Silenzio, si cammina

Lontani dalle chiassose piste delle stazioni sciistiche più frequentate, a Samoëns si vive in prima persona la magia dell'inverno alpino addentrandosi nei boschi della Savoia con le racchette da neve. E con tanto di ottima base per il camper o la caravan.

Indice dell'itinerario

Trovarsi in un cul de sac, ovvero in fondo a un sacco per dirla con i francesi, qualche volta può essere un vantaggio. E’ quel che è accaduto agli abitanti di Samoëns, un villaggio a quota 700 nella valle scavata dal fiume Giffre e chiusa dall’imponente catena montuosa del Fer-à-Cheval, la cui forma ricorda appunto un ferro di cavallo. Proprio grazie a questa posizione, il paese ha conservato intatte antiche tradizioni ormai perse e dimenticate nelle vicine e più trafficate valli di passaggio: non a caso è stato dichiarato patrimonio storico nazionale per l’architettura e la lavorazione della pietra calcarea e del granito. Dalle cave secolari ancora oggi si estrae il materiale poi lavorato e modellato in capitelli e arcate decorative di notevole pregio, e questa attività costituisce – insieme a un fiorente artigianato del legno e al turismo – una delle maggiori fonti di reddito della zona che comprende, oltre a Samoëns, il vicino paese di Sixt. Moderne e sofisticate attrezzature sono ovviamente entrate negli antichi laboratori, aiutando i tagliatori di pietra nel duro compito di modellamento dei minerali, ma molto si è conservato degli usi passati: ad esempio, l’acqua viene impiegata come un tempo per riempire le fessure della roccia in attesa che il freddo invernale la dilati, spaccando il granito in blocchi.
Decine sono i laghetti, come pure i ruscelli che si gettano nell’impetuoso Giffre, il torrente che dà il nome al grande campeggio di Samoëns: è questa la base ideale per scoprire en plein air gli angoli più nascosti della valle, grazie all’attiva e ben organizzata comunità montana. Quest’ultima, caso raro, è essenzialmente composta da giovani che hanno recepito e fatto proprie le influenze ecologiste provenienti dalla pianura, soprattutto da contadini come il noto ecoagricoltore José Bové (una delle figure-simbolo nella lotta contro gli OGM e l’alimentazione globalizzata). Ed ecco che in valle, oltre alla frenesia delle piste da sci e al rumore di seggiovie e telecabine tipici dell’Alta Savoia, sono nate associazioni sportive legate al più tranquillo e ben più rilassante escursionismo con le racchette da neve, oggi uno dei fiori all’occhiello di questa piccola ma attiva stazione invernale.

Passeggiate secondo natura
La giornata è fredda ma soleggiata, e un bel cielo azzurro fa da contrasto con la candida lucentezza della neve. Durante la notte boschi, alpeggi e radure sono stati ricoperti da un manto bianco che arriva quasi a mezzo metro di altezza.
Per chi non ha mai messo ai piedi le ciaspole, il primo impatto è decisamente difficoltoso. Dopo pochi passi, mi distraggo un attimo nel guardare il paesaggio… e mi ritrovo lungo disteso a faccia in giù, semisommerso da una polverosa e quasi impalpabile coltre di neve. «Gambe aperte e passi lunghi» ricorda Patrick Labrosse, la guida che mi aiuta a rimettermi in piedi districandomi tra zainetto, bastoncini, macchine fotografiche, cinghie e cinghioli inesorabilmente intrappolati nelle racchette appena noleggiate. Con gli occhi ancora sbarrati dallo stupore, la faccia arrossata e le braccia abbandonate lungo i fianchi, mi vedo riflesso nel vetro del veicolo di Patrick e mi viene da sorridere: meglio seguire con più attenzione i suoi consigli. In effetti, già dopo qualche centinaio di metri troviamo la giusta andatura e cominciamo ad apprezzare la camminata. Si procede spediti, in un silenzio carico di emozione, sul sentiero segnato da paletti bianchi e rossi, superando piccoli colli lungo pendii immacolati, passando vicino ad antiche borgate e rifugi costruiti ancora con tecniche tradizionali. Il tetto in asticelle di legno sovrapposte e le pareti di malta e granito incastonate tra le robuste travi sono la tipica struttura architettonica delle baite che s’incontrano durante il percorso attorno al monte Les Suets, meta della gita. La guida fa osservare al nostro piccolo gruppo particolari che facilmente sfuggirebbero agli occhi del profano, come i perfetti incastri nel legno o le decorazioni floreali intagliate nella grigia pietra locale.
A piccoli passi si sale di quota e s’impone alla vista la cerchia delle montagne, in un paesaggio sempre più maestoso dove la quiete regna sovrana: il brusio delle piste, le grida di sciatori e snowboarder, l’incessante sottofondo degli impianti di risalita sono ben lontani da qui. In poche ore arriviamo a toccare quota 1.200, raggiungendo il limite del bosco e i plateau alpini: in tutto abbiamo superato 400 metri di dislivello, seguendo sentieri ben tracciati e con frequenti pannelli che illustrano il percorso, ma anche la flora e la fauna presenti nelle diverse stagioni in questa parte della valle del Giffre.
E’ solo quando ci fermiamo per la sosta che scopro di aver dimenticato cibo e bevande. Notato lo sconforto – e soprattutto il mio sguardo famelico puntato sul pane accompagnato dal profumato salame prodotto in valle – Patrick mi offre un tè caldo e mi rassicura: «Tranquillo, ne ho anche per te». Detto fatto, eccomi ad affondare i denti in un fragrante panino.
Il tempo della sosta passa in fretta mentre si rifanno gli zaini e si allacciano le racchette, pronti a riprendere la marcia attraverso fitti boschi di pini e abeti che ricoprono le montagne della vallata, per tornare verso il pulmino che ci riporterà a Samoëns. Un sentiero trasversale conduce alla foresta di Les Suets, un bosco di conifere che offre rifugio a numerosi animali e a noi l’occasione di riconoscere, grazie alle spiegazioni della guida, le impronte di lepri, cerbiatti, caprioli ma anche pernici, volpi e, non rari da queste parti, linci e lupi: ci si ferma volentieri a decodificare i resti della predazione di un rapace o i segni lasciati sui giovani tronchi di betulla dai cerbiatti.
Tra i rami carichi di neve, che ogni tanto ci cade in testa in piccoli mucchi appena smossa da qualche folata di vento, i passaggi diventano sempre più stretti e impegnativi ed è facile perdere l’orientamento: ma Patrick, esperto conoscitore di questi luoghi, conduce sicuro il piccolo gruppo nel fitto sottobosco. Nonostante gli imprevisti, le scivolate e qualche brivido provocato dai fiocchi che s’infilano nel collo e scendono lungo la schiena, la ciaspolata si rivela interessante e divertente, ma soprattutto un modo ideale per trascorrere un po’ di tempo a contatto con la natura invernale, grazie anche alla cura che gli abitanti dell’Haute Giffre hanno riposto nell’organizzare un turismo ad ampio raggio capace di soddisfare le esigenze più diverse. Una bella scommessa per questi montanari: e alla fine della giornata, mentre ripenso alle emozioni dell’escursione, so che l’hanno vinta.

PleinAir 389 – dicembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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