Sotto sotto c'è storia

Cisterne, cave, acquedotti, luoghi di culto e perfino cimiteri compongono il ritratto segreto di un'Italia ancora poco conosciuta ma piena di sorprese: quella sotterranea, in cui avventurarsi per riconoscere le tracce delle antiche urbanizzazioni e degli usi che se ne sono fatti in epoche successive, fin quasi ai nostri giorni. Andiamo alla ricerca di alcune delle tante meraviglie del sottosuolo a Roma e a Napoli.

Indice dell'itinerario

Roma
I romani sanno bene che sotto la loro città ci sono mille luoghi misteriosi. Che poi la loro conoscenza sia legata a storie di seconda o terza mano, poco importa. Anche Federico Fellini, nelle immagini del suo potente affresco su Roma, aveva giustamente voluto citare il sottosuolo con una scena spettacolare in una metropolitana immaginaria che, avanzando, distruggeva gli affreschi di una casa romana sepolta.
In realtà nel sottosuolo dell’Urbe non esiste un complesso dedalo di cunicoli e cavità come a Parigi o a Napoli, ma “solo” centinaia di monumenti, sepolcri, acquedotti, cisterne. In altre parole, a un livello più basso delle vie e delle piazze si estende ancora, non del tutto cancellata dalla disordinata crescita della città moderna, una buona parte di quella che fu la capitale dell’Impero Romano. Addentrarsi in questi sotterranei, però, non è sempre facile, giacché le competenze burocratiche sono a volte difficili da interpretare e da conoscere; ma la fatica di districarsi tra i permessi viene ripagata da scoperte e sorprese decisamente uniche.
Durante gli scavi alla ricerca di tracce dei luoghi di martirio dei santi, nel sottosuolo della basilica dei Santi Giovanni e Paolo è venuto alla luce un intero isolato di case romane, con le cantine e gli affreschi realizzati quando una di esse divenne un luogo segreto di culto per i primi cristiani. A fianco del complesso ipogeo è stato allestito con cura un piccolo museo per esporre i ritrovamenti archeologici della zona: siamo a poche decine di metri dalla piana in cui sorge l’Anfiteatro Flavio, assai più noto come Colosseo. I sotterranei si possono visitare in orari definiti, e capita spesso di poter approfittare di serate dedicate alla poesia e alla letteratura dell’antichità. Più in basso delle case, un altro livello (visitabile solo richiedendo un’autorizzazione) appare invece buio e silenzioso: si tratta di antiche cave e cisterne che servivano i monumenti della vicina valle del Colosseo.
I grandiosi serbatoi idrici del Colle Oppio avevano invece lo scopo di alimentare le Terme di Traiano, che i romani hanno da sempre chiamato Sette Sale. La colossale cisterna è formata in realtà da nove ambienti paralleli di forma allungata, ciascuno largo poco più di 5 metri, con le navate separate da spesse murature di calcestruzzo che presentano una serie di aperture allineate in diagonale a forma di arco: in questo modo l’acqua poteva fluire tra un compartimento e l’altro senza creare correnti troppo violente. Per quanto le Sette Sale siano oggi interrate, la struttura originaria era stata costruita al suolo e soltanto alla chiusura del cantiere venne ricoperta, per aiutare le murature a resistere alla pressione idrica.
