Sette per tre

Tornano i protagonisti del giro del Monte Bianco a piedi. Sono tre invece di quattro, ma con un'altra impresa da raccontare: sette giorni sull'Alta Via dello Stubai, in Tirolo

Indice dell'itinerario

Visti i brillanti risultati della nostra esperienza escursionistica attorno al Monte Bianco (vedi PleinAir n. 359), era venuta naturale l’idea di andarla a ripetere da qualche altra parte. Facile, si potrebbe pensare. No, invece. Trovare una decina di giorni liberi per i giovani accompagnatori tra campi scout, soggiorni sportivi, settimane di studio all’estero o dagli zii, giorni e giorni di computer (senza contare i Mondiali di Calcio e le prodezze dell’arbitro Moreno) si è rivelato un compito improbo. Con un po’ di nostalgia – e di ossa rotte dopo 12 ore di treno da Roma al Tirolo – ci siamo così trovati solamente in tre sul triste piazzale della stazione di Innsbruck. Come me, anche Gaetano e Federico avevano la stessa aria scocciata probabilmente a causa della pioggia battente; e il diluvio, una volta scesi dall’autobus nella ridente cittadina di Neustift, non accennava a placarsi, anzi.
Dopo aver trovato una stanza e rimediato una cena, mentre i ragazzi sogghignano alle note gorgheggianti di un primo Jodler, incontriamo finalmente la pietanza che diventerà la nostra compagna di viaggio preferita: la colossale e frittissima Wienerschnitzel. Ma tornando a cose più serie, ecco come si è svolta la nostra impresa.

Primo giorno
Da Neustift alla Starkenburger Hütte (2 ore)
La mattina piove con discreto entusiasmo. Guardando la carta topografica appena comprata nella tabaccheria di Neustift, ipotizziamo la tappa più breve possibile da affrontare alla prima schiarita. Sotto l’acqua, ci sediamo ad aspettare l’autobus che scende la valle fino al paese di Fulpmes, da cui una moderna cabinovia ci porta, tra nuvole e tuoni, fino ai 2.100 metri del Kreuzjoch, dove ci nascondiamo di corsa in un rifugio-bar. Decido di stupire i miei accoliti con le quattro parole di tedesco che conosco e, mentre ordino stentatamente un caffè e due porzioni di patate fritte (classico cibo energetico da sportivi), l’allegro barista mi chiede di parlare in italiano, dato che lui è di Como’
Il panorama non si vede, le nuvole corrono spinte dal vento ma ora, stranamente, non piove. Decidiamo di partire e, in mezzo a un’appiccicosa fanghiglia, saliamo verso il Sennjoch dove si trova il primo passo che dovremo superare. La salita è ripida, ma i due giovani partono verso l’alto a folle velocità. Fatico a seguirli mentre costeggiamo la grande conca erbosa dove, d’inverno, sono in funzione decine di skilift e impianti di risalita. Poco prima del colle li trovo accasciati su una panchina: per me è una piccola soddisfazione, per loro la conferma che in montagna è meglio non correre.
Oltre il colle, inizia un tratto a mezza costa irto di paravalanghe. Il tempo ci fa subito capire che non possiamo tirare troppo la corda: non appena ci sediamo per mangiare esce il sole, ma un istante dopo inizia a diluviare. All’improvviso, dopo una curva del sentiero, ecco il nostro primo rifugio, grande e panoramico. Tutt’intorno ferve una grande attività per la costruzione di un’altra serie di paravalanghe (ma che succederà d’inverno da queste parti’). Il gestore ci offre tre posti in un Matratzenlager: il nome è sinistro ma la sistemazione comoda. Dopo aver guardato il panorama sul fare della sera e mangiato le solite enormi cotolette, alle nove siamo tutti a letto… con un certo peso sullo stomaco.

