Sardegna coast to coast: in camper da Arbatax a Cala Fuilli

Fra l’Ogliastra e il Campidano ci sono poco più di un centinaio di chilometri in linea d’aria, quasi il doppio sulle ruote del v.r.: emozioni racchiuse fra il mare turchese della Sardegna e un entroterra selvaggio e ricco di cultura

Indice dell'itinerario

L’avventura in Sardegna comincia ancor prima di toccare terra, perché il lento avvicinamento in traghetto al porto di Arbatax permette di ammirare il palcoscenico naturale della provincia ogliastrina: in primo piano spiagge da favola, subito dietro le quinte del Gennargentu con gli inconfondibili tacchi, strapiombi calcareo-dolomitici che coronano montagne da cartolina.

La prima meta è già un incanto: a nord di Arbatax, superata l’oasi faunistica dello stagno di Tortolì lungo la SS125, si estendono le spiagge del territorio di Lotzorai con i lidi più rinomati di Pollu, Iscrixedda, Girasole e Tancau, dove non mancano punti sosta e campeggi. Una manciata di chilometri, da percorrere con il v.r. o in bicicletta, separa dal grazioso borgo marinaro di Santa Maria Navarrese, frazione di Baunei.

Da qui d’estate mollano quotidianamente gli ormeggi i barconi che conducono a visitare i circa 40 chilometri di costa del Golfo di Orosei, scrigno di paradisi come le cale Goloritzè, Mariolu, Sisine, Luna e il monumento naturale di Perda Longa, pinnacolo di 128 metri sul mare che, fin dall’antichità, ha rappresentato un punto di riferimento per i naviganti. Luoghi immersi in una natura aspra e selvaggia, attraversati anche da sentieri trekking di vario grado da percorrere preferibilmente in compagnia di una guida esperta.

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Scatti di Mario Verin a corredo de Il Libro di Selvaggio Blu
Scatti di Mario Verin a corredo de Il Libro di Selvaggio Blu

Mare, nuraghe e maschere

Ma in Ogliastra le emozioni corrono anche sui binari, suggestiva via alternativa alla SS198. Ogni giorno il Trenino Verde collega Arbatax e Tortolì con Mandas, nel Cagliaritano, attraversando i valloni e le distese del Parco Nazionale del Gennargentu. L’ora di viaggio o poco più che separa dalle stazioni di Arzana e Villagrande passa in un baleno, rapiti come siamo dal paesaggio straordinario che scorre ai finestrini veloce come un film.

Arzana

E di film western si tratta: la zona è dominata dalla curiosa Perda ‘e liana, la pietra sola, un tacco calcareo di età giurassica che ha ispirato i paesaggi del fumetto Tex Willer concepito dalle matite di Galep e Gianluigi Bonelli. Su questi rilievi natura, storia e cultura sono tutt’uno: gli attivissimi soci della Pro Loco di Arzana conoscono il Gennargentu palmo a palmo e sono un riferimento sicuro per partire alla scoperta del parco e delle sue meraviglie.

Come Ruinas, a 1.205 metri sul livello del mare, il più alto complesso nuragico al mondo che conserva due torrioni centrali e circa duecento capanne. Può sembrare incredibile, ma una piccola tribù di superstiti nuragici ha vissuto qui fino a sei secoli fa, costretta poi all’abbandono da una pestilenza.

La costa del Golfo di Orosei dal mare

La zona fra Tortolì e il Gennargentu arzanese offre anche un suggestivo percorso tra i complessi archeologici di S’Ortali ‘e Su Monte al Lido di Orrì a Tortolì, Scerì a Ilbono e S’Arcu ‘e is Forros a Villagrande Strisàili, che offrono uno spaccato della vita quotidiana, dei riti e delle attività produttive delle popolazioni neolitiche e nuragiche. Il viaggio verso l’altra costa prosegue lungo la SS389 in direzione Nuoro: basta mezz’ora per tuffarsi nel cuore della Barbagia di Ollolai, culla della balentia – i valori dell’onore e dell’ordine secondo il codice barbaricino – e del Carnevale sardo che qui, nel triangolo fra Ottana, Orotelli e Mamoiada, vede la ricca e pregiata lavorazione artigianale di Sas Caratzas e Sas Visera, le maschere.