Inavvicinabile senza autorizzazioni speciali, la Cloaca Maxima è una delle opere d’ingegneria più imponenti della Roma antica. Furono i re etruschi di Roma, Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo, a far costruire il collettore che aveva lo scopo di bonificare le aree paludose e malsane. La galleria seguiva un percorso sinuoso attraverso le zone del Foro Romano, del Velabro e del Foro Boario per poi sboccare nel Tevere all’altezza del Ponte Emilio, a valle dell’Isola Tiberina: ancora oggi il suo arco si affaccia sul fiume, incastonato nel muraglione del Lungotevere. L’interno della cloaca non presenta una sola tecnica di costruzione: alcuni tratti sono coperti di pietre di grandi dimensioni, altri di rivestimenti in materiali diversi. Questa particolarità è probabilmente dovuta al fatto che essa nacque come fogna a cielo aperto e solo in un secondo momento venne dotata di una copertura, permettendo così l’utilizzo del terreno sovrastante.
Gli scavi archeologici, anche nel cuore della città monumentale, a Roma non si fermano mai. Passeggiando su Via dei Fori Imperiali è facile accorgersi della presenza di cantieri popolati da operai e archeologi, che si concentrano soprattutto nella grande area lastricata dei Mercati di Traiano. Lo stradone, voluto da Benito Mussolini per collegare Piazza Venezia al Colosseo, fu realizzato spazzando via un intero quartiere costruito nel ‘500 su resti medioevali: durante gli scavi per liberare dai detriti le condotte realizzate nell’antichità per il deflusso dell’acqua piovana, sono venuti alla luce resti di statue e piccoli capolavori. E ha anche trovato conferma una vecchia diceria romana sulle grigliate di crostacei che qualche custode dei Fori cucinava nottetempo: nei canali dell’antico sistema idraulico vive infatti una piccola colonia di granchi d’acqua dolce che, sfuggendo da secoli ai gatti e agli archeologi pescatori, è giunta intatta fino ai giorni nostri.
Rimaniamo sempre a due passi dal Colosseo, dove una porticina che si apre sulla muraglia di Via degli Annibaldi conduce in un altro sotterraneo in cui l’acqua svolgeva un ruolo importante. Il ninfeo di cui parliamo, scoperto nel 1895 quando venne scavata la strada che scende verso Via Cavour, era probabilmente parte di una villa, e le sue pareti conservano ancora la delicata decorazione di piccole conchiglie che ben si addiceva a una monumentale fontana destinata ad allietare gli ozi di una famiglia patrizia.
A parte mitrei e catacombe, presenti in gran numero nella capitale e non solo, i luoghi di culto sono ben rappresentati nella mappa dei ritrovamenti. Una delle aree di Roma più ricche di testimonianze in proposito è il Colle Aventino: qui, al di sotto della monumentale basilica paleocristiana di Santa Sabina, fondata nel V secolo, si può scendere in un sistema sotterraneo che conserva un tratto delle Mura Serviane, resti di un tempio probabilmente dedicato a Giove Libero e profondi pozzi, scavati per scendere fino al Tevere, che scorre placido ai piedi del colle.
Ci dobbiamo infine spostare dalle parti del Pincio per trovare un’altra meraviglia scoperta, anche in questo caso, durante gli scavi per la crescita della città di superficie: il piccolo ipogeo di Via Livenza, oggi nascosto al di sotto di un gruppo di palazzine degli anni ’20. Anche se si conosce con una certa esattezza la data della costruzione, ovvero il IV secolo, sulla sua funzione gli esperti dibattono da decenni: al centro della struttura è collocata una vasca, alimentata probabilmente da una vena d’acqua sotterranea, che termina al di sotto di un’abside riccamente decorata con pitture e mosaici. E’ probabile che si trattasse di un luogo di culto, ma sulla religione dei suoi frequentatori i pareri sono contrastanti. Restano la delicatezza degli affreschi, con la dea Diana che cammina accompagnata da un cervo, e il fascino della collocazione attuale di un luogo così suggestivo, a poche centinaia di metri dai prati di Villa Borghese e dalle vetrine di Via Veneto.

Napoli
«Napoli ha sotto di sé un’altra città» ci spiega di fronte al panorama Goffredo Lombardi, l’ingegnere che ha dirige il Servizio Sicurezza Geologica e Sottosuolo del Comune, una delle poche strutture di questo genere esistenti in Italia. «Cave, acquedotti, pozzi, tutto un mondo che nel corso dei secoli si è evoluto, modificato, collegando tra loro i vuoti creati via via dai greci, dai romani, dai napoletani dell’epoca spagnola». Acquedotti prima, poi cave da cui venivano estratti i materiali da costruzione, come nel caso della Cava Greca di Pozzuoli, la più antica di tutte. «Quanto è estesa la città sotterranea? Difficile dirlo – continua Lombardi – comunque parliamo di decine di migliaia di metri quadrati e di milioni di metri cubi. Di cui conosciamo la gran parte, ma non tutto».
Nei secoli del grande sviluppo cittadino, ogni importante palazzo del centro veniva edificato scavando verso il basso per estrarre la pietra vulcanica necessaria alla struttura. Poi la cavità che si era formata veniva collegata alle gallerie dell’acquedotto e richiusa, diventando così la cisterna privata dell’edificio. Quando il serbatoio idrico si svuotava bastava chiamare i pozzari, veri e propri padroni del sottosuolo, e chiedere di riempirla: un gioco da ragazzi che avveniva con accorte manovre delle paratie sotterranee le quali aprivano e chiudevano le gallerie dell’acquedotto. In questo modo nacque e si sviluppò una rete sempre più complessa di vuoti, «alcuni di dimensioni veramente impressionanti, alti come un palazzo di dieci piani» che si estende al di sotto di Napoli.
Alle funzioni originarie se ne aggiunsero altre. Negli anni ’40, ad esempio, il sottosuolo del capoluogo partenopeo venne esplorato e attrezzato per ospitare centinaia di ricoveri antiaerei deputati ad accogliere gli abitanti durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. E rifugi ce ne sono ovunque, anche se di alcuni si sono perse le tracce; solo qualche anziano ricorda ancora gli ingressi, magari scomparsi dietro pareti moderne più o meno legali. Nel lavoro quotidiano i tecnici devono dunque assumere il ruolo di esploratori che, talvolta abbattendo un muro, giungono a scoprire l’ennesimo accesso.
Scendendo le lunghe scale che portano a un rifugio antiaereo, la nostra visita guidata inizia dalla centrale Piazza San Gaetano. Questo sistema ipogeo è una sorta di riassunto di quel che si trova sotto la città: cisterne echeggianti, angusti acquedotti, ciò che rimane di antiche cave. Poco lontano, sul Vico Cinquesanti, si aprono alcuni bassi napoletani tra cui uno molto particolare: una pesantissima botola, giusto al di sotto delle molle di un letto padronale, si apre cigolando per svelare una teoria di gradini che s’inoltrano nel buio. Scendendo si raggiunge una cantina d’eccezione, dove le murature di opus reticulatum sorreggono gli archi della scena del Teatro Romano sulla quale, come racconta Svetonio, “Nerone fece il suo debutto a Napoli e, benché il teatro avesse improvvisamente tremato per una scossa di terremoto, non cessò di cantare prima di aver finito il pezzo che aveva iniziato”. Il teatro non è scomparso, è stato semplicemente inglobato dai palazzi della zona, che sono collegati da archi e conservano le forme semicircolari dell’antica struttura.
Oltre al mondo dell’acqua e ai resti della città romana, sotto Napoli esistono anche imponenti tracce dei culti religiosi e della fede popolare. Passando tra due teschi di bronzo consumati dalle carezze e ornati di fiori si entra nello splendore barocco della chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, che i napoletani usano abbreviare semplicemente in Purgatorio ad Arco. Nel suo ipogeo si ammira uno dei ritratti più intensi della tradizione folklorica napoletana: cumuli di ossa e teschi erano stati adottati dal popolo dei devoti, che in cambio di una continua manutenzione delle spoglie chiedevano alle anime grazie e intercessioni, dalla salute ai numeri del lotto. Ancora oggi, dopo decenni in cui la Chiesa ha cercato di scoraggiare un’usanza che è ai limiti dell’eresia, si trovano fiori freschi, rosari, fotografie e suppliche: davanti al teschio di Lucia (si tratterebbe di una ragazza morta per amore nel ‘600) si accumulano biglietti con suppliche, richieste e preghiere.
Il rapporto con l’altro mondo costituisce un aspetto fondamentale dell’anima napoletana, e il Cimitero delle Fontanelle nel Rione Sanità ne è il perfetto esempio. Qui si allineano migliaia di teschi: la cava venne infatti trasformata in un ossario fin dall’epidemia di peste del 1656. «Ma Fontanelle è molto più di un ossario» sentenzia Lombardi. «Sotto le sue volte, a mio parere, si trova il punto di contatto tra Napoli e l’aldilà, e qui i napoletani hanno sempre pregato per le anime del Purgatorio, anche con lo scopo di ottenere grazie di tutti i generi». La leggenda vuole che alle Fontanelle siano sepolti otto milioni di defunti, cioè un numero incredibilmente superiore a quello dei resti attualmente visibili; il numero, del resto, potrebbe non discostarsi troppo dalla realtà se si considera che il pavimento originario dell’enorme cava non è quello attuale, ma si trova 18 metri più in basso. Chiuso per anni a seguito di imponenti lavori di restauro dovuti a problemi di stabilità che ne minacciavano le volte, il cimitero è oggi un monumento eccezionale, anche se ancora si sta cercando un modo per garantire la sua regolare apertura al pubblico.
Alle Fontanelle sono solo due le salme che riposano in vere e proprie bare: si tratta del marchese Carafa e di sua moglie, che durante la peste del ‘600 erano i proprietari della cava. «Anche Totò, che abitava non lontano da qui, quando scrisse la celebre poesia ‘A livella forse stava pensando proprio alle navate in penombra di questo luogo» conclude Lombardi «e mi piace pensare che abbia creato qui i suoi versi più famosi». Tanti teschi, tutti in fila. E nelle parole di Totò, l’ombra di un netturbino mormora a quella di un marchese: “suppuorteme vicino, che te ‘mporta? | Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: | nuje simmo serie… appartenimmo à morte”.

Testo e foto di Fabrizio Ardito

PleinAir 448 – Novembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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