Secondo giorno
Dalla Starkenburger Hütte alla Franz-Senn Hütte (6 ore e 15 minuti)
Tra gli escursionisti mattinieri che ci hanno preceduto sul sentiero, il nostro gruppo è il solo a contare un membro che indossa la maglia verde e gialla del Senegal, con sulla schiena il nome del mitico Fadiga. Chi ci guarda – siamo in una terra dove la montagna va presa sul serio – ha un’espressione a metà tra il sorpreso e il disgustato.Dopo qualche tornante in salita ci affacciamo ai piedi della parete dolomitica della Schlicker Seespitze, sotto cui scende un ghiaione che il nostro sentiero attraversa fino al colle del Seejochl (2.518 m). Il vento è gelido, la visibilità buona e con una certa apprensione ci rendiamo conto che il prossimo rifugio è, sebbene più in basso di noi, lontanissimo in fondo a una valle sterminata. Per questa tappa servono piede fermo e costanza recita la fotocopia inumidita dell’itinerario che ci ha fornito l’ufficio del turismo, e la necessità della costanza ci appare chiara. Percorriamo la cresta erbosa che ogni tanto si spalanca in dirupi sulla destra o sulla sinistra, poi il sentiero inizia a traversare a mezza costa. Non c’è alcuna difficoltà a percorrerlo, come farebbero pensare le molte corde fisse che costellano ogni passaggio roccioso, è certo però che cadere significherebbe rotolare per un bel pezzo verso il fondovalle. Il piede fermo per fortuna ci aiuta e raggiungiamo Sedugg-Hochalm (2.009 m), una casetta in stile tirolese che sembra uscita da un cartone animato di Heidi. I ragazzi prendono un piatto di speck fritto con sopra tre uova a testa, io mangio i panini e bevo un caffè a dir poco terribile, sotto gli occhi felici dell’omone che gestisce questo piccolo ristoro in quota.
Pensiamo manchi poco alla meta, ma non è vero: superando tutti, veloci soprattutto in discesa, impieghiamo oltre due ore per raggiungere la Franz-Senn Hütte. Più che un rifugio, sembra un albergo: i posti sono 200, i piani cinque (noi siamo all’ultimo) e la sala da pranzo sembra quella del self service di Malpensa. Scopriamo due fatti interessanti che saranno poi ricorrenti nei nostri giorni futuri: tutti bevono birra in quantità spaventosa e ciascun rifugio è collegato al fondovalle da una teleferica di servizio. La sera, dopo la solita partita a carte, appena accoccolati nei nostri letti veniamo svegliati dallo spiffero gelido che entra da una finestrina. La chiudiamo e immediatamente una signora arcigna la riapre. Mi addormento ascoltando l’improbabile discussione tra Federico e la matrona che, ovviamente, ha partita vinta.