Ottana

Su boe (il bue), su cherbu (il cervo), su molente (l’asino), su porcu, fino al mamuthone, l’uomo-bestia che scaccia sciagure e malocchi: sono i temi principali di questi piccoli capolavori che trasudano leggende, superstizioni e credenze popolari. «Nel legno delle maschere viene scritta la nostra storia. Intagliarle significa tramandare cultura, tradizioni, rispetto. Insomma, un mondo migliore» confida Franco Martino, maestro artigiano di Ottana che, con le sue maschere, dona volto e anima alle tradizionali celebrazioni di metà gennaio. È d’obbligo anche una visita al Museo delle maschere mediterranee di Mamoiada che, accanto a rari pezzi artigianali, offre un percorso multimediale dedicato alla tradizione del Carnevale sardo.

Entroterra segreto

Le terme romane di Fordongianus
Le terme romane di Fordongianus

C’è davvero tanto da vedere e scoprire nelle zone più interne dell’isola, quelle meno battute dal turismo di massa e, proprio per questo, perfettamente in sintonia con lo spirito dell’abitar viaggiando. Da Ottana, ripresa la SS131 DCN, si raggiunge in pochi minuti lo svincolo per Abbasanta, Norbello e la zona del lago Omodeo formato dallo sbarramento del Tirso. Siamo nel cuore di un territorio che presenta una concentrazione straordinaria di domus de janas (le necropoli del neolitico finale, tra 3.200 e 2.-800 anni prima di Cristo) e nuraghi.

Come il Nuraghe Losa, costruzione in basalto a struttura complessa del XV secolo a.C., con grande mastio centrale e bastione trilobato attorno. È tra i meglio conservati della Sardegna e i numerosi reperti ritrovati – alcuni dei quali esposti in un antiquarium all’ingresso del sito – indicano la lunga e costante frequentazione del nuraghe nel corso dei secoli.

Il nuraghe Losa di Ghilarza
Il nuraghe Losa di Ghilarza

Paulilatino

Proseguendo per una decina di chilometri lungo la SS131 in direzione Oristano, superato il centro di Paulilatino, è d’obbligo una visita al santuario nuragico di Santa Cristina, raccolto attorno all’omonima chiesetta campestre risalente al XII secolo. La parte più emozionante è senza dubbio quella del pozzo sacro nuragico, struttura dell’XI secolo a.C. al centro di un recinto ellittico in pietra che separa l’area profana da quella sacra e la cui forma richiama il ventre materno. Secondo gli archeologi il pozzo era utilizzato per i rituali legati alle acque.

E ancora oggi, al termine dei venticinque gradini che portano al fondo del pozzo sacro, sgorga acqua alimentata da una falda sottostante. Tutt’intorno al pozzo sacro sono ben visibili i resti di capanne circolari usate a supporto dell’attività di culto. La stessa area archeologica presenta anche un villaggio nuragico, probabilmente precedente alla costruzione del pozzo, alcune Tombe dei Giganti per la sepoltura collettiva e, nella parte più centrale del sito, un complesso devozionale cristiano costruito attorno al XIII secolo dai frati Camaldolesi. La piazzetta, racchiusa attorno alla chiesa campestre e alle muristenes (le celle dei frati), è ancora oggi un punto di riferimento per la comunità locale che si riunisce in festa nella seconda domenica di maggio in onore di Santa Cristina.

Il nuraghe Ruinas, situato a 1.200 metri di quota nel cuore del Gennargentu
Il nuraghe Ruinas, situato a 1.200 metri di quota nel cuore del Gennargentu

Zuri

Prima di riprendere la strada verso la costa ovest vale la pena fare tappa fra i paesi di Norbello, Ghilarza, paese natale di Antonio Gramsci e Ardauli, dove sono presenti testimonianze storiche e archeologiche di primaria importanza. Ripresa la SS131 DCN in direzione Nuoro si raggiunge in pochi minuti l’innesto con la provinciale 15, che da Ghilarza conduce alla frazione di Zuri. Fino al 1923 l’abitato sorgeva proprio sulla riva del Tirso, ma con l’avvio dei lavori per il bacino artificiale dell’Omodeo, tra il 1923 e il 1925, il borgo fu trasferito più a monte. Compresa la chiesa romanico-gotica di San Pietro Apostolo del 1291, sezionata e ricostruita all’ingresso del paese.

Il pozzo di Santa Cristina, uno dei tesori archeologici più interessanti del territorio di Paulilatino
Il pozzo di Santa Cristina, uno dei tesori archeologici più interessanti del territorio di Paulilatino

Soddì

Restano invece poche testimonianze della foresta fossile di Zuri-Soddì, formatasi circa 25 milioni di anni fa, nel pieno dell’era Miocenica, in seguito alla lunga tempesta vulcanica che sommerse e pietrificò le foreste della zona. Buona parte del giacimento fossile è sul fondo del lago Omodeo, ma alcuni tronchi pietrificati, salvati dalla furia di saccheggiatori e cacciatori di souvenir, sono esposti sul sagrato della chiesetta campestre di Santa Maria Maddalena, nel piccolissimo comune di Soddì.

