerella conduce a un macigno apparentemente in bilico che simboleggia la punizione di Sisifo, costretto a spingere verso l’alto un macigno che rotolava regolarmente a valle.
Il mito è un’ottima introduzione, secondo Messner, alle successive tre torri dedicate a quella fatica inutile che è l’alpinismo. La prima, ancora affacciata sul capoluogo, racconta l’invenzione e lo sviluppo di questa disciplina dalla conquista del Monte Bianco nel 1786. La seconda, rivolta verso la valle dell’Adige e la strada che porta a Trento, è dedicata a vette come il Cervino, le Tre Cime di Lavaredo o l’Eiger dove gli alpinisti hanno scritto le loro grandi avventure; in due commoventi salette sono esposte le fotografie in bianco e nero di un centinaio di loro, insieme a reperti (chiodi, capi di abbigliamento, calzature) delle salite più importanti. La terza torre, che è l’ultima dell’esposizione, si rivolge alle grandi montagne del mondo, dagli 8.000 dell’Himalaya alle cime più alte dei continenti come il Mc Kinley e l’Aconcagua. Un bellissimo prato, utilizzato per manifestazioni e conferenze sotto la sorveglianza di un’austera divinità nepalese, precede lo stretto passaggio nelle mura che segna la conclusione della kora di Firmiano.
Difficile insomma che la visita del museo e del castello non susciti forti emozioni, anche se non si pratica l’alpinismo. Come spiega Messner, «levando lo sguardo verso i monti non è importante ciò che comprendiamo, ma ciò che proviamo».

PleinAir 419 – giugno 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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