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Stanno sulla rotta del traghetto per l'Islanda. Perciò chi viaggia con moto, auto o camper al seguito, talvolta vi fa scalo per un breve intermezzo. Ma le isole Fær Øer sono un mondo a parte che merita ben più. Visitiamole insieme.

Indice dell'itinerario

Molti non le hanno mai sentite nominare, alcuni le conoscono come tappa nella traversata verso l’Islanda, pochi le scelgono come meta. PleinAir ci torna dopo 7 anni (vedi n. 273). Sono le isole Fær Øer o Faroe o, ancora, Føroyar, come capita di trovare scritto a seconda della lingua usata. Si trovano circa a metà strada fra le coste scozzesi e quelle islandesi e formano un arcipelago di 18 isole, alcune delle quali disabitate. Quelle popolate, del resto, non soffrono di sovraffollamento, dal momento che oltre un terzo della popolazione è concentrato nella capitale Torshavn mentre i restanti due terzi si spartiscono 45.700 chilometri quadrati di territorio, con una densità di poco superiore alle 20 persone per chilometro quadrato. Nonostante la posizione, le Fær Øer sono meno fredde di quanto farebbero pensare i 62° Nord di latitudine. La Corrente del Golfo assicura un clima mite anche d’inverno, con una temperatura media di 3 gradi; in estate, le giornate di sole si alternano frequentemente ad altre di pioggia o nebbia e l’aria si mantiene sempre fresca. Quando il cielo è azzurro e il vento disperde le nuvole, gli scenari che si svelano sono di tale bellezza da meritare ben più di una rapida occhiata, come spesso accade ai camperisti che qui sbarcano per una breve sosta lungo la rotta per l’Islanda. Una settimana impiegata a visitare l’arcipelago, a scoprire le sue tradizioni e a condividere le abitudini dei suoi abitanti non sarà soltanto ben spesa, ma diventerà un’esperienza preziosa da conservare con cura nello scrigno della memoria.

In viaggio tra le isole
Le isole Fær Øer appartengono al regno di Danimarca, ma godono di un’ampia autonomia, con una lingua e una moneta proprie.
Torshavn può quindi fregiarsi del titolo di capitale e l’unico altro centro abitato dell’arcipelago che possa definirsi città è Klaksvik, che conta 5.000 abitanti. Nella ben organizzata capitale si può trovare di tutto. Il suo porto è un’interessante meta per la passeggiata serale, ma l’attrazione principale è la città vecchia, che sorge proprio in prossimità della baia.
Vi si accede attraverso un ripido passaggio e, appena giunti, si ha come l’impressione di essere entrati in un museo all’aperto: le case, costruite in legno su una base di pietre o rocce, risalgono al Medioevo ed è veramente un fatto eccezionale che mai nessun incendio, guerra o tempesta le abbia danneggiate tanto seriamente da non poter poi essere ristrutturate. Quello di Torshavn può a pieno diritto essere considerato uno dei rarissimi centri storici al mondo con edifici in legno autentici. Oggi le case appaiono ancora nel loro stile originale, dipinte in rosso o in nero, con il tetto d’erba, le imposte bianche che risaltano anche nelle più grigie giornate invernali, le finestre adorne di fiori e impreziosite da tendine. Le vie sono strette e spesso si insinuano fra le case per ricondurre al punto di partenza, o si trasformano in gradinate che congiungono tra loro due stretti passaggi. Le casette sono normalmente abitate e i ragazzini giocano sulla via. Passeggiare nella città vecchia è un po’ come tuffarsi in un passato remoto nel quale la vita era certamente diversa da oggi, ma qui molto meno che altrove. La sensazione di pace e tranquillità che si avverte visitando le isole trova il corrispettivo nella capitale, per poi diventare una costante durante tutto il viaggio alla scoperta delle altre località.
Kirkjubøur ne è un primo esempio; si trova pochi chilometri a sud di Torshavn ed era il nucleo più importante dell’arcipelago molto tempo prima che la capitale si sviluppasse. Nel Medioevo fu il centro ecclesiastico e culturale delle Fær Øer, come dimostrano le imponenti rovine della cattedrale di Saint Magnus, costruita nel 1200 e, secondo la tradizione, mai del tutto completata. L’altra chiesa, tuttora in uso, è dedicata a Saint Olav e risale allo stesso periodo, anche se è stata ricostruita alla fine del XIX secolo. Oggi sono poche le case rurari che ancora raccontano di quell’epoca, ma nel periodo di massima espansione si contavano almeno cinquanta costruzioni e molti allevamenti di mucche.
Un altro angolo di pace e di bucolica serenità è Nolsoy, un’isola che si raggiunge in mezz’ora di traghetto da Torshavn. Esiste un solo villaggio, graziosissimo e colorato; non vi sono strade! Gran parte della popolazione si dedita all’agricoltura e all’allevamento, in un’atmosfera di serena operosità.
Nolsoy è sede della più grande colonia di uccelli delle tempeste del mondo; si stima che ospiti oltre 100.000 coppie di questi piccoli animali notturni, schivi e difficili da osservare. Jens Kjeld Jensen è un ornitologo che vive e lavora a Nolsoy, dedicando la sua vita allo studio dell’avifauna del luogo. La visita alla sua casa-museo è la naturale premessa all’eccezionale esperienza di accompagnarlo, dopo il tramonto, nel lavoro di ricerca e inanellamento degli uccelli. Il luogo da raggiungere si trova a un’ora di cammino dal villaggio e la passeggiata diventa l’occasione per scoprire scorci di paesaggio molto suggestivi nella incerta luce serale.Quando le ombre della notte hanno ormai nascosto ogni cosa, Jens comincia a montare una sottile rete, che servirà per la temporanea cattura degli uccelli mentre ritornano dall’oceano verso i loro nidi, accuratamente nascosti sotto le pietre in un’area di oltre 4 chilometri. Nel buio assoluto, soltanto il delicato frullare delle loro ali ne tradisce la presenza e quando qualche uccello resta intrappolato nella rete, con amorevole cura l’ornitologo lo libera, controllando le zampe. Se non trova nulla, ne inanella una e lascia che l’uccello continui la sua rotta verso il nido. Se, al contrario, trova l’anello, Jens annota il codice, dal quale potrà desumere data e luogo di provenienza.
La ricchezza di avifauna presente nell’arcipelago ne fa uno dei siti europei migliori per il birdwatching, anche se non è fra i più noti. Nell’isola di Vagar si può approfittare del battello che, con partenza dal porticciolo di Sorvagur, effettua un’escursione tra le scogliere popolate di uccelli di varie specie che si possono ammirare sulle rocce, in volo o pigramente appoggiati sulla superficie del mare.
L’isola che più di altre attira gli appassionati di birdwatching e di natura è Mykines, poche miglia a est di Vagar. Qui ci sono pulcinella di mare, gabbiani di varie specie e, soprattutto, sule in grande numero; questi uccelli, nelle Fær Øer, sono presenti soltanto a Mykines. Se si desidera trascorrere un paio di giorni “fuori dal mondo” si può alloggiare nella foresteria Kristianshus o, per i più avventurosi, montare la tenda in un luogo riparato dal vento che nell’isola sa essere molto… scortese.
Il vero rifugio per i più incalliti solitari e per tutti quelli che desiderano vivere un’esperienza unica è Gasadalur, a Vagar. Il villaggio è costituito da undici case, alcune ormai vuote, e si raggiunge esclusivamente attraverso un impegnativo sentiero, poco meno di una scalata sulla montagna.
Nemmeno dal mare si può giungere a Gasadalur, essendo posto sopra un pianoro in cima a un’imponente falesia. Vi abitano ormai pochissime anime, per le quali la caccia con le reti ai fulmari e ai pulcinella di mare non è un passatempo ma un modo per sopravvivere, come la coltivazione delle patate e il piccolo allevamento. Quassù, la televisione è arrivata tre anni fa! I pochi abitanti di Gasaladur, tuttavia, non pensano affatto di andarsene, in attesa della conclusione dei lavori di costruzione di un tunnel nella montagna che presto li collegherà al resto del mondo. Dopo, tutto cambierà. Se si vuole vivere l’eccitante esperienza di visitare questo villaggio ormai unico, occorre dunque affrettarsi. Sicuramente più agevole è la visita alla gigantesca grotta marina di Hestur nella quale, quando il mare lo consente, si tiene un suggestivo concerto di musica folkloristica delle Fær Øer.
A bordo di un’antica goletta, la Nordlysid, si salpa da Torshavn e si naviga lungo le scoscese coste di Streymoy per giungere all’imponente grotta, con un ingresso a volta alto alcune decine di metri il cui accesso è reso ancora più spettacolare dal fatto di dover oltrepassare una cascata che scende proprio davanti all’entrata. All’interno la luce scompare di colpo e tutto si confonde in una tenue atmosfera di penombra. Galleggiando a bordo dei battelli di servizio, cullati dal profondo respiro dell’oceano che entra nella grotta, si assiste al concerto: dalla barca dei suonatori si diffonde la musica, con echi e risonanze incantate che avvolgono lo spettatore in un’atmosfera magica. Non ci sono fari sulla ribalta di questo insolito concerto e l’unico scenario è costituito dal riflesso azzurro che filtra dalle acque profonde, creando suggestivi giochi di luce sulla superficie del mare.
Il mare, del resto, è il comune denominatore che governa da sempre la vita di queste isole. Grazie ad esso la gente delle Fær Øer ha potuto sopravvivere alle più pesanti carestie e ancora oggi è la principale fonte di reddito. La prima industria dell’arcipelago è quella della pesca, che viene praticata sia lungo costa che offshore, con grandi navi capaci di restare al largo anche due settimane. Una delle tradizioni più antiche e anche più contestate, al di fuori delle Fær Øer, è quella della caccia ai globicefali, balene di medie dimensioni che costituiscono uno dei cibi tradizionali per i faroesi.
A causa delle ripetute critiche a cui è stata soggetta da vari anni, la gente non parla volentieri di questa attività e quando la grindadrap, ovvero la mattanza, ha inizio, meno curiosi ci sono attorno e meglio stanno tutti. In realtà è una caccia regolamentata, soggetta a leggi rigide e rigorosamente rispettate, cosicché non vi sono pericoli per la specie che, peraltro, non è fra quelle protette.
Quando un branco consistente di globicefali viene avvistato, le barche dei pescatori della zona più vicina al luogo dell’avvistamento escono in mare, spingendo le balene verso la spiaggia e costringendole ad arenarsi. Qui altri pescatori, muniti di lunghi coltelli, colpiscono i cetacei con un colpo netto dietro lo sfiatatoio. La carne viene suddivisa fra tutti gli abitanti dei villaggi vicini, con precedenza per ospizi , ospedali e famiglie meno agiate.
Certamente la grindadrap è violenta, ma chi vive in queste isole ce l’ha nel sangue, come la corrida per gli spagnoli e, prima di indignarci, dovremmo guardarci allo specchio quando consumiamo un piatto di tonno o gustiamo un prelibato trancio di pesce spada ai ferri.

PleinAir 365 – dicembre 2002

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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