Solitario da giocare

Attorno a un lungo tratto di crinale fra l'Orecchiella e la Pietra di Bismantova, l'Appennino Tosco-Emiliano è oggi un parco nazionale: poco conosciuto, ancor meno frequentato e tutto da apprezzare nei mesi autunnali. In camper, naturalmente.

Indice dell'itinerario

Tra il Passo della Cisa a nord-ovest e quello delle Radici a sud-est, un parco nazionale tra i più giovani attende ancora di essere scoperto: è quello dell’Appennino Tosco-Emiliano, istituito nel 2001. Ripida e impervia sul versante tirrenico, più dolce su quello adriatico, la dorsale appenninica che segna il confine tra le due regioni è l’elemento geografico più caratterizzante dell’area protetta (che occupa circa 23.000 ettari, per tre quarti in Emilia).
Qui le strade sono strette e contorte, i sentieri ripidi, i paesi spesso decimati dallo spopolamento, cosicché scoprire queste montagne e le loro risorse non è impresa facile: turismo e ospitalità hanno conosciuto finora una declinazione quasi solo invernale, a rimorchio di stagioni bianche sempre più a rischio. Lasciando invece all’estate l’esplorazione delle quote più alte, tra cime panoramiche e ameni laghetti, in queste giornate autunnali ci si può agevolmente dedicare alla visita di tutto il resto, ovvero un insediamento storico che è fatto – come in altri ambiti appenninici – da una rete a maglie larghe di borghi, chiese e resti di antiche fortificazioni. Quelli delle strutture difensive medioevali sorgono in luoghi già frequentati dalla preistoria e poi utilizzati da Celti, Romani, Bizantini e Longobardi; tra i centri abitati, oltre ai principali, spiccano per il loro interesse turistico alcune piccole frazioni come Castiglione di Garfagnana, Roccaferrara e il minuscolo borgo di Casenove presso Ligonchio.
Quanto alla natura, l’ambiente dominante è il bosco ed è proprio a novembre il suo momento migliore: è costituito da querce alternate ai castagni verso i fondovalle e di faggio associato a isolati rimboschimenti di abeti o pini alle quote maggiori. Sopra i 1.700 metri la rigidità del clima consente la sopravvivenza solo alle brughiere di mirtillo e alle praterie d’altitudine. Per il resto sono pareti rocciose, pietraie e ghiaioni.

