Selvaggia primavera

Dalla Val Tagliamento alla Val Cellina, tutt'intorno al parco delle Dolomiti Friulane, un itinerario in luoghi non addomesticati dal turismo di massa, dove la wilderness è ancora una realtà: montagne aspre e bellissime, distese di boschi, profonde forre incise da capricciosi torrenti formano un contesto capace di accogliere la più autentica vacanza secondo natura.

Indice dell'itinerario

Belle, aspre, spettacolari: le Dolomiti Friulane non sono le più note, ma non hanno nulla da invidiare al resto delle Alpi Orientali. Un territorio tormentato e affascinante, caratterizzato da guglie rocciose, profonde forre, cime scoscese tra le quali si inseriscono a fatica strette valli solcate da strade spesso a una sola corsia. La suddivisione orografica internazionale esclude queste montagne dal sistema dolomitico “ufficiale”, ma è lo stesso paesaggio a rivelarci che si tratta di una delimitazione puramente convenzionale. Non per caso questa zona, che presenta un elevato grado di wilderness, è tutelata dal Parco Naturale Regionale delle Dolomiti Friulane, area protetta dal 1996: questi luoghi infatti sono meno accessibili rispetto a mete del turismo di massa quali Madonna di Campiglio e Cortina d’Ampezzo, e ciò ha contribuito a conservarli quasi ovunque intatti.
Il lato meridionale, più dolce, scende verso la Valcellina che si stacca dalla valle del Piave all’altezza di Longarone, poco a nord di Belluno. Il versante nord ha invece il suo asse principale nel Tagliamento, che ci introduce alla prima parte del nostro itinerario: lo lasceremo più avanti per scavalcare le montagne, ridiscendere sino a sfiorare la pianura e poi tornare ancora verso le alte quote, abbracciando in un ampio semicerchio l’intera estensione del parco.

Tra fiume e montagne
Da Pieve di Cadore percorriamo i 12 chilometri della statale 51bis fino a Lozzo, dove ci immettiamo sulla 52 della Carnia. Superato il piccolo Passo di Mauria, dove nasce il fiume, entriamo in Friuli Venezia Giulia. Nonostante in questo tratto sia poco più che un torrente, il Tagliamento ha un letto ampio e bianchissimo per via dei ciottoli che porta con sé ad ogni piena; questi ghiaioni caratterizzano il corso d’acqua in tutta la sua lunghezza.
Transitiamo sotto i picchi aguzzi del Cridola, uno dei monti più impervi del parco. Qui la valle è ancora piuttosto stretta e ha l’aspetto quasi di una gola, che percorriamo sino a Forni di Sopra. Nonostante la posizione isolata il paese ha un’evidente impronta turistica, con impianti di risalita alle pendici del Cimacuta (d’inverno è una popolare meta sciistica) oltre ad alberghi, negozi, ristoranti e, graditissimo, un vasto parcheggio subito a monte dell’abitato, dove si può pernottare con il camper in tutta comodità. Uno dei centri visita del parco ospita una mostra permanente sulla vegetazione locale: scopriamo che sono molto diffuse le genziane, insieme ad alcuni endemismi e alla rara pianella della Madonna o Cypripedium calceolus, una delle specie più preziose di orchidea selvatica nostrana, purtroppo delicata e per questo scomparsa da tante aree montane. Parte dal paese il percorso escursionistico Truoi dai Sciops, in dialetto “sentiero delle genzianelle”, un nome che già da solo è tutto un programma. Forni di Sopra offre viste spettacolari del Cridola e del Cimacuta, che torreggiano sull’abitato e sono attraversati da sentieri adatti a camminatori di grande esperienza. Si deve procedere verso Andrazza e la Val di Suola, poco più avanti, per incontrare accessi meglio praticabili senza dover passare dal trekking alla roccia.
Anche Forni di Sotto ha il suo centro visite nel quale sono descritte le tipologie forestali del parco, la storia dell’utilizzazione del legname e l’evoluzione dei boschi. Il consiglio è di dedicare un po’ di tempo anche a questa mostra: una preparazione didattica, soprattutto se ben gestita come nei due centri, è una buona base di partenza per comprendere meglio quello che vedremo più avanti.
Da Forni di Sotto inizia il sentiero della Forcella Lareseit, uno dei pochi che permettono di addentrarsi nelle Dolomiti Friulane risalendo la Val Poschiadea e collegando così la Val Tagliamento all’alta Valcellina. Chi vuole affrontare questo trekking dovrà essere in gran forma e mettere in conto che non basta un giorno per la traversata, ma l’ipotesi di lasciare il camper in paese è poco realistica (tanto più se si tratta di un mezzo ingombrante) perché la stessa morfologia del territorio rende difficile individuare spazi di parcheggio adeguati. In compenso, superato di un paio di chilometri il centro urbano, subito dopo una breve galleria si può ammirare uno degli scorci migliori della catena dolomitica friulana, con Forni di Sotto in bella vista. Questo lato però è rivolto a nord e per questa ragione è quasi sempre in controluce, eccetto le primissime ore del mattino quando il sole illumina la valle d’infilata.
Superando il piccolo Passo di Sella Corso conviene fare una sosta nel grande parcheggio del ristorante, dove tra l’altro si mangia un ottimo frico, la specialità friulana a base di formaggio e patate. Da qui si raggiunge a piedi in una decina di minuti la Palude di Cima Corso, un biotopo regionale che, a dispetto della sua importanza naturalistica, non è segnalato in alcun modo ed è ignorato perfino dai residenti ai quali chiediamo informazioni. Per visitarlo, guardando il parcheggio bisogna imboccare la strada sulla destra scendendo per un paio di centinaia di metri nella conca; il percorso è asfaltato ma non conviene rischiare con il veicolo, essendo la carreggiata troppo stretta per lo scambio e con un fondo decisamente poco affidabile. La palude consiste in un laghetto quasi del tutto ricoperto da un fitto canneto, intorno al quale gira uno stretto sentiero nel bosco umido. Le piante tipiche delle aree palustri d’alta quota coprono i pochi chiari d’acqua aperta, in cui si riflettono i raggi del sole che riescono ad attraversare il fogliame. Un ambiente intimo e suggestivo, immerso nel più assoluto silenzio se si eccettuano i suoni della natura.

