Speciale Abbazie/6 - Rifugio silvestre

Abbiano i padri dell'Eremo somma cura e diligenza che i boschi e le abetaie non siano diminuite in niun modo, ma allargate con nuove piantagioni... Così prescrivono fin dal 1080 le Costituzioni di Camaldoli ai religiosi dell'ordine fondato da San Romualdo

Indice dell'itinerario

“Abbiano i padri dell’Eremo somma cura e diligenza che i boschi e le abetaie non siano diminuite in niun modo, ma allargate con nuove piantagioni. Chi farà tagliare alcun albero verde senza licenza del Priore riceverà penitenza”.
Così prescrivono ai religiosi dell’ordine fondato da San Romualdo le Costituzioni Camaldolesi, redatte nel 1080 e ancora oggi in vigore. Non c’è da stupirsi se il monastero (o archicenobio) e il Sacro Eremo di Camaldoli, sul confine tra la Toscana e la Romagna, sono circondati da una foresta di faggi, castagni, querce e abeti con pochi paragoni in Italia.
Popolate dal cervo, dal capriolo, dal cinghiale e dal lupo, le Foreste Casentinesi sono oggi tutelate da uno dei parchi nazionali più interessanti del nostro paese. Il merito, prima che agli ambientalisti e agli amministratori delle foreste demaniali della zona, va ai monaci che si sono occupati del bosco fino al 1808.
Già gli Etruschi utilizzarono i valichi attraverso il crinale appenninico e venerarono la selva del Monte Falterona, come testimoniano i ritrovamenti del Lago degli Idoli e il bellissimo santuario di Pieve Socana. All’inizio del Duecento, San Francesco d’Assisi scelse come luogo di preghiera la montagna della Verna, il “crudo sasso” sul crinale tra il Tevere e l’Arno dove ricevette le stimmate nel 1224.
Due secoli prima, poco più a nord, San Romualdo aveva iniziato un’altra grande avventura della fede. Su 160 ettari di terreno ricevuti in dono dall’imperatore Enrico II, nei pressi di un edificio di proprietà di un certo Maldolo (da cui deriva il nome Ca’ Maldoli), il santo istituì il monastero che divenne in seguito la casa madre dell’Ordine.
Nel monastero, al centro di una valle boscosa a 800 metri di altitudine, meritano una visita attenta il cortile (o chiostro di Maldolo) costruito poco dopo il Mille, il piccolo chiostro quattrocentesco, la sagrestia, il coro e il refettorio del 1606. La chiesa, dedicata ai Santi Donato e Ilariano, è stata costruita nel Cinquecento e rimaneggiata in forme barocche, e conserva importanti affreschi del Vasari.
Particolarmente suggestiva è la farmacia, inaugurata nel 1543, che testimonia come l’uso curativo delle piante officinali sia sempre stato importante per le comunità religiose dell’Appennino. Da secoli le foglie, le radici e i frutti della belladonna, del ricino, della valeriana, dello stramonio, della cicuta e di numerose piante vengono trasformate dai monaci in tisane, unguenti e balsami.
Tre chilometri e trecento metri di dislivello più in alto, l’Eremo di Camaldoli offre al visitatore un’atmosfera ancora più suggestiva di quella del monastero. Le sue venti celle, oggi come nel Medioevo, hanno per sfondo lo scuro bosco di abeti, e sono tuttora utilizzate dai monaci.
La biblioteca, che racchiude oltre diecimila volumi, non è accessibile al pubblico. Imponente, si affaccia sull’ingresso la chiesa del Salvatore, consacrata già nel 1027 ma più volte rifatta a partire dal Cinquecento.
Oltre che meta di eccezionale suggestione, l’Eremo di Camaldoli è il punto di partenza ideale per chi vuole esplorare il cuore delle Foreste Casentinesi, alla cui salvaguardia i monaci hanno lavorato per quasi mille anni. Una strada suggestiva e tortuosa consente di spingersi verso il Passo dei Fangacci e Badia Prataglia.
Sentieri e viottoli, invece, permettono di raggiungere a piedi Poggio Scali e il Monte Penna, di scendere sul versante romagnolo (vedi il supplemento “L’Altra Romagna” allegato a PleinAir n. 324/325), di arrivare al confine della Riserva Naturale di Sassofratino, accessibile solo per motivi di studio. Su tutti questi percorsi, i monaci di Camaldoli hanno indicato il cammino.

PleinAir 326 – settembre 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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