Speciale abbazie/4 - Regina dei campi

Sullo sfondo, nelle giornate serene, si staglia imponente la piramide di roccia e ghiaccio del Monviso, la montagna simbolo del Piemonte. L'imbocco della Val Pellice è a quindici chilometri dall'abbazia di Staffarda, quello della Valle Po è ancora più vicino.

Indice dell'itinerario

Sullo sfondo, nelle giornate serene, si staglia imponente la piramide di roccia e ghiaccio del Monviso, la montagna simbolo del Piemonte. L’imbocco della Val Pellice è a quindici chilometri dall’abbazia, quello della Valle Po è ancora più vicino.
A Staffarda, però, l’ambiente è ancora prettamente di pianura. Campi di granturco e risaie circondano le eleganti architetture in mattoni dell’abbazia costruita tra i secoli XII e XIII dai Cistercensi sui terreni ottenuti dal marchese Manfredo I di Saluzzo, fondatore di una delle più importanti dinastie subalpine.
A poca distanza dal complesso monastico, gli autotreni sfrecciano sulla statale che collega Cuneo e Saluzzo con Pinerolo. Ad affascinare quando si arriva a Staffarda, perciò, è prima di tutto la quiete del borgo agricolo costruito intorno all’abbazia e ancora in piena attività. Qualche bambino che gioca, un’osteria, cani che si rincorrono, piccioni che bacchettano qua e là creano un’atmosfera fuori dal tempo. Dai campi arriva il rombo dei trattori.
La quiete bucolica non deve far sottovalutare l’importanza storica e artistica di Staffarda. E’ stata proprio la ricchezza del territorio circostante a fare per tre secoli e mezzo dell’abbazia una delle principali potenze economiche del Piemonte. Alla chiesa, nel Duecento, i religiosi affiancarono un elegante chiostro, la splendida loggia del mercato, l’ospizio del pellegrini e gli altri edifici del monastero.
A distruggere questa prosperità, nel 1690, fu l’esercito francese. Reduci della vittoria su Piemontesi e Spagnoli nella battaglia di Saluzzo, le truppe francesi agli ordini del generale Catinat saccheggiarono l’abbazia e il vicino borgo, cacciarono o uccisero religiosi e contadini, infine diedero fuoco al complesso. Da questo colpo Staffarda non doveva più riprendersi.
Iniziati solo nel 1920 per iniziativa dell’ordine Mauriziano (lo stesso dell’ospizio del Gran San Bernardo) i restauri si sono interrotti più volte per mancanza di fondi, ma hanno avuto il grande merito di fermare il degrado di questo straordinario monumento.
L’aguzzo campanile ben visibile dalla campagna circostante domina il chiostro, solo in parte conservato, dove sono le tombe dei primi marchesi di Saluzzo. Sostenuto da grosse travi in legno, il refettorio fa capire quale fosse il suo antico splendore. Ma il luogo più emozionante è la chiesa. Spoglio e solenne, l’ampio interno a tre navate conserva affreschi di discreto valore. A imporsi all’attenzione sono due altari lignei intagliati e dipinti: quello dell’altare maggiore, realizzato nel 1531 da Oddone Pascale, ha tutta l’imponenza di un retablo spagnolo; quello dell’abside della navata sinistra, scolpito da Agostino Nigra sei anni prima, è più piccolo ma non meno elegante.
Agli appassionati di natura vale la pena ricordare che uno dei locali dell’ospizio, inaccessibile ai visitatori, ospita una importante colonia di pipistrelli che da qui spiccano il volo al tramonto verso i campi vicini. A chi è esperto di montagna ricordiamo che la Val Pellice e soprattutto la Valle Po permettono di raggiungere in breve alcuni dei più bei monti del Piemonte, come il Granero e il Monviso.
L’estremo lembo occidentale della Pianura Padana, però, ha molto da offrire anche a chi s’interessa alla storia. A una manciata di chilometri da Staffarda, infatti, attendono una visita il borgo antico di Cavour, al quale si affianca la bella abbadia di Santa Maria (oggi in restauro) e soprattutto il centro storico di Saluzzo, con il suo castello e le sue chiese edificate tra il Medioevo e il Rinascimento.

PleinAir 326 – settembre 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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