Specchio dei tempi
“Cianno fatto un ber lago, contornato | tutto de peperino e tonno tonno, | congeggnato in maggnera che in ner fonno | sce s’arivede er monno arivortato”. Con questi versi, nel 1831, Gioacchino Belli descriveva il lago di Castel Gandolfo o Lago Albano nel suo sonetto Er viaggiatore, ispirato da una gita nella zona dei Castelli Romani. E il cantore della Roma ottocentesca non è stato certo l’unico personaggio a rimanere affascinato dalla bellezza di questi luoghi, frequentati da artisti e intellettuali del calibro di Goethe, Byron, Gogol e Stendhal, che risiedettero per qualche tempo nelle sfarzose ville di Castel Gandolfo.
Il Lago Albano, che assieme a quello vicino di Nemi fa parte del Parco Regionale dei Castelli Romani, è nato dall’unione di due crateri vulcanici e con i suoi 170 metri è il più profondo del Lazio; non ha immissari ed è alimentato solo dalle acque piovane, da piccole sorgenti in superficie e da polle sottolacustri. La vicinanza alla Capitale e la facile accessibilità ne fanno una delle mete più frequentate dai romani, che specie nel periodo estivo lo considerano una valida alternativa alle affollate spiagge di Ostia e dintorni. Proprio per questo, come spesso succede, anche il “lago del Papa” (da secoli Castel Gandolfo è residenza estiva del pontefice) offre il meglio di sé fuori stagione, nelle prime tiepide giornate di primavera o quando l’estate cede il passo all’autunno. Le sue acque calme sono particolarmente adatte alla pratica del canottaggio, come dimostra la presenza di un centro tecnico federale di canoa e kayak nei pressi del vecchio impianto che ospitò le gare olimpiche nel 1960, e lungo Via dei Pescatori, che costeggia la riva occidentale, non mancano circoli sportivi che noleggiano natanti e organizzano corsi.
Oltre alla vicinanza di Castel Gandolfo, graziosissimo borgo con una splendida vista dall’alto sullo specchio lacustre, la principale attrattiva del Lago Albano sta nell’ambiente circostante che, pur risentendo del crescente impatto antropico (compresi un turismo non sempre rispettoso della natura e la presenza di alcune strutture abusive), è ancora caratterizzato da estese aree boscose e da una discreta presenza di fauna. Un facile sentiero indicato come L1, percorribile a piedi o in mountain bike, si sviluppa intorno al bacino attraversando il bosco che ricopre soprattutto il versante sud-orientale, più ripido e selvaggio e perciò non sfruttato turisticamente come quello opposto, caratterizzato dalla presenza di spiagge e stabilimenti balneari. Il punto di partenza del percorso, molto frequentato dagli appassionati di jogging, è facilmente raggiungibile seguendo la strada a destra dopo il traforo che arriva dalla Via Appia e continuando fin dove uno sbarramento chiude l’accesso ai veicoli. Da qui si può proseguire solo a piedi o a pedali, arrivando in circa mezzo chilometro a un altro cancello, oltre il quale il sentiero diventa sterrato e continua in mezzo alla macchia di lecci, castagni, aceri, cerri e roverelle, mentre nel sottobosco sono presenti l’agrifoglio, il pungitopo e la ginestra. Tra la vegetazione ripariale spicca la cannuccia di palude, che colonizza le rive meno profonde e offre l’habitat ideale a diverse specie di avifauna acquatica, come germani, folaghe e svassi maggiori, mentre in primavera il gracidio delle rane fa da colonna sonora all’esplosione delle fioriture. La fauna comprende inoltre mammiferi come l’istrice, il tasso e la volpe, rettili e una varietà di pesci tra cui la carpa, la tinca, l’anguilla, la scardola e predatori come il luccio, il persico reale e il black bass o persico trota.