La Val Tramontina
Il pur modesto rilievo di Sella Corso allontana il Tagliamento dalla statale. In questo tratto il fiume ha ancora una portata modesta ma continua ad allargarsi, con sassi di un candore quasi accecante e acque grigio-azzurre che si dividono a formare mille rivoli. La vista migliore si apprezza dai tornanti della strada per il Passo di Rest, che imboccheremo deviando a destra poco dopo Ampezzo Carnico. Il panoramico tragitto sale con tornanti arditi ed è bene prendersela con calma per non sforzare troppo il veicolo, prestando cautela soprattutto se si tratta di un camper di buona stazza.
Il valico è l’unico passaggio che collega la Val Tagliamento alla Val Tramontina o Val Meduna, il confine orientale delle Dolomiti Friulane. Già sulla carta i toponimi sembrano un inno al paesaggio romantico: Tramonti di Sopra, Tramonti di Mezzo, Tramonti di Sotto, Lago dei Tramonti… La si potrebbe anche definire “valle fiorita” perché, soprattutto nella stagione primaverile, si scorgono a più riprese campi multicolori e una grande varietà di fiori di montagna, quasi fossimo in un immenso giardino botanico.
Dal Passo di Rest fino a Maleon ritroviamo l’ambiente delle gole, con tanti tornanti a scendere quanti ne avevamo percorsi a salire. L’una dopo l’altra si attraversano le tre frazioni che compongono il paese di Tramonti, costeggiando il torrente Meduna fino al Lago di Redona o appunto dei Tramonti, non bellissimo perché, essendo artificiale, presenta lungo le sponde la consueta fascia di terra morta che ne pregiudica l’aspetto estetico. Questo tuttavia non incide sulla piacevolezza complessiva del paesaggio della valle, lontana dalle grandi direttrici turistiche e di antico fascino rurale.
Alcune strade porterebbero anche da qui ad addentrarsi nel parco, verso altri bacini artificiali ottenuti sbarrando alcune gole, ma molte sono chiuse o parzialmente inagibili persino con fuoristrada. Chi non teme le zone impervie potrà invece percorrere a piedi il sentiero del Lago del Ciul che, da Tramonti di Sopra, si inoltra in un’area selvaggia fino a raggiungere l’invaso, lungo un percorso un tempo conosciuto solo da boscaioli e carbonai.

Ingresso in Valcellina
Giunti a Maniago, ormai a filo della pianura, vale la pena concedersi una piccola deviazione verso Frisanco senza però raggiungere il paese, trattandosi di un agglomerato di poche case dove è difficile persino fare manovra per tornare indietro. Lungo la strada si attraversa una gola a dir poco impressionante, la Forra del Colvera; poco più avanti sulla sinistra si trova un ponte, oltre il quale un piccolo parcheggio costituisce l’unica opportunità per una breve sosta lungo il tragitto. Il ponte attraversa il torrente Colvera ed è qui che la forra assume la connotazione più spettacolare, con marmitte dei giganti, massi erratici e fenomeni erosivi di grande effetto: prestate attenzione perché la visuale è dall’alto, ma le pareti della forra non hanno alcuna protezione e le rocce sono scivolose. Sul lato opposto del parcheggio inizia un sentiero che, risalendo il corso d’acqua, porta all’interno del Parco Comunale dei Landris, parola che nell’idioma locale significa appunto forra o gola. Tutta l’area rientra nel più vasto Sito di Interesse Comunitario denominato Val Colvera di Jof, ricca di grotte, canaloni e di un’intricata vegetazione, e basta una mezz’ora di cammino per raggiungere una grande caverna che viene talora impiegata anche per concerti e spettacoli. Oltre ai capricci della geologia si noti la flora, in particolare la felce denominata lingua cervina o Phyllitis scolopendrium, che qui cresce in abbondanza essendo una specie che preferisce i luoghi umidi e ombrosi e le imboccature di grotte e pozzi. Da tenere presente una possibile alternativa se non si vuole spostare il camper da Maniago: i trasporti pubblici offrono varie corse per Frisanco dal primo mattino al pomeriggio inoltrato e prevedono una fermata in località Colvera, consentendo in orario utile anche il ritorno.
E’ il momento di avvicinarsi al confine meridionale del parco, partendo ancora da Maniago per portarsi a Barcis. Quest’ultima località si potrebbe raggiungere anche da Frisanco seguendo la strada di crinale che passa per Andreis, ma si tratta di un percorso estremamente tortuoso che oltretutto non consentirebbe di visitare una delle principali attrazioni naturalistiche dell’intera zona, la Forra del Cellina, tutelata da una piccola riserva. Da Montereale Valcellina si entra nella galleria del Rugo Grande, parallela alla vecchia strada che costeggia l’orrido, e subito alla fine del tunnel si prende la prima deviazione per visitare a piedi la forra lungo il tracciato originario; è opportuno però informarsi in anticipo presso gli uffici della riserva, poiché oggi la strada non è ad accesso libero nemmeno per gli escursionisti e bisogna attendere le guide. Ora ci accorgeremo che quella vecchia carreggiata era davvero impraticabile in camper, decisamente stretta e con speroni di roccia proprio all’altezza della mansarda. Altri punti di accesso si trovano ad Andreis e a Barcis, dove è possibile noleggiare biciclette. Comunque si scelga di esplorare la forra, è un’esperienza da non perdere: il fiume ha inciso un letto profondo, tagliando la pietra e spingendosi nel cuore della montagna, con un risultato affascinante e a tratti inquietante. Curiosità da sapere, la gola non è stata scavata solo dal Cellina ma anche, nella parte più suggestiva, dall’affluente Molazza.
Deviando sulla destra si raggiunge in breve il paese di Andreis. Qui si trovano un interessante Museo Etnografico della Civiltà Contadina, che permette di farsi un’idea della difficile esistenza fra questi monti avari, e un’area avifaunistica che comprende un centro veterinario e una serie di voliere dove gli uccelli trascorrono la convalescenza, riabituandosi a volare prima della reintroduzione in natura.
Riprendendo la marcia lungo il fiume nella direzione opposta ci portiamo a Barcis e all’omonimo lago artificiale, nelle cui acque si specchiano le montagne. E’ questo uno dei luoghi più indicati in cui sostare e pernottare, non solo per dedicarsi ad altre passeggiate ma anche perché, più avanti, sarà difficile trovare un punto largo e pianeggiante in cui fermarsi comodamente.