Terzo giorno
Dalla Franz-Senn Hütte alla Neue Regensburger Hütte (4 ore e 15 minuti)
Stamattina il tempo è splendido. Davanti a noi, sul fondo della valle Hinterbergl, brillano i ghiacciai di una catena di montagne che superano abbondantemente i 3.000 metri. Sveglio i miei compagni e dopo un’abbondante colazione ci muoviamo per affrontare la salita in direzione del colle dello Schrimmennieder (2.714 m). La strada è preceduta da un tratto a mezza costa – in cui ci si destreggia tra pecore, capre e pietraie – e da un costone abbastanza duro in un ambiente scuro e pietroso. Fatichiamo un po’, anche a causa delle sei ore di cammino di ieri e, sosta dopo sosta, arriviamo al colle dove incontriamo un gruppetto di camminatori che ormai conosciamo. Mentre passeggio guardando il panorama che si affaccia di nuovo verso la valle principale oltre un piccolo nevaio, mi accorgo con orrore che Gaetano e Federico, invece di ammirare tanta bellezza, stanno giocando a briscola sulla ghiaia del colle.
Pranziamo e iniziamo a scendere traversando su roccette attrezzate con cavi, corde e bulloni vari. Poi, mentre siamo sul sentiero sottostante, notiamo che tutti coloro che ci seguono hanno qualche problema sui tratti sassosi. Infatti gli austriaci e i tedeschi camminano abitualmente appoggiandosi a bastoncini da sci che, se possono essere utili in salita o sui prati in discesa, sono veramente scomodi su tratti rocciosi o peggio lungo le morene costellate dalla vetroresina, dall’alluminio e dalla plastica dei bastoncini frantumati.
Il sentiero scende velocemente fino a un bivio da cui si traversa a mezza costa in direzione della Regensburger Hütte, che si vede in lontananza sul margine di un altopiano. Arriviamo al rifugio e scopriamo che, essendo sabato, tutti i posti disponibili sono occupati. Il gestore, impietosito dalle nostre facce tristi, ci sistema nel rifugio invernale: siamo felici come pasque. Più tardi, nella sala da pranzo, assistiamo all’inizio dell’ebbrezza generale che festeggia il finesettimana e già alle otto di sera saranno in molti a non reggersi in piedi. Noi, impiegando diversamente il nostro tempo, abbiamo scoperto che per soli 5 euro (oiro, nell’idioma locale) si può spedire via teleferica uno zaino da qui alla Dresdner Hütte e passiamo una mezz’ora a preparare un sacco da montagna mostruosamente pesante, che ci lasci leggeri per l’escursione di domani.
Quando andiamo a dormire, ci accorgeremo ben presto che la festa continua: tutta la notte sarà turbata dall’andirivieni dei nostri compagni di stanza che, avendo bevuto una decina di litri di birra a testa, si alzano ogni ora…Quarto giorno
Dalla Regensburger Hütte alla Dresdner Hütte (5 ore e 20 minuti)
Il tempo è bello, malgrado un po’ di foschia. Il primo tratto a monte del rifugio, su cui procediamo tranquillamente grazie alla leggerezza dei sacchi, ci offre la splendida vista di un torrente che ha creato una serie di laghetti paludosi di un tenue colore verde. Saliamo sulla morena del ghiacciaio fino a raggiungere la base del malpaso, un ripido nevaio che porta alle rocce sotto al colle del Grawagrubennieder (2.881 m). Fortunatamente la neve non è gelata e con eleganza usciamo sia dal pendio che dalla pietraia soprastante.
Sul colle il sole ormai se n’è andato da un pezzo e fa veramente freddo. Davanti ai nostri occhi si spalanca tutta la parte centrale della catena delle Alpi dello Stubai, con al centro la Stubaier Wildspitze che tocca i 3.341 metri d’altezza. Sotto ai ghiacciai si vedono strade e impianti di sci: in quella zona ci dovrebbe essere la nostra meta, la Dresdner Hütte. Prima di fermarci a mangiare scendiamo di quota, ma la strada verso i laghetti che circondano il Mutterberger See è molto più lunga di quanto pensassimo. Finalmente ci sediamo, e durante il pranzo veniamo circondati da un branco di pecore enormi, affamate e forse anche di cattivo umore.
Il pomeriggio porta una triste delusione: dopo un’ora di cammino scopriamo che per raggiungere il nostro prossimo rifugio bisogna salire 300 metri di dislivello per scavalcare un piccolo colle. Ci incamminiamo superando gli ultimi malcapitati che avevano osato sfidarci, e poi inizia il diluvio. Dopo aver accompagnato per mano un ragazzino che si era bloccato su un lastrone di roccia, ingarbugliato tra la corda fissa e i suoi bastoncini (quando gli suggerisco di piegarli e metterli nello zaino mi guarda atterrito e implora «Nein!»), ci buttiamo di corsa in discesa verso la Dresdner Hütte, dove entriamo sgocciolando e occupiamo una splendida camera a quattro letti. Dopo la doccia con l’acqua calda che finisce esattamente a metà, mentre Federico raggiunge i sei piani con il suo castello di carte e Gaetano è impegnato nella lettura di un volume sulla nube tossica della fabbrica di Bhopal, scopro che le previsioni per domani sono di lento miglioramento. Il che vuol dire che non vale la pena di partire tanto presto.