Intorno all’Orecchiella
Provenendo da sud lungo la statale 445, per chi sale alle montagne del parco in camper l’area attrezzata di Barga è un comodo campo base prima di affrontare curve e tornanti. Il centro storico e soprattutto lo splendido duomo meritano una visita: poi via, si sale.
Dal fondovalle del Serchio il bivio giusto è quello per la statale 324 all’altezza di Castelnuovo di Garfagnana, in direzione Abetone e Reggio Emilia. Qui potremo subito compiere un fuorirotta risalendola fino al Passo delle Radici, che si trova proprio sul confine regionale, e prendendo a destra per San Pellegrino in Alpe. Questo caratteristico insediamento montano conserva un santuario del XII secolo e il coevo Ospitale in cui si accoglievano i pellegrini: oggi nelle sue sale è allestito un interessante museo etnografico. Al minuscolo paesino si salirebbe anche da un bivio che si trova poco dopo Pieve Fosciana, a circa 3 chilometri dall’imbocco della statale, ma si tratta di una strada assai ripida e stretta assolutamente non consigliabile ai veicoli ricreazionali, tantomeno nella stagione fredda col rischio del ghiaccio sempre presente.
Tornati sui nostri passi fino a Castiglione di Garfagnana, sfileremo ai piedi delle belle mura perimetrali del borgo, con tanto di torri cilindriche: vale la pena parcheggiare più avanti, di fronte a un parco giochi, e fare due passi nel piccolo abitato. Poi si prosegue per Villa Collemandina e l’Orecchiella, prima vera tappa dell’itinerario. L’area così denominata – perla della Garfagnana e versante tra i più selvatici del parco – è in realtà l’insieme di tre riserve statali tuttora gestite dal Corpo Forestale, ovvero quella propriamente detta Orecchiella, la Pania di Corfino e Lamarossa. Aspre e spettacolari rupi calcaree connotano la zona, avamposto più meridionale dell’area protetta, tra cui l’imponente massiccio della Pania (1.603 m) che incombe sull’alta valle segnandone inconfondibilmente il paesaggio. Parcheggiato il mezzo nei pressi del centro visite, che affaccia su un ameno laghetto artificiale e comprende una piccola esposizione dedicata agli aspetti naturalistici del territorio, nei recinti adiacenti osserveremo con facilità mufloni, cervi, caprioli e galli forcelli; leggermente discosta dagli altri è la grande e un po’ triste recinzione dell’orso bruno, dove numerosi esemplari assistono senza scampo al vociante susseguirsi dei turisti. Dal centro visite (nel cui piazzale si può sostare anche con il camper, tranne che nei giorni di maggiore afflusso) partono vari sentieri diretti alla Pania e ad altre mete, mentre non molto lontane si possono ancora ammirare le ultime tegge, costruzioni in pietra con il tetto in paglia di segale dove i pastori ricoveravano le greggi o preparavano il formaggio.
Per completare l’esplorazione del settore toscano ridiscendiamo ora lungo il Serchio dove la Garfagnana offre attrazioni consolidate come i prodotti tipici, dalla prelibata mondiola (un salame magro di suino) al biroldo (altro insaccato fatto con sanguinaccio e testa di maiale cotta), alla farina di farro. O come le tante testimonianze storiche quale la massiccia cinta muraria di Verrucole: raggiungibile per una stradina non segnalata da San Romano, faceva parte del sistema di rocche difensive eretto dagli Este, signori di queste terre dal Quattrocento all’Unità d’Italia. Ritroviamo la 445 a Piazza al Serchio, dove una vecchia locomotiva collocata presso la strada ricorda una linea oggi in disuso. Da qui a Fivizzano – lungo la strada che finalmente è divenuta più ampia e diritta – si aprono bei panorami sulle Alpi Apuane e più avanti sul crinale dove si susseguono, tutti intorno a quota 2.000, il monte Alto, l’Alpe di Succiso e il monte Casarola. Il Passo del Cerreto fuoristagione non entusiasma, soffocato com’è da residence e alberghi al servizio della stazione sciistica, piazzali deserti e un mastodontico palaghiaccio. A piedi si può comunque seguire un sentiero – d’inverno trasformato in pista da fondo – che dal rifugio Lago Pranda conduce all’omonimo piccolo bacino e al Lago Scuro.

Sorprese tra i boschi
Scendendo sul versante reggiano lungo la statale 63, dopo Cerreto dell’Alpi e Collagna la valle si fa più aperta per giungere a Busana. In un bellissimo castagneto secolare lungo la strada si trova la sede del Parco Regionale del Gigante, con annesso centro visita al piano terra. Come quello limitrofo dei Cento Laghi, il Gigante verrà assorbito dal parco nazionale una volta a regime; ma finché quest’ultimo non diverrà operativo è qui che si possono reperire informazioni di ogni genere sui dintorni, comprese mappe, guide escursionistiche e pubblicazioni varie.
Altri centri visita contengono anche un’esposizione tematica: sull’acqua a Cerreto Alpi, sulla meteorologia a Febbio, sulla storia locale a Succiso e sulla fauna a Ligonchio, che sarà probabilmente la futura sede dello stesso parco nazionale e sorge subito a monte di una grande centrale idroelettrica in uno dei palazzetti edificati dall’Enel negli anni Venti (attualmente in restauro). Appena fuori del paese, in direzione di Busana, prendendo il sentiero 635 del CAI si risale la solitaria valle dell’Ozola per giungere al canale Lavacchiello, che forma una bella serie di cascatelle; il percorso, esposto in alcuni tratti, prosegue fino all’altopiano dei Prati di Sara (1.610 m) richiedendo circa 5 ore tra andata e ritorno. Seguendo invece da Ligonchio la strada per il Passo di Pradarena, una deviazione a destra porta il camper tra i boschi alla minuscola frazione di Casenove che conserva un piccolo gioiello dell’architettura rurale alto-appenninica reggiana: la Corte dei Papi. Si tratta di un complesso edilizio ottocentesco sviluppato intorno a una corte lastricata, di proprietà privata e visitabile solo dall’esterno.Ed è ancora qui attorno che troviamo qualche altra interessante opportunità. Tornando verso Ligonchio, un paio di chilometri prima dell’abitato si parcheggia subito prima del ponte sul Rio Re. Dall’altra parte della via inizia l’omonimo sentiero segnalato che, nel primo tratto, sale tra grossi banchi di gessi triassici incisi profondamente dalle acque del torrente: queste formazioni rocciose, risalenti a oltre 200 milioni di anni fa, sono le più antiche dell’Appennino Reggiano e ci appaiono in evidenza ancora maggiore continuando a scendere verso il ghiaioso fondovalle del Secchia, in direzione di Castelnovo. Subito prima del ponte, invece, la piacevole stradina che ne rasenta la sponda destra porta alle Fonti di Poiano (dove si trova un ristoro) e quindi risale verso Villa Minozzo tra campi frequentati dagli animali (in un solo passaggio abbiamo avvistato quattro caprioli, fagiani, poiane e picchi verdi).
Ancora da Villa Minozzo, la strada che in poco più di 30 chilometri sale al già citato Passo delle Radici aggira una faglia spettacolare presso la frazione di Case Balocchi: qui, nel lattificio sociale di Asta – ai piedi della piega rovesciata del monte Cusna, che con i suoi 2.120 metri è la cima più elevata del parco – potremo acquistare l’ottimo parmigiano reggiano di produzione locale a prezzi di favore.