Ardauli

E che di storia, anche antichissima, sia intriso tutto l’areale dell’Omodeo lo dimostrano pure le numerose domus de janas che hanno restituito agli archeologi interessanti indizi su riti, costumi e vita quotidiana in epoca neolitica. Molte sono ancora oggetto di studio e scavo, ma fra le più importanti e belle spicca quella di Mandras, nel territorio di Ardauli. La tomba, scavata nella trachite e composta da tre ambienti e un anticella, rappresenta un unicum: la volta è dipinta con pittura rossa, probabilmente ocra, colore del sangue e, dunque, simbolo di vita e rigenerazione.

L’emozione più intensa, però, la dona il motivo a reticolato dipinto sulle pareti della cella principale. «Un disegno che potrebbe richiamare l’intelaiatura delle pareti laterali della capanna preistorica, proprio per sottolineare il rapporto tra l’abitazione e la tomba nelle concezioni religiose del mondo prenuragico» spiega Cinzia Loi, profonda conoscitrice del sito, dottoranda in archeologia presso l’Università di Sassari e presidente di Paleoworking Sardegna. Da anni, attraverso laboratori pratici aperti a tutti, l’associazione porta avanti il concetto di archeologia sperimentale: dalla concia delle pelli alla scheggiatura di pietre, dalla fusione di metalli fino alle tecniche di caccia, con particolare attenzione al tiro dinamico con l’arco e il propulsore ampiamente documentato dai bronzetti nuragici.

Il versante occidentale: Oristano e la penisola di Sinis

Oristano, piazza Eleonora d'Arborea
Oristano, piazza Eleonora d’Arborea

È ora di rimetterci in marcia e da Ardauli imbocchiamo la provinciale 30 verso sud che, in pochi minuti, ci porta a Neoneli e alla confluenza con la SS388. Dopo una ventina di minuti incontriamo il piccolo ma delizioso centro di Fordongianus, noto per le sue terme e per il sito archeologico romano del I secolo d.C. che conserva ancora la piscina e la sorgente con acqua termale.

Oristano e la penisola del Sinis, con le sue sfavillanti spiagge di quarzo (dal 1997 tutelate dall’Area Marina Protetta del Sinis e Isola di Mal di Ventre) sono a una manciata di chilometri: a nord le spiagge di S’Archittu, Is Arenas, Capo Mannu, più a sud i lidi di Mari Ermi, Is Arutas, Maimoni, Funtana Meiga fino a Torregrande sono preziosa cornice di un territorio che condensa testimonianze storiche e natura incontrastata.

Cabras

Le zone umide, con ampi stagni e canalizzazioni dove è frequente avvistare fenicotteri rosa, aironi e altri uccelli di passo, sono ancora un tratto caratteristico del Sinis, che proprio dall’acqua salmastra ha tratto e continua a trarre un’importante fonte di reddito. Viene dagli stagni attorno a Cabras la famosa bottarga di muggine, prelibato elemento di una cucina raffinata. E poi i terreni nelle immediate vicinanze, nella piana di Arborea, sono sempre stati assai rigogliosi per coltivazioni di qualità: in primis quel vitigno bianco tipico della piana alluvionale dell’entroterra oristanese da cui nasce la Vernaccia Doc di Oristano, perfetto abbinamento ai piatti della tradizione locale.

Fin dall’antichità, dunque, l’uomo ha trovato nel Sinis le condizioni ideali per una filiera alimentare completa. Ma era anche una penisola strategicamente perfetta: lo avevano ben intuito i Fenici che, sfruttando probabilmente precedenti insediamenti nuragici, nel VII secolo a.C. fondarono Tharros e si stabilirono sul versante interno di Capo San Marco, che offriva un porto naturale sempre riparato.

Capo San Marco, nella Penisola del Sinis
Capo San Marco, nella Penisola del Sinis

Un punto strategico che i Romani non si fecero sfuggire quando – nel 238 avanti Cristo – conquistarono la Sardegna. La fine di Tharros arrivò nel 1070 quando, esasperati dalle incessanti scorrerie saracene, gli abitanti si spostarono nell’entroterra, a ridosso del pescoso stagno di Santa Giusta, dando origine a Oristano, oggi custode delle più importanti vicende storiche legate al Giudicato di Arborea.

