Scritto nel tufo

La pietra vulcanica della Tolfa è un libro che racconta le storie di Etruschi e Romani, di villaggi medioevali e antiche miniere. In un ambiente ancora selvaggio e poco esplorato, da visitare liberamente anche in camper.

Indice dell'itinerario

Contemplare rovine non equivale a fare un viaggio nella storia, ma a fare un’esperienza del tempo, del tempo puro sostiene l’antropologo francese Marc Augé, che nel suo ultimo libro Rovine e macerie (edito da Bollati Boringhieri) affronta proprio il tema del fascino che le rovine – antiche e moderne – esercitano sul viaggiatore. E aggiunge: …le rovine, stranamente, hanno sempre qualcosa di naturale. Come il cielo stellato, sono una quintessenza del paesaggio: quello che offrono allo sguardo è infatti lo spettacolo del tempo nelle sue diverse profondità .

In pochi luoghi d’Italia è possibile trovare conferma a queste parole come sui Monti della Tolfa, il gruppo di selvagge colline vulcaniche al confine tra le province di Roma e Viterbo, ultima e autentica area wilderness del Lazio. Qui, tra la fitta macchia, i pascoli fioriti di orchidee e le rupi tufacee che affacciano sul fiume Mignone, nidificano ben dieci specie di rapaci (un vero record) e trova rifugio una fauna ricca e variegata. E’ il regno della vacca maremmana dalle ampie corna e dei butteri, i nostrani cowboy che vivono buona parte dell’anno in sella ai loro cavalli.
Il territorio, ondulato e solitario, è percorso da strade strette e tortuose dove il camperista può provare l’antico piacere di perdersi inseguendo panorami sfuggenti, sempre diversi eppure da millenni fedeli a sé stessi. Lungo le rive del Mignone – alla cui foce, secondo una certa tradizione greca, sarebbe sbarcato Enea profugo da Troia – si sono dapprima sviluppate, poi confrontate e infine scontrate due delle più grandi civiltà del mondo antico: gli Etruschi e i Romani. Il corso d’acqua era anche definito etrusco poiché divideva l’Etruria meridionale dal Latium Vetus, cioè da Roma.
Non sorprende quindi che tutta la Tolfa, di cui il Mignone era l’autentica spina dorsale, sia disseminata di reperti archeologici, antiche cave e, anche a testimonianza delle epoche successive, ruderi di castelli medioevali e città abbandonate, segni tangibili di una storia che qui ha saputo creare un ambiente dal fascino unico e irresistibile. Sino a non molti anni fa, l’intera area era addirittura interessata dal progetto di un parco nazionale: purtroppo nel corso del tempo le buone intenzioni sono divenute anch’esse macerie, e ora si spera che almeno la Regione Lazio provveda a salvaguardare questa sorta di Islanda fòr de porta , così soprannominata visto che geologicamente è ancora piuttosto attiva. L’origine vulcanica di queste alture, che contribuisce non poco alla loro peculiarità, è rivelata dalla presenza di numerose sorgenti sulfuree e dai colori caldi e terrosi delle rocce, che si riflettono nei muri dei paesi: i toni d’ocra degli abitati costruiti in tufo sembrano la continuazione dei picchi rocciosi su cui vennero fondati per difendersi dai troppi invasori, ma che nulla poterono contro l’abbandono o la furia delle armi moderne. Intere città sono così sorte e scomparse, spesso nel breve volgere di un secolo. Come Cencelle, fondata nell’853 da Papa Leone IV per offrire rifugio ai profughi di Civitavecchia scampati alle scorrerie saracene: la grandiosa struttura, circondata da un’imponente cinta muraria munita di ben dodici torri, vantava sette chiese e aveva una popolazione di 800 abitanti, ma dopo soli ottant’anni di vita venne abbandonata in favore del vecchio sito e ne restano solo mura smozzicate e tracce di torri (che certo piacerebbero a Marc Augé). Altro sito che ha avuto un simile destino è Monterano, oggi protetta da un parco regionale: durante il Seicento la città conobbe un notevole sviluppo, culminato nella realizzazione della nuova facciata del Palazzo Feudale ad opera del Bernini; a lui si deve probabilmente anche il progetto della vicina chiesa di San Bonaventura. Coinvolta nelle vicende della Repubblica Romana, Monterano venne completamente distrutta nel 1799 dalle truppe francesi che già avevano represso nel sangue la rivolta della vicina città di Tolfa, come testimonia una lapide affissa sui muri della Rocca (anch’essa ridotta a un rudere) sulla quale sono riportate le parole di un rapporto militare: “…I briganti, ristretti nelle rovine del vecchio castello… vi si difesero con furia. Questo villaggio fu saccheggiato e bruciato… tutti quelli presi coll’arme alla mano furono fucilati . Ma Tolfa, il centro più importante della zona, ha saputo risorgere: basta salire appunto alla Rocca per ammirare la perfetta tessitura del centro storico, percorso da una serie di strade che convergono verso un invisibile punto focale e che costringono le case a rimanere in fila, le une attaccate alle altre, come stringendosi a difesa da nuovi invasori.
Non lontano, la città di Allumiere ha tutt’altra storia: mentre interi nuclei abitati venivano travolti dal tempo, questo centro nasceva dal nulla grazie alla scoperta di ricchissime miniere di alunite, un minerale di solfato doppio di alluminio e potassio. Oggi di scarsa importanza economica (si sono trovati sostituti sintetici), era nel passato ampiamente utilizzato per ricavarne l’allume, indispensabile nella lavorazione di pelli, tessuti e vetro come pure in medicina. L’estrazione, iniziata alla fine del Quattrocento, è proseguita sino al 1941 quando la Montecatini chiuse tutte le cave della zona, oggi trasformate in singolari esempi di archeologia industriale. La storia, in qualche modo, ha avuto la sua rivincita: ma uomo e natura sanno bene che su questi monti dalla struggente bellezza tutto cambia affinché tutto resti come prima, per restituire ai visitatori attenti e rispettosi la meraviglia di una terra indomita e bellissima.

Tra borghi e parchi
Le passeggiate possibili nel territorio dei Monti della Tolfa sono innumerevoli, e quasi tutte adatte anche ad un pubblico non particolarmente allenato o esperto. L’unica complicazione è la mancanza pressoché totale di sentieri segnati e attrezzati, se si fa eccezione per alcune aree archeologiche o per i parchi naturali: abbiamo perciò selezionato alcuni facili e pittoreschi itinerari che, con un po’ di attenzione, non presentano problemi di orientamento. Si dovrà tener conto del fatto che gran parte del comprensorio tolfetano è ideale per la sosta libera dei camper ma, di contro, non offre grandi possibilità per un soggiorno pleinair organizzato: in cambio di una certa adattabilità si avranno però grandi soddisfazioni.

La necropoli etrusca di San Giuliano Dallo splendido borgo di Barbarano Romano, che merita una visita per i vicoli e per le case in tufo, si prende brevemente la strada in direzione di Roma sino al bivio a sinistra per la strada comunale delle Cerquette, seguendo le indicazioni per la necropoli; dopo circa 4 chilometri si trova a sinistra l’ingresso per l’area attrezzata Caiolo, dove si può sostare con tutto comodo e in ottima posizione per la visita. Da qui partono infatti tutti i sentieri che raggiungono il cuore di San Giuliano, uno dei più bei siti etruschi del Lazio e gioiello del Parco Regionale Marturanum (che comprende anche le Gole del Biedano, purtroppo deturpate da una quantità incredibile di rifiuti portati dal torrente). Conviene superare il cancello e attraversare il pianoro tufaceo su cui svettano i ruderi della Cuccumella del Caiolo, tipica architettura funeraria etrusca. Guidati dai cartelli, si entra nella forra e si arriva alla Tomba del Cervo dall’imponente struttura a dado: su una parete si nota l’altorilievo di un lupo (Roma) che azzanna un cervo (l’Etruria), divenuto il simbolo dell’area protetta. Percorrendo una tagliata etrusca si può inoltre salire sul vicino colle tufaceo dove sorgono i resti di un castello e la chiesetta campestre di San Giuliano; da qui un’altra deviazione conduce al complesso funerario Chiusa Cima. Una comoda stradina riporta in breve al punto di partenza, per un totale di circa 2 ore di passeggiata.Area archeologica di Piantangeli Di questo sito restano poche tracce, ma si tratta di un luogo di notevole importanza scientifica inserito oltretutto in un contesto ambientale di prim’ordine, tra fitti boschi e macchia profumata. Lo spazio per lasciare il mezzo non è molto, ma il percorso è davvero poco trafficato e si trovano diversi slarghi utili per parcheggiare (magari allungando un poco la gita).
Dopo aver visitato Tolfa, ci si dirige verso Manziana e in breve si incontra sulla sinistra il bivio per la Strada del Marano. Al chilometro 1+500 si stacca a sinistra una strada bianca in salita, assolutamente impraticabile anche da piccoli camper; lasciato dunque il veicolo nei pressi, proseguiremo a piedi passando un cancello e poi lungamente in salita fino a uno slargo. Qui si incontra la prima sorpresa: a sinistra, fra i cipressi, appaiono i basamenti del Tempio della Grasceta dei Cavallari, scoperto negli anni Cinquanta e datato al III secolo a.C.
Si segue ora la strada che sale nel bosco a destra, senza lasciarla nemmeno a un bivio successivo ed entrando così in una foresta con diversi saliscendi e qualche radura, per sbucare infine in un’ampia spianata dove il tracciato si divide. Si va a destra fino a un altro grande e complicato pianoro, dove ci si tiene il più possibile a sinistra seguendo tracce di sentiero e tenendo come punto di riferimento (quando visibile) un cartello bianco che indica il sito dell’abbazia di Piantangeli, a cui si arriva con circa 15 minuti di cammino. Santa Maria del Mignone, questo il suo vero nome, venne fondata in epoca carolingia ed è oggi ridotta a un cumulo di macerie, ma il luogo è davvero bellissimo. Alle spalle delle tre piccole absidi della chiesa si trova un aereo belvedere, che offre una vista ampia e dettagliata sui Monti della Tolfa e sul piccolo, graziosissimo borgo di Rota. Si ritorna per la stessa strada dell’andata; l’intero percorso richiede circa 2 ore e mezzo.