Piccole valli selvagge
Il versante meridionale del parco appare inizialmente meno scenografico rispetto alla Val Tagliamento. Il panorama si adagia dolcemente sul Cellina e i bassi monti che abbiamo di fronte nascondono le vette più invitanti, ma il torrente, a monte del lago, è di rara bellezza: l’azzurro intenso delle sue acque, gelide ma pulitissime, contrasta con il verde cupo del manto arboreo e con i candidi ghiaioni, un invito ad approfittare di questi luoghi per una pausa di relax, un picnic o magari per bagnare piedi e gambe. Purtroppo le poche strade che raggiungono il greto passano dal bosco, dove i rami bassi permettono il transito alle sole automobili: non rimane che sostare lungo la strada e percorrere a piedi gli ultimi metri.
Poche centinaia di metri oltre Barcis, continuando sulla statale 251, un cartello in legno indica la Foresta del Prescudin, un comprensorio sperimentale dell’Azienda Regionale dei Parchi e delle Foreste che merita una visita, da effettuare lasciando il veicolo nel piccolo parcheggio a disposizione in località Arcola. Attraversando il ponte sul Cellina, che è sbarrato e accessibile ai soli mezzi del Corpo Forestale dello Stato, notiamo poco a monte una pescaia che può servire come punto di riferimento; proseguendo su una stretta strada ci troviamo nel bel mezzo di una foresta solcata dal torrente Prescudin, dalle cui acque traspaiono le sfumature delle pietre a contrasto con il verde intenso delle acque. La rilassante passeggiata dura in tutto una mezz’ora e, una volta tornati al nostro mezzo, ci rimettiamo in viaggio sulla statale.
Poco oltre Cellino troviamo un bivio: la strada principale prosegue in Val Cimoliana, mentre una piccola deviazione permette di risalire il corso del Cellina ancora per un tratto in direzione del villaggio di Claut. Nella Casa Clautana, un piccolo museo di grande importanza per questa comunità e per la cultura del parco, sono raccolti attrezzi e utensili d’epoca per l’artigianato e l’agricoltura: nell’osservarli ci rendiamo conto di quanto sia difficile, per chi vive nella società odierna, comprendere sino in fondo come trascorreva l’esistenza delle genti di montagna un secolo fa o anche meno. Ma la vera attrazione del luogo è un’escursione a Casera Casavento, dove si trova una roccia con due impronte lasciate da un dinosauro 215 milioni di anni fa e scoperte solo di recente e per puro caso, nel 1994, da una scolaresca in gita. L’area è attrezzata con segnaletica e pannelli didattici, ma conviene procurarsi in paese una cartina della zona. Da Claut possiamo inoltre addentrarci nei boschi della Val Settimana, dove scorre l’omonimo torrente: il tracciato serpeggia tra prati fioriti e piccole cascate che fanno dimenticare l’asperità delle rupi circostanti.
Torniamo sulla strada principale per raggiungere Cimolais, dove ha sede un centro visite con un percorso didattico-naturalistico che introduce alla Val Cimoliana, la più selvaggia del parco. La strada è angusta, sterrata, difficile da risalire e l’accesso è a pagamento, ma prendendocela con calma raggiungiamo un’area di sosta in un anfiteatro naturale tra le vette più alte delle Dolomiti Friulane. Da qui partono numerosi percorsi di trekking e questo spiega la difficoltà di trovare parcheggio in alta stagione. Una delle escursioni più affascinanti è quella che in un paio d’ore conduce al noto Campanile di Val Montanaia, gioia e tormento di ogni alpinista, una guglia in pietra dal profilo contorto alta ben 300 metri. Lo scenario è irripetibile, i crinali si arrossano al tramonto mentre i camosci giocano a rincorrersi fra le rocce. Con un po’ di fortuna scorgeremo anche l’aquila reale, simbolo del parco: munendoci di binocolo e pazienza potremo assistere perfino a un volo basso del maestoso rapace per sorprendere qualche marmotta fuori dalla tana.

I giorni del Vajont
Riprendiamo la marcia verso la conclusione del nostro itinerario approdando nel paese di Erto, che guarda il Lago del Vajont. Il ricordo della catastrofe del 9 ottobre 1963, recentemente definita dall’ONU come la peggiore mai accaduta in tutto il mondo fra quelle provocate dall’uomo, è ancora vivo negli abitanti del piccolo comune e della vicina frazione di Casso, che si trova proprio sopra la diga e che oggi conta appena una trentina di residenti. Il paese più colpito fu Longarone, che venne praticamente distrutto e contò la maggior parte delle vittime. Un centro visite ricorda quei tragici giorni con fotografie, grafici, plastici illustrativi e filmati originali: morirono circa 2.000 persone e intere borgate furono spazzate via dall’onda fuoriuscita dal lago a seguito di una gigantesca frana staccatasi da un fianco del Monte Toc, che in friulano significa guasto, marcio o disfatto. Oggi la zona è percorribile in auto e a piedi, e ci stupisce vedere che la montagna è ricoperta da un bosco rigoglioso dove si possono fare belle scampagnate: la memoria del disastro si muta in uno slancio di speranza, mentre scendiamo gli ultimi tornanti della statale fino al nuovo abitato di Longarone e ci scopriamo di nuovo in Veneto.

Testo e foto di Andrea Innocenti

PleinAir 441 – Aprile 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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