Quinto giorno
Dalla Dresdner Hütte alla Sulzenau Hütte (2 ore e 30 minuti) Da qui in avanti è giunto il momento delle scelte: la tappa verso il prossimo rifugio è infatti breve e molti escursionisti saltano la Sulzenau Hütte per andare direttamente al rifugio seguente. Noi siamo abbastanza pigri, decidiamo che in fondo non abbiamo fretta e quindi faremo una tappa breve. A causa della pioggia la salita verso il colle del Beiljoch (2.672 m) è ripida, fangosa e soprattutto umida. Sbuffando e fumando di vapore sotto le giacche a vento (che in teoria dovrebbero essere traspiranti), arriviamo al colle dove quasi miracolosamente la pioggia e le nubi scompaiono, lasciando solo la vista sui seracchi del ghiacciaio del Sulzenauferner. Alle nostre spalle, il colle è una piccola foresta di ometti di pietra che sembrano tanti piccoli chorten nepalesi. Seduti a cavalcioni sulla cresta della morena, dove non c’è vento e il sole riscalda piacevolmente, ci guardiamo attorno soddisfatti: sono cinque giorni che camminiamo e tutto va per il meglio. Abbiamo avuto poche ore di pioggia, mangiato con dovizia e la compagnia regge bene nonostante l’assenza di Giacomo, il nostro quarto compagno abituale. Federico, pieno di cioccolato come un bignè, è seguito dagli occhi dolci di una bimbetta bionda e grassottella, ma la cosa non sembra renderlo felice.
Scendiamo tra le nebbie verso la Sulzenau Hütte dove, purtroppo, avremo un brutto incontro. Il gestore del rifugio è davvero antipatico, ci guarda male e non fa alcuno sforzo per venire incontro al nostro tedesco d’infimo livello. Per fortuna esce il sole e, mentre la cameriera del rifugio gorgheggia i nomi delle pietanze che escono dalla cucina (Speckknödelsuppe, Wienerschnitzel e così via), trascorriamo ore tranquille a cuocerci al sole.Sesto giorno
Dalla Sulzenau Hütte alla Nürnberger Hütte (3 ore)
Per la prima volta non ci svegliamo in tempo e scendiamo in ritardo per la colazione. Il gestore ringhia, sbuffa, ci sbatte sul bancone qualche fetta di pane raffermo e se ne va parlando da solo. I miei compari gli rispondono con colorite espressioni che si usano dalle nostre parti. Preferiamo partire per evitare il rischio della zuffa.
Saliamo tra pietraie e morene lungo la valle del Grünau fino al blu profondo del Grünausee, proprio sotto alle pareti della Wilder Freiger. La giornata è gloriosamente bella, la salita verso il colle Niederl si conclude con una ventina di metri di roccette ripide dalle quali ho modo di ammirare la tranquillità di Gaetano e Federico che mi precedono. Seduti sul colle, vediamo in basso la mole scura delle Nürnberger Hütte, in mezzo a un mare di pietre.
Il rifugio è splendido e, come la maggior parte di quelli che abbiamo incontrato, vecchio di un secolo. Nella sala da pranzo tutta rivestita in legno, due gentili fanciulle ci forniscono la nostra dose giornaliera di trigliceridi, lipidi e colesterolo mentre i ragazzi scambiano monetine italiane con quelle olandesi. Guardando sul libro delle presenze di questo rifugio (ma lo stesso era accaduto anche i giorni scorsi), scopriamo di essere da almeno un anno gli unici italiani a percorrere questa via; eppure siamo a soli 10 chilometri dal confine.
Il pomeriggio trascorre quieto, al sole, fino all’arrivo di un gruppo di marziali scout austriaci preceduti da un signore paonazzo che trasporta uno stendardo colossale. Guardo Gaetano e penso: non sarà che anche lo scoutismo da queste parti l’abbiano preso più sul serio che da noi?

Settimo giorno
Dalla Nürnberger Hütte a Neustift (un’ora e 30 minuti, più autobus)
Oggi si scende. A causa di impegni vari che richiedono una ritirata verso le nostre amate sponde, dobbiamo abbandonare gli ultimi due giorni del trekking. Ci incamminiamo con calma, fino a che Gaetano non legge su un foglietto tutto stropicciato che l’autobus della STB dovrebbe fermare a fondovalle tra meno di due ore. I giovani partono verso il basso come meteore, mentre io, non amando troppo saltellare sul mio fragile ginocchio sinistro, li seguo più lentamente. In poco più di un’ora e mezzo scendiamo 1.000 metri di dislivello e ci cambiamo in mezzo al parcheggio di Ranalt, aspettando l’autobus verso Neustift. Dopo una breve sosta in paese per recuperare dei vestiti puliti, scendiamo a Innsbruck dove ci attende la civiltà: il panorama dalla Stadtturm, le tegole brillanti del Goldenes Dachl, le interminabili gallerie di Asburgo, del castello di Ambras e, soprattutto, gelati, spaghetti e Internet Café.
La città, percorsa da fameliche orde di giapponesi condotti da guide dal pugno di ferro, ci saluta con la pioggia quando raggiungiamo la stazione. Ma visto il clima medio dell’estate scorsa, non possiamo che ritenerci fortunati del sole e della poca pioggia del nostro Stubai.

PleinAir 372/373 – luglio/agosto 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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