Tharros

Di quell’epoca, nella zona di Tharros, rimane anche la straordinaria testimonianza della chiesetta paleocristiana di San Giovanni di Sinis, sorta nel VI secolo su un’antica necropoli punica e poi cristiana di cui sono tuttora visibili le tombe. Un luogo carico di storia e magia, fonte d’ispirazione per talentuosi artisti che hanno individuato nell’istmo di capo San Marco i loro atelier en plein air.

I fenicotteri rosa che popolano la riserva marina
I fenicotteri rosa che popolano la riserva marina

Come lo scultore Francesco Uccheddu che, con l’incessante e armonico tintinnio dello scalpellino, tira fuori da blocchi di pietra la storia e l’anima sarda. Un fil rouge artistico e spirituale che conduce dritto al vicino borgo medievale di San Salvatore, appena quattro chilometri più a nord. Girovagando fra i suoi vicoli si ha la sensazione di esser capitati in una scenografia western di Cinecittà. Non a caso, proprio qui, sono state girate numerose scene di questo genere di film.

La piazzetta è raccolta attorno alla piccola chiesa del XVII secolo che, al centro, custodisce un betilo di età nuragica collegato al culto delle acque. Ed è qui che cominciano i preparativi per la Corsa degli Scalzi, rito che si consuma il primo sabato e la prima domenica di settembre lungo i 7 chilometri fra San Salvatore e Cabras. Storia e leggenda si mescolano rendendo ancor più magica la terra di Sardegna.

Wilderness vista mare lungo il Selvaggio Blu

Scatti di Mario Verin a corredo de Il Libro di Selvaggio Blu
Scatti di Mario Verin a corredo de Il Libro di Selvaggio Blu

Si chiama Selvaggio Blu la concatenazione di sentieri che, seguendo il filo della scogliera, congiunge Santa Maria Navarrese con Cala Fuili, a sud della celebre Cala Gonone. Non a torto è considerato il trekking più difficile d’Italia e tra i più impegnativi d’Europa per le difficoltà di orientamento, la mancanza d’acqua e di ricoveri e i numerosi passaggi che richiedono calate in corda doppia. In origine erano percorsi tracciati dai pastori, che si avventuravano con i loro greggi in cerca d’acqua e di scorciatoie; a questi si è aggiunta nel tempo una rete di vie verso il mare costruita dai carbonai che, dalla seconda metà dell’Ottocento e per un secolo, hanno trasformato in carbone le distese di roveri e lecci del Supramonte di Baunei.

A partire dagli anni Settanta la selvaggia e disabitata area dolomitica compresa tra l’Orientale Sarda e il mare è stata progressivamente esplorata da naturalisti come il sardo Elio Aste e da alpinisti come Jacopo Merizzi, Manolo e Alessandro Gogna; fino a quando, nel 1987, Mario Verin e Peppino Cicalò hanno consolidato l’itinerario di sette tappe che è alla base dell’odierno Selvaggio Blu.

Come affrontare il trekking?

Oggi il tracciato può essere affrontato con l’aiuto di una guida e con il sostegno di organizzazioni che facilitano l’escursione, trasportando i rifornimenti e l’acqua e attrezzando i bivacchi. È tuttavia possibile limitare l’aiuto esterno al minimo indispensabile e affrontare il percorso con lo zaino sulle spalle e studiando l’itinerario sulla cartina.

I segnali sono pochi, ma, con un po’ di attenzione, s’impara a leggere il territorio e a entrare in sintonia con le piccole costruzioni di sassi quasi impercettibili (gli ometti), le pietre incastrate tra i rami degli alberi, i graffi sulle cortecce, le tracce di sentieri che si dissolvono sulle distese calcaree o sotto una coltre di foglie. Anche le parole del dialetto, una alla volta, entrano nel linguaggio dell’escursionista: pietra nascente sono le faticose distese di calcare lavorato, spesso tagliente, che sembrano fiamme pietrificate, le scale a fustes sono i tronchi di ginepro incastrati che consentono di superare pareti e strapiombi, vere e proprio ferrate arboree.

Unica presenza umana sono i coiles, ovili di pietra e ginepro per il rifugio del pastore e del gregge, costruzioni quasi invisibili che sono elementi del paesaggio come le grotte, gli spigoli di calcare, il sottobosco intricato che spesso nasconde il sentiero.

Scatti di Mario Verin a corredo de Il Libro di Selvaggio Blu
Scatti di Mