Stile toscano

Dallo spettacolare scenario della piazza del Duomo alle sobrie residenze delle prospere casate che sin dal tardo Medioevo finanziarono l'abbellimento della città: a spasso nella storia e nell'arte del centro antico di Pistoia.

Indice dell'itinerario

Arrivando a Pistoia, la si vede distesa in piano sotto una montagna boscosa tra le valli della Brana e dell’Ombrone Pistoiese. A una quindicina di chilometri, in località Le Piastre, nasce il fiume Reno che sul versante settentrionale scenderà lievemente dai 740 metri di quota delle sorgenti per oltre 70 chilometri, prima di ritrovare la pianura a Bologna. Dunque è chiaro il motivo per cui il centro abitato si è sviluppato proprio in questi luoghi: ci sono la montagna, i corsi d’acqua perenni, lo sbocco di una valle che intacca gli Appennini, tragitto più facile per passare a nord e scendere nella Pianura Padana. Qui gli Etruschi posero un loro villaggio di cui oggi non rimangono tracce, così come quelle dell’oppidum di Pistoria, una fortificazione eretta dai Romani su quella che sarà la via consolare Cassia tra Florentia e Bononia Felsinea.

Cupole e bastioni
Pistoia è una città antica – a guardarne la pianta lo si capisce subito – assediata dallo sviluppo moderno; d’altronde la sua posizione l’ha resa un punto nevralgico per il traffico industriale dopo la depressione seguita ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, durante i quali fu distrutta anche parte del centro storico. La frettolosa ricostruzione postbellica ha prodotto i soliti difetti, ma grazie alle modeste dimensioni del nucleo urbano (oggi si contano poco meno di 90.000 abitanti) la cementificazione non è eccessiva, soprattutto sul lato nord dove si stende una zona residenziale che sale in collina.
Avvicinandosi al centro si nota una grandiosa cupola rossa ricoperta in cotto: si scoprirà poi, ironia del nome, che è la chiesa della Madonna dell’Umiltà, costruita a seguito di un fatto miracoloso avvenuto in una chiesetta allora periferica, Forisportae. Al progetto lavorarono i grandi nomi dell’architettura medicea, il Sangallo, l’Ammannati, il Vasari che fu appunto l’autore della cupola, terza per grandezza dopo San Pietro a Roma e Santa Maria del Fiore a Firenze.
Si entra nella città antica passando le mura della terza e ultima cerchia, costruite all’inizio del XIV secolo quando ormai il territorio era controllato da Firenze. Gente tosta i pistoiesi, arresisi ai fiorentini dopo un lungo assedio iniziato nel 1306: troppo amanti dell’indipendenza, per una decina d’anni riuscirono a tenerli lontano, ma dovettero soccombere definitivamente nel 1329. Era inutile insistere nella guerra, meglio accontentarsi di un po’ di autonomia e far prosperare i commerci investendo le ricchezze in mirabili opere d’arte, la cui densità è straordinaria.
Dei quattro bastioni angolari l’unico veramente imponente è quello di sud-est, non per caso in direzione di Firenze perché anche anticamente il pericolo veniva da lì. Stessa posizione per il fortilizio dedicato a Santa Barbara, sentinella fuori città: più tardi la Repubblica Fiorentina lo utilizzò per realizzare la fortezza diventata poi Medicea, che il Buontalenti raccordò alle mura. Stabilitosi il Granducato di Toscana, non ci furono più lotte interne con le altre città della regione; ma la rocca, con la sua aria tetra e il grosso stemma dei Medici a ricordare il potere, serviva comunque da monito. All’epoca prigione, poi inglobata nelle patrie galere dal Regno e dalla Repubblica Italiana, attualmente ospita la Soprintendenza a tutela del grande patrimonio artistico della città.

Un centro dentro l’altro
Entrati dall’ex Porta Fiorentina, un varco presso un bastione secondario, ci si accorge che le mura separano la banale e trafficata estensione moderna dalla Pistoia storica. Si avverte subito una dimensione diversa: nelle strade c’è ancora un po’ di traffico, ma discreto e quasi silenzioso, così che la città si può ammirare in piena tranquillità. Le vie sono animate di viandanti e botteghe, e nel quartiere più interno, specie a Piazza della Sala dove si tiene il mercato quotidiano, se ne vedono di antiche, con i pesanti portelloni lignei a chiudere le vetrine.
Percorsa la stretta strada che conduce verso il centro, se ne attraversa una molto ampia che prosegue dritta in direzione ovest: in un impianto medioevale questo vasto spazio sta a indicare il punto in cui fu edificata la seconda cerchia di mura, quelle del libero comune, costruite tra il 1150 e il 1220. Mano a mano che la città si espandeva con edifici e orti necessari alla popolazione crescente, le mura venivano abbattute e si cercava di recuperarne il materiale per ricostruirle più in fuori; lo spazio liberato diventava una larga via che dava risalto agli edifici monumentali e lungo la quale si metteva in bella mostra il potere economico delle famiglie di ricchi commercianti, banchieri e degli ordini religiosi.
Addentrandosi nel centro e di nuovo attraversando una via piuttosto larga si intuisce di essere sul luogo della prima cerchia di mura, quelle dell’VIII secolo che cinsero la città già romana, diventata sede amministrativa longobarda a partire dal 593. La grande stagione edilizia cominciò mezzo millennio più tardi, nel 1115; morta Matilde di Canossa, quell’autentica lady di ferro dominante dal suo castello appenninico una zona comprendente le attuali province di Reggio nell’Emilia, La Spezia e tutta la Toscana, i pistoiesi innalzarono il vessillo a scacchi bianchi e rossi e si costituirono in libero comune che ai giorni nostri lo scrittore Marcello Venturi definisce “anarchico” e “confusionario”, contrassegnato da lotte tra guelfi neri e ghibellini bianchi. Per fare un esempio, in nessun’altra città c’è una strada che si chiama Via Abbi Pazienza, così chiamata perché in un agguato notturno il sicario si accorse di aver pugnalato a morte l’uomo sbagliato e gli venne spontaneo di dire al malcapitato agonizzante: «Abbi pazienza!».

La piazza grande
Si sale ora leggermente perché l’abitato originario era una cittadella e sorgeva su un’altura: le strade più antiche che vi accedono hanno infatti conservato una pendenza maggiore e l’antico nome di ripa. Si arriva così in centro e alla gloria del libero comune di Pistoia, Piazza del Duomo, un concentrato di orgoglio cittadino e di potere religioso, politico, giudiziario in uno spazio quasi quadrato contornato da splendidi edifici (tranne quello della Prefettura, privo di particolari pregi al punto da essere indicato come “palazzaccio di piazza”). L’attuale scenario è il risultato di due demolizioni avvenute in tempi diversi, nei primi decenni del XIV e del XVII secolo. La piazza è silenziosa, in pratica pedonale: l’attraversano pistoiesi presi dalle loro occupazioni, che a tanta bellezza sono abituati, mentre i turisti gironzolano con il naso all’insù. Nelle mattine di mercoledì e sabato si riempie totalmente di banchi del mercato, con la cui concessione tanti secoli or sono un imperatore rimarcava il ruolo della città. Anche se si capita in quei giorni, sedendo sui gradini del “palazzaccio” si possono ammirare le diverse architetture: la più antica è quella dell’ex Palazzo dei Vescovi, originario dell’XI secolo, in pratica una fortezza quando il prelato era la maggior autorità, poi più sobrio palazzo in mattoni rossi quando il potere civile passò al Comune; del pregevole rivestimento in marmo ad oggi sono rimaste solo poche tracce. Si nota come gli edifici del potere politico siano possenti e senza fronzoli, a parte lapidi e stemmi testimoni della loro storia, ben disegnati da eleganti e grandi trifore e bifore gotiche che danno l’idea di ampie sale assembleari. Il Palazzo del Comune, marcato del grande stemma dei Medici granduchi e pontefici, è provvisto di portici come si addice al luogo politico dell’incontro; di fronte, il Palazzo del Podestà è sobrio negli stemmi posti nell’atrio del cortile, colorati in terracotta o con affreschi.
Per gli edifici sacri, al fine di conferire un’idea di gioiosa spiritualità è stato invece utilizzato il rivestimento a fascioni in marmo bianco e verde cupo con cui sono stati realizzati archi, archetti, pilastri, colonne, pinnacoli, pulpiti, timpani, rosoni, riquadri, portici, statue. Così appare il Battistero, mirabile ottagono, opera di Andrea Pisano e figli. Il duomo, rispetto agli altri edifici religiosi, ha in più un portico lungo la facciata con un bel sedile e la cinquecentesca Madonna con Bambino e angeli, che Andrea della Robbia raffigura mirabilmente in terracotta invetriata nella lunetta sopra l’ingresso centrale. Entrando, non ci si aspetta un ambiente così maestoso: nella semioscurità della chiesa romanica e della nuda pietra di muri e archi delle tre navate, coperte dal semplice tetto a capriate, risplendono veri tesori d’arte, dagli anonimi orafi del XIII secolo alle opere di Lorenzo di Credi, Rossellino, Verrocchio, Mattia Preti. Turba l’armonia la vasta tribuna rialzata costruita nel ‘600, rutilante di marmi e porporina con ellissi e ovali di volte, mentre nella cripta si scende a ritrovare volumi e materiali umili, un percorso su differenti livelli con resti della chiesa del V e del X secolo.
Nel centro medioevale si ergevano le torri dei potenti: oggi, seminascosta fra le case addossate, ne è rimasta qualche testimonianza tra cui quella detta di Catilina, a ricordo del sovversivo avversato da Cicerone che a Pistoria fu sconfitto e sepolto. La torre maggiore, di costruzione longobarda, fu utilizzata nel XII secolo per il campanile con bifore in marmo a decorare gli ultimi due piani della grande massa di pietra; poi, nel XIV secolo i tre piani rivestiti di marmo, alleggeriti dagli archetti e in cima la torretta e la cuspide che arriva fino a 67 metri d’altezza, da vedere e farsi vedere per tutto il contado.

