Storie con le ali

Nel Sinis, a due passi da una delle più suggestive città del mondo antico, c'è un'area protetta in cui il birdwatching non è un privilegio per pochi ma una gioia per tutti: bastano camper, binocolo e un buon paio di scarpe.

Indice dell'itinerario

C’è un luogo in cui l’orizzonte di Sardegna si fa Spagna, e quasi ha sapore d’Africa. Stagni sul mare, una costa intatta senza case né palazzi, il cielo solcato in ogni stagione da milioni di uccelli: è la penisola del Sinis, un paesaggio sospeso tra l’acqua e la terra, plasmato dal vento e dalle maree fino a disegnare una delle zone umide più preziose d’Europa. Secolo dopo secolo, le sabbie accumulate dal maestrale hanno formato dune che ostacolano il deflusso dei fiumi nel mare, e il mare ne ha restituito i sedimenti in un lento e paziente scambio che ha dato origine a un ambiente di bellezza irripetibile.
L’intero comprensorio – in parte tutelato da un’area marina protetta che comprende la fronteggiante isoletta di Mal di Ventre – si estende per circa 15.000 ettari, il solo Stagno di Cabras per oltre 2.000: circondato da un vasto canneto naturale, ospita migliaia di anatidi e folaghe ed è l’ambiente ideale per l’airone cenerino e rosso, le garzette e l’airone bianco maggiore, il tarabuso e il tarabusino. Marceddi e San Giovanni sono frequentati da avocette, edredoni, beccacce di mare, a Sal’e Porcus lo sguardo si riempie del rosa dei fenicotteri, a Pauli Maiori si coglie la livrea blu del pollo sultano, mentre S’Ena Arrubia durante il passo è letteralmente ricoperto di moriglioni, mestoloni, alzavole, morette, fischioni turchi… Qui la natura è alla portata di tutti, e se i birdwatcher più esperti possono ammirare moltissime specie rare o assenti “in continente”, anche il viandante curioso trova ben presto la sua ricompensa: a Sal’e Porcus e sulle strade che da Oristano portano a Cabras e ad Arborea basta mettere il capo fuori dal finestrino per trovarsi dentro a un documentario naturalistico.
E qui l’uomo ha realizzato una vera e propria economia dello stagno con allevamenti di muggini, arselle, vongole, orate, spigole, cefali, sogliole, che trionfano nella gastronomia locale in ogni variante e abbinamento. Una tradizione che viene da lontano, come testimoniano le vecchie barche fatte di erbe palustri essiccate al sole, is fassonis, a ricordare forse le imbarcazioni dei Fenici che approdarono qui in tempi remoti con navi non molto dissimili.
Anche a Oristano, il capoluogo, si respira il sapore del paese di mare. Il suo duomo fu costruito da mani lombarde, il palazzo arcivescovile dai piemontesi: ma l’opera più famosa è sicuramente il Cristo del Nicodemo, crocefisso policromo del XV secolo che si può ammirare nella chiesa di San Francesco. Piazza Eleonora d’Arborea, dominata dal Palazzo Comunale, ricorda l’illuminata sovrana che nel Trecento, con sorprendente anticipo sui tempi, promulgò quella Carta de Logu tuttora considerata un pilastro giuridico per l’emancipazione femminile e la tutela del territorio.
Superato il Tirso, che poco più avanti sfocia nel Mar di Sardegna, pochi chilometri ci separano da Cabras: ottimo preludio all’itinerario è una tappa al museo civico che ospita il centro visite della riserva, dove gli addetti offrono la miglior presentazione dell’ambiente del Sinis, della sua natura, della sua storia remota e affascinante.

