Storie di ghisa

A Longiano, tappa del nostro viaggio fra i presepi romagnoli, c'è anche un originale museo dedicato alla tradizione dell'arredo urbano.

Indice dell'itinerario

La ghisa è un materiale povero, non raffinato, uno stadio intermedio nella produzione dell’acciaio. In passato è stata largamente usata per gli arredi urbani, quegli stessi che abbiamo quotidianamente sott’occhio senza neppure farci caso: lampioni, cancellate, fontane, aerei padiglioni oggi chiamati gazebo, picchiotti delle porte e i cosiddetti scansaruote, che proteggevano gli spigoli degli edifici e gli ingressi dei palazzi nobiliari dalle ruote delle carrozze. A tali manufatti non è stata mai data troppa importanza finché qualche saggia amministrazione, rendendosi conto che facevano parte insostituibile dello scenario urbano, ha pensato bene di ripristinarli anziché sostituirli con i corrispondenti moderni, se non altro per rispetto all’immagine storica della città. E a questo punto si inserisce la figura di Domenico Neri, decoratore, artigiano, artista e infine imprenditore che nel 1962 decise di impiantare dal nulla sui colli cesenati, a Longiano, una fabbrica destinata proprio al salvataggio e al recupero di questo patrimonio poco conosciuto. Se nel luogo in cui risiedete ci sono, per dirne una, lampioni in ghisa da poco restaurati, è probabile che siano passati da queste parti; ma gli interventi delle officine Neri si possono ammirare al Parco della Montagnola di Bologna, in Piazza della Scala a Milano, e ancora a Bergamo, Pisa, Voghera, Vigevano, Loreto, Ancona… Nella sede centrale dell’azienda, oggi una grande società per azioni, uno sterminato archivio fotografico censisce tutte le opere effettuate in Italia e in alcune grandi città estere: si scopre così che i fanali schierati lungo la Riva degli Schiavoni, a Venezia, sono simili a quelli che ornano il ponte di Dublino: ma non è un’incredibile coincidenza, semplicemente è stata la stessa ditta a costruirli. A Torino, invece, una storia di segno opposto: i lampioni originali erano andati perduti e non c’erano vecchie foto o dipinti a documentarli, così si è dovuto ricorrere alla vicina Asti i cui esemplari erano di una foggia molto simile. I pezzi che non si potevano restaurare e che quindi sono stati duplicati, oppure quelli di cui le amministrazioni intendevano disfarsi e che sono stati opportunamente salvati, ora sono esposti nel Museo della Ghisa di Longiano, inaugurato nel 1998 nella sconsacrata chiesetta settecentesca di Santa Maria delle Lacrime. L’impatto è di grande emozione, fra i muri senza più intonaco ma che conservano alcuni fregi, la luce che piove dall’alto nell’abside e al posto delle statue, nelle nicchie e là dove c’era l’altare, i reperti in ghisa provenienti dai luoghi più disparati (le foto alle pareti attestano la loro primitiva collocazione). In fondo alla navata, un affusto di cannone nella cui bocca da fuoco per Natale viene piazzato un piccolo presepio, inserito nel percorso tematico di visita del borgo. L’esposizione prosegue in un capannone a valle, là dove passa la Via Emilia, con ingresso solo su prenotazione: vi sono riuniti una settantina di reperti, perlopiù di grandi dimensioni, e ce ne sarebbero centinaia di altri che, per mancanza di spazio, sono stati inventariati e immagazzinati altrove. Il museo è aperto il sabato, la domenica e nei festivi con orario 14.30/18 da ottobre a maggio e 15/18.30 da giugno a settembre, in altri giorni e orari su appuntamento contattando l’Associazione Museo Italiano della Ghisa (tel. 0547 652171 o 0547 652172) o il Comune di Longiano (tel. 0547 666457). Per altre informazioni ci si può collegare al sito www.museoitalianoghisa.org o scrivere a info@museoitalianoghisa.org.

PleinAir 425 – dicembre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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