Continuando il giro del lago si passa nell’area sottostante il Convento di Palazzolo (ben visibile in alto), zona di nidificazione del falco pellegrino, e con un po’ di fortuna lo si può avvistare in volo mentre va alla ricerca di prede. Il percorso prosegue con tranquilli saliscendi costeggiando una sponda alta e scoscesa, finché il bosco si dirada e si arriva alla fine del sentiero, dove ritroviamo l’asfalto di una stradina che sale tra villette private e, sulla destra, la vecchia sorgente dell’Acqua Acetosa ora chiusa. Fatte poche decine di metri si giunge a un bivio e si scende sulla sinistra passando davanti a un hotel, quindi si riprende il sentiero sterrato che prosegue un po’ discosto dalla riva verso la zona più turistica e frequentata del lago. In breve incontriamo una serie di pannelli didattici distribuiti su un tratto di circa 700 metri, facenti parte di un Sentiero Natura (realizzato dal parco dei Castelli Romani in collaborazione con il Comune di Castel Gandolfo e la Provincia di Roma), che descrivono con testi e disegni l’ambiente e la storia del bacino. Qui si trovano anche le rovine, ormai all’asciutto, di un porticciolo di epoca romana, del quale rimangono due grandi bracci di pietra convergenti lunghi una ventina di metri.
Il percorso finisce di lì a poco e conviene proseguire sulla riva fino alla zona balneare di fronte alla rotonda, all’altezza dell’uscita del traforo. Proprio qui, a causa del progressivo abbassamento del livello delle acque, da qualche anno stanno riemergendo i resti di un grande insediamento di palafitte lignee risalente all’Età del Bronzo, all’incirca il 1700 a.C. Il sito è conosciuto come Villaggio delle Macine per via delle numerose macine di varie dimensioni che vi sono state ritrovate insieme a vasi, brocche e boccali di ceramica, pugnali e asce di bronzo, frammenti di collane di ambra e altri oggetti (i reperti sono custoditi presso il Museo Civico di Albano e il Museo Nazionale delle Navi Romane di Nemi). Purtroppo, pur rientrando sotto la tutela della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, attualmente il luogo si trova in uno stato di totale abbandono per mancanza di investimenti adeguati.
Rientrati sulla strada che procede lungo la sponda, il giro continua passando davanti ad altri importanti siti storici come il Ninfeo Dorico, il Ninfeo Bergantino (visitabili su richiesta) e l’antico Emissario artificiale. Quest’ultimo, costruito dai Romani fra il 398 e il 397 a.C. e considerato un piccolo capolavoro d’ingegneria idraulica, si rese necessario in seguito al notevole innalzamento del livello del lago e alla conseguente tracimazione delle acque, che causarono danni gravissimi alle terre circostanti. Per far fronte a questa emergenza e per propiziare la conquista della città etrusca di Veio (che secondo la profezia dell’oracolo di Delfi sarebbe stata possibile solo quando le acque del Lacus Albanus fossero giunte al mare senza straripare dal cratere) Roma impiegò ben 30.000 uomini nella realizzazione di un cunicolo lungo un chilometro e 200 metri, alto 2 metri e largo circa un metro e 20, che sbocca sotto Castel Gandolfo in località Mole. In questo modo fu possibile far riabbassare il livello del lago, risolvendo una volta per tutte il problema delle esondazioni. L’opera, descritta da Tito Livio nella sua Storia di Roma, fu completata in un solo anno e richiese lo scavo di 62 pozzi posti a circa 20 metri l’uno dall’altro, che servivano per portare aria agli operai e per lo smaltimento dei detriti. Attualmente il Lago Albano soffre del problema opposto (che interessa anche il vicino lago di Nemi): dagli anni ’60 a oggi l’altezza delle acque è diminuita di circa 3 metri e la tendenza è quella di un lento ma progressivo prosciugamento. Ciò è dovuto sia a cause naturali, come la riduzione delle piogge e la maggior frequenza di estati particolarmente calde, sia alla crescente antropizzazione e allo sviluppo dell’agricoltura nelle zone circostanti, che comporta un aumento dei prelievi dalle falde acquifere.
Proprio accanto allo sbocco dell’emissario, ormai seminascosto dalla vegetazione al di sotto della strada e da lungo tempo ormai in disuso, c’è una panoramica area picnic con un piccolo parco giochi per bambini. Poche centinaia di metri ancora e faremo ritorno al punto di partenza, dopo aver percorso circa 10 chilometri intorno al lago.
PleinAir 428 – Marzo 2008