Dove vissero i Fenici
All’estremità della penisola, dove il mare e la terra si confondono, venne costruita una delle più poderose città storiche dell’antichità: Tharros. Fenicia, poi punica e quindi romana (ma vi sono tracce di insediamenti precedenti, di evidente matrice nuragica), fu abitata per 1.800 anni dall’VIII secolo a.C. al 1070 circa quando, a causa dei frequenti attacchi pirateschi, gli ultimi abitanti si spostarono a Oristano. All’abbandono seguì lo smantellamento delle strutture murarie per il recupero delle colonne e dei blocchi da costruzione, poi il vento seppellì la città sotto la sabbia e si dovette aspettare il XIX secolo perché iniziassero gli scavi regolari che la riportarono alla luce.Alla periferia di San Giovanni di Sinis, un ampio parcheggio consente di lasciare l’auto o il camper; nei pressi dello Stagno di Mistras un viottolo in terra battuta ci porta alla cattedrale di San Giovanni Battista, un severo edificio in massicci blocchi di arenaria sul bordo della strada romana che da Tharros conduceva a Cornus. La chiesa, splendidamente inserita nel paesaggio dunale, fu costruita intorno al VI secolo all’inizio del dominio bizantino, in un sito storicamente legato alla stessa Tharros poiché qui intorno si trovavano le sepolture dei suoi abitanti; probabilmente distrutta dai pirati saraceni, fu ristrutturata intorno al X secolo.
Il viottolo prosegue ora in lieve salita, costeggiando il mare e la zona dei ristoranti e dei negozi di souvenir, fino ad arrivare alle splendide rovine all’imbocco della stretta lingua di terra che culmina nel Capo San Marco. Nonostante il porto sia oggi completamente sommerso (circa tre quinti dell’insediamento sono tuttora sepolti dall’acqua e dalla sabbia) si comprende a prima vista che questo è un luogo da gente di mare, con il promontorio che garantiva riparo ai fragili vascelli da cui dipendeva l’esistenza stessa della città. La visita ai resti monumentali è una passeggiata archeologica di un paio d’ore, capace di lasciare ricordi indelebili per la suggestione di questo luogo dal fascino senza età.
Un’erta e breve salita ci porta alla Torre di San Giovanni, costruita dagli Spagnoli tra il Cinque e il Seicento, che svetta a 50 metri di quota dominando tutto il promontorio, il mare e gli stagni fino a Cabras e a Oristano. Ridiscesi al viottolo, tra una rada vegetazione erbacea e qualche bel cespuglio di palma nana (specie rarissima in Italia ma che qui vegeta rigogliosa), si costeggia ancora il mare passando nei pressi della Torre Vecchia per raggiungere la sommità del Capo San Marco e il suo faro, nei pressi delle rovine nuragiche.
Tornati a San Giovanni di Sinis, merita ancora una deviazione la zona di Torr’e Seu riconoscibile dalla mole tondeggiante dell’aragonese Torre della Mosca: un centinaio di ettari di intatta macchia mediterranea sul mare, regno della pernice sarda e degli uccelli tipici di questo habitat (occhiocotto, magnanina sarda, sterpazzola di Sardegna, passero sardo, saltimpalo, upupa, averla, gruccione).
Costeggiando gli stagni di Mistras e di Cabras si sale ora verso Capo Mannu, all’estremità settentrionale del Sinis, per il più strabiliante incontro con la natura intorno allo stagno di Sal’e Porcus: uno spettacolo da non perdere, con l’orizzonte tremulo come in un miraggio segnato dai voli delle anatre e dalle eleganti movenze dei fenicotteri. Lungo il percorso noteremo le tante stradine che conducono verso la costa e le spiagge, ognuna diversa ma tutte da scoprire con i loro scorci sulle intense tonalità verdi e blu di un’acqua che sa essere ancora sorprendentemente limpida. Anche qui, è vero, non sono mancati gli interventi dell’uomo, ed è sempre in agguato il pericolo della cementificazione che altrove ha completamente stravolto il paesaggio. C’era persino chi avrebbe voluto prosciugare gli stagni distruggendo, insieme all’habitat degli uccelli, un’economia millenaria e tradizioni culturali uniche nel loro genere: ma se questi progetti sono stati abbandonati, forse per sempre, il merito è anche di quei turisti in camper, in tenda, in bici che percorrono il Sinis alla ricerca di colori, profumi, sapori che fanno bene ai sensi e all’anima.

PleinAir 395 – giugno 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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