Belvedere d’eccezione
Castelnovo ne’ Monti è l’indiscussa piccola capitale del circondario (chi arrivasse da nord la raggiungerà imboccando la statale 63 da Reggio Emilia): e se il tempo è propizio, i colori novembrini sono semplicemente perfetti per la visita alla Pietra di Bismantova di dantesca memoria (‘Montasi su in Bismantova in cacume/con esso i piè; ma qui convien ch’om voli’, Purgatorio, Canto IV, vv. 26-27). L’imponente blocco di calcarenite, alto 300 metri, largo 240 e lungo un chilometro, si eleva sul versante emiliano fino a quota 1.000 su una dolce campagna fatta di coltivi, prati, lembi boschivi, ed è senza dubbio la maggiore attrazione del parco. Dal paese si raggiunge il piazzale sottostante in pochi chilometri, quindi una mezz’ora di comodo sentiero porta alla sommità occupata da prati e boschetti, che regala una vista a 360 gradi dal vicino crinale al monte Cimone fino alla Pianura Padana. Da non perdere.
Ci spostiamo adesso a Ramiseto per un’altra meta interessante: si tratta del Lago Calamone, dove arriva una stradina chiusa al traffico veicolare nell’ultimo tratto. Il piccolo specchio d’acqua, situato ai piedi dei monte Ventasso, a primavera ospita sulle sue sponde un raro endemismo, l’orchidea Dactylorhiza praetermissa. A smentire una leggenda che lo voleva senza fondo fu un celebre pioniere delle scienze naturali, Lazzaro Spallanzani: “Con piccola zattera fabbricata di tronconi di faggio, mi recai felicemente nel mezzo, e ai lati del lago (…) e insieme, il piombino alla mano, ebbi il desiderato contento di esplorarne il suo fondo (…) in certi luoghi era di tre, in alcuni di cinque, in parecchi di dieci, e in altri di quattordici braccia, e questa fu la maggiore”. Alla memoria dell’abate naturalista è stato dedicato il Sentiero Spallanzani, che dalla pianura sale fino alla catena appenninica attraversando gran parte della montagna reggiana. Ben più anonimo il lago Paduli, di origine artificiale, che occupa il Passo di Lagastrello con annesse strutture e diga. Quindi, tornando a valle per la statale 665 e deviando per Monchio delle Corti, si raggiunge Corniglio, unico comune parmense del parco. Da vedere il castello medioevale che ospita il municipio, ma si segnala anche un attivo ostello aperto dodici mesi all’anno.
L’ultima tappa del viaggio è subito al di là del fiume Parma: minuscolo e diviso in due frazioni, l’abitato di Roccaferrara è un solitario mondo antico riservato a chi viaggia con mezzi poco ingombranti oppure in bicicletta. Da qui, ancora un po’ di zigzag fino a Pontremoli e l’autostrada ci riporta alla solita, affollata realtà.

PleinAir 388 – novembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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