Stella padana

Nate dal nulla e spesso nel nulla, tutte le città ideali che si conoscono hanno fatto una brutta fine: fagocitate da prosaici sviluppi urbani o ricondotte al mondo dei sogni. In qualche modo fa eccezione la stella a sei punte di Sabbioneta, che intende far rivivere, per viverci, i fasti dell'origine. Andiamo a visitarla in camper.

Indice dell'itinerario

Con un po’ di enfasi, nel descrivere la cittadina la Pro Loco di Sabbioneta la giudica “un gioiello mai più ripetuto della nostra storia”. Che si tratti però di un esempio eccezionalmente integro di città “ideale”, progettata ex novo sulle regole di Vitruvio e dei trattatisti rinascimentali, è fuori discussione. Richiede perciò di essere vista prima o poi, e gustata in quel clima vagamente onirico che conserva, esaltato dai piatti orizzonti del Polesine. Il duca Vespasiano Gonzaga, che la volle edificata sulle tracce di un preesistente borgo agricolo, arse tanto dal desiderio di farne l’opera più bella del reame che, per finanziare l’impresa, gli dedicò tutta una vita di lotte mercenarie. Mantovano di adozione ma romano di origine (era nato a Fondi nel 1531, da un ramo dei Colonna), il principe non riuscì tuttavia a vederne il compimento. Quando morì, nel 1591, alcuni cantieri erano ancora in piedi. Fu per merito suo che a cavallo tra Cinque e Seicento Sabbioneta divenne un centro artistico di prim’ordine, guadagnando il titolo di “piccola Atene”.

Torna caro ideal…
A 30 km da Mantova, altrettanti da Parma, 5 dal Po e 10 dal mondo più caro a Guareschi (la Brescello di Don Camillo e Peppone), Sabbioneta può essere anche il motivo centrale di un tour tra le “piccole capitali” della Bassa reggiana (Novellara, Gualtieri, Guastalla…). Tra i bastioni di San Francesco e i resti di quello che un tempo era il castello, si apre Via Giulia Gonzaga, quasi una breccia nel cuore dell’impianto urbanistico. La strada immette nella vasta distesa di Piazza d’Armi, sotto la colonna di Pallade Atena. E qui il primo impulso è quello di infilarsi nel monumentale Corridor Grande, un vasto porticato sopra il quale si distende la celebre Galleria degli Antichi, passeggio privato del duca e dei suoi ospiti. Lunga 96 metri, rappresenta uno dei più interessanti esempi di galleria rinascimentale. Per raggiungerla bisogna attraversare le sale del Palazzo del Giardino, riccamente affrescato, dove Vespasiano sistemò la sua collezione di marmi.
Poco oltre uno dei capolavori architettonici di Sabbioneta: il Teatro all’Antica, noto come Teatro Olimpico. Nell’edificio, opera di Vincenzo Scamozzi, rivive l’antica Roma: imperatori, condottieri, eroi e divinità, personaggi di un mondo nel quale Vespasiano amava proiettarsi in un gioco di confronti. L’Olimpico è il primo esempio di teatro stabile costruito con lo scopo di ospitare spettacoli, giacché all’epoca le rappresentazioni teatrali trovavano un palcoscenico all’interno di costruzioni nate per altri utilizzi. L’idea fu quella di dare l’illusione di un teatro all’aperto: lo denotano la struttura della scena, le colonne marmoree del peristilio, le statue. Scomparsa purtroppo, per lasciare il posto a un soffitto a cassettoni, la volta celeste che troneggiava su attori e spettatori.
Raggiunta Porta Vittoria, un tempo principale accesso alla città, le mura segnano il passo sino alla chiesa dell’Incoronata, a pianta ottagonale, eretta tra il 1586 e il 1588. All’interno, sotto una cupola “trompe l’oeil”, trova dimora la tomba-mausoleo di Vespasiano Gonzaga. E in verità i Gonzaga non se ne sono mai andati da Sabbioneta. Per vederli basta varcare la soglia del Palazzo Ducale, loro sede di rappresentanza e dimora ufficiale. All’interno soffitti lignei, capolavori d’intarsio che nella Sala d’Oro brillano del prezioso metallo e infine, nel Salone delle Aquile, Vespasiano e antenati sulle loro cavalcature, effigiati in statue in legno a grandezza naturale. Uomini e animali sono rappresentati in modo così realistico da far pensare a uno stratagemma per beffare la morte. La conferma viene dal ritrovamento, nel sepolcro del duca, del Toson d’Oro, oggi custodito nel Museo d’Arte Sacra. Il gioiello rappresenta il mitico vello (tosone) conquistato da Giasone, principe di Tessaglia, e dai suoi Argonauti. Un simbolo di prezioso metallo che il Sacro Romano Impero concedeva ai più valorosi tra i suoi cavalieri. Emblema del potere terreno, doveva però essere restituito dopo la morte. Ma Vespasiano, per non smentirsi, non lo fece.
Ai margini di Piazza Ducale si affaccia la chiesa di Santa Maria Assunta, costruzione della seconda metà del 1500, e non distante è la Chiesa di San Rocco che domina l’omonima piazzetta. Pochi passi separano il complesso religioso dalla sinagoga, luogo di culto e di riunione della locale comunità israelita. Costruita nel 1824 al posto di una più antica sala di preghiera, era parte di un gruppo d’abitazioni che costituivano il quartiere ebraico della città, mai trasformato in ghetto. Impreziosita da stucchi e marmi, rinata dopo un lungo periodo d’abbandono, testimonia l’importante presenza di medici, letterati, musicisti, artigiani e commercianti ebrei che trovarono protezione nelle terre dei Gonzaga.
Scomparso il duca la virtuosa cittadina, crocevia d’arte e cultura, si spense lentamente. Declassata da centro di potere a rocca difensiva, si è pian piano esiliata tra le nebbie padane. Riemerge però oggi, a poco più di quattrocento anni, riproponendo un sogno di immortalità.

PleinAir 321 – aprile 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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