Faggeto di Allumiere
Questo bosco urbano rappresenta una delle emergenze naturalistiche più importanti della Tolfa. Si tratta infatti di una faggeta depressa, in cui cioè l’albero vegeta a quote nettamente inferiori a quelle abituali.
Giungendo dalla strada Tolfa-Allumiere, si parcheggia il camper nell’ampio piazzale all’ingresso del paese di fronte a un’edicola sacra e si prende la stradina subito al di sopra, Via del Faggeto. Superato un cancello con sbarra si imbocca la stradina a sinistra, anch’essa chiusa da una sbarra, e la si segue (tralasciando i piccoli bivi) fino a un’ampia radura: vicino a una panchina inizia il sentierino – segnalato da radi paletti rossi – che in breve conduce all’ingresso della cosiddetta Cava del Silenzio. Il luogo è davvero magnifico, anche grazie alla fitta vegetazione che ha ricoperto l’enorme squarcio prodotto dalla cava a cielo aperto più antica di Allumiere, risalente al XVI secolo. E’ possibile, con prudenza, addentrarsi per un poco nella stretta gola. Seguendo il sentiero che segue lo steccato di protezione si risale la parete della cava, quindi si scende a un’area picnic da dove, continuando sulla sinistra, si imbocca il sentiero Faggeto sino a un bivio con tabellone: qui si prende il sentiero Santa Barbara, indicato da paletti blu, che penetra nell’angolo più ombroso e intatto del bosco dove si apre la miniera Masi I, così chiamata in onore dell’ingegnere Paolino Masi, fautore della realizzazione di gallerie sotterranee per cavare l’alunite. L’ingresso è sbarrato da una grata per motivi di sicurezza, ma il luogo resta comunque molto suggestivo. Si torna per la stessa strada, per un tempo totale di circa un’ora.Per approfondire la conoscenza del territorio di Allumiere e delle sue miniere, in paese consigliamo vivamente una visita al Museo Civico Adolfo Klitsche de la Grange, in Piazza della Repubblica.

Area archeologica di San Giovenale Si tratta di una passeggiata breve ma di grande interesse, in uno degli angoli più solitari e tranquilli dei Monti della Tolfa. Da Barbarano Romano si segue la Via Barbaranese verso Blera e all’incrocio si prende a sinistra per Monteromano, poi ancora a sinistra per Civitella Cesi. Passato un boschetto, si trova il bivio a destra per San Giovenale. La strada che vi arriva è sterrata e malridotta e anche piuttosto stretta, ma non lunga: consigliamo perciò di parcheggiare il camper prima dell’imbocco, proseguendo a piedi. A ridosso del sito archeologico si trova comunque un parcheggio sterrato dal quale, seguendo il sentierino a destra, si arriva al castello dei Di Vico risalente al Millecento. Nei pressi si trovano i pochi resti della cappella – datata al VI o al IX secolo – che prende il nome da San Giovenale, vescovo di Narni, le cui spoglie sarebbero state sepolte qui, forse solo per un certo periodo. Seguendo invece la stradina che si stacca a sinistra del parcheggio, vale la pena anche dare un’occhiata ai pochi resti della città etrusca.
Proseguendo infine per Civitella Cesi, nel cui nucleo antico si trova il Castello Torlonia, si potrà visitare il centro Antiquitates, un’originale struttura ricettiva (con ampio parcheggio) che offre la possibilità di praticare l’archeologia sperimentale realizzando vasi, armi e altri oggetti tradizionali degli Etruschi.

La Mola di Oriolo Ancora un angolo di natura e di storia come ce ne sono pochi, dominato dal Mignone e da un’antica mola del grano, costruita nel 1573 dal feudatario Giorgio di Santa Croce. Arrivando da Barbarano Romano, si passano le prime case di Oriolo Romano il cui centro storico – che vanta il cinquecentesco Palazzo Altieri dalla bella facciata – merita una visita approfondita. Subito dopo il bivio a sinistra per la stazione ferroviaria si incontra a destra una strada con le indicazioni per il Parco della Mola, si procede sino ad un altro bivio e si va a destra su Via della Mola, poi all’incrocio successivo si prende a sinistra: la strada diventa bianca ma percorribile con attenzione. In breve si arriva a un ampio piazzale sterrato, in ambiente verde e suggestivo, con diverse sorgenti sulfuree ben visibili e una vasca dove, con la bella stagione, si può fare un bagno termale . Seguendo la stradina che passa accanto ai ruderi della mola, si arriva all’antica diga che sbarra il corso del Mignone e che alimentava le macine: oggi il fiume forma una bella cascata e nel laghetto sottostante sgorgano sorgenti subacquee in un paesaggio, ancora una volta, di grandissima suggestione.

PleinAir 398 – settembre 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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