Il colore della città
La regola che distingue gli edifici sacri da quelli civili vale per tutta la città antica, ma a seconda delle finanze di cui si disponeva: e ci sono chiese, quasi tutte in stile pisano, in cui il marmo bianco e verde compare solo negli archi ciechi della facciata. Come a San Pier Maggiore, dove prosegue anche sul fianco ma per breve lunghezza; come a San Bartolomeo in Pantano, con il pulpito di Guido da Como del 1240; come a Sant’Andrea famosa per un altro pulpito di Giovanni Pisano del 1298, un capolavoro di scultura medioevale; o ancora come a San Paolo, originale nel disegno della facciata, senza marmi ma abbellita da un alto loggiato. San Giovanni Fuoricivitas, cioè fuori dalla prima cerchia delle mura, è invece di stile pistoiese, lavorata però da maestranze comacine; qui la struttura è tronca, mancano un’abside e una facciata, ma c’è un grandioso e mirabile lato tutto marmoreo con l’architrave dell’ingresso finemente scolpito. All’interno emergono dall’oscurità opere d’arte, tra cui la celebre Visitazione, terracotta invetriata dell’attivissimo Luca della Robbia. Come lui molto produttivo fu Giovanni Pisano, autore del luminoso portale di San Domenico. E tante altre sono le chiese, segno di discreta ricchezza confermata dai palazzi privati, poiché molti pistoiesi dal tardo Medioevo furono banchieri: sono in semplice pietra serena, grigia e levigata con riflessi gialli che ben si accordano con gli intonaci dello stesso colore, predominante in tutta la città.
Ma il trionfo cromatico è allo Spedale del Ceppo, così detto perché nell’incavo di un ceppo d’albero si raccoglievano le offerte. Come florido ente assistenziale era attivo già dal XIII secolo, in tempi di lotte e di grandi pestilenze. Di sicuro presenta la più bella facciata di ospedale pubblico del mondo: i sei archi del portico (1514) alleggeriscono l’edificio, anche grazie al basso volume dell’insieme e alla finestratura di dimensioni domestiche. Merita lo splendore della decorazione a bassorilievo in terracotta invetriata policroma, opera delle botteghe di Giovanni della Robbia e Santi Buglioni: oltre al bianco e all’azzurro ci sono il giallo, il verde, il bruno e il violaceo. Nel fregio sono rappresentate in brevi spazi verticali le virtù e in larghi spazi orizzontali le sette opere di misericordia, con scene affollate di personaggi tra cui lo spedalingo, l’amministratore che commissionò il lavoro; nei medaglioni tra gli archi ci sono episodi della vita della Madonna e gli stemmi dei Medici, di Pistoia e dell’ospedale stesso. Dietro la facciata rinascimentale si trovano i padiglioni modernamente funzionanti; lo spazio per costruirli si rese disponibile perché, quando nel XIV secolo si decise la terza e ultima cerchia di mura, il tracciato regolare comprese orti e altri vasti appezzamenti utili per successivi sviluppi. C’è invece un solo parco davanti alla fortezza, un tempo occupato da un piccolo ippodromo, e mancano altre aree verdi comunali tranne qualche giardino pensile, a ricordare la passione per i fiori di cui la provincia di Pistoia è uno dei maggiori produttori mondiali.
Costruite le mura, il corso del torrente Brana che anticamente attraversava in diagonale la città venne deviato rispettivamente a nord e ad est. Il fiume di maggior portata è l’Ombrone Pistoiese che però si dipana a una qualche distanza dal nucleo urbano, mentre il primo, piccolo e tranquillo, accompagna piacevolmente la passeggiata lungo le mura. Più avanti il tracciato si addentrava in quella campagna dove, fino a qualche decennio fa, giocavano i ragazzi: oggi si perde nella zona industriale, dove la Pistoia dell’arte, della cultura, del bel vivere sembra (ma non è) lontana.

PleinAir 410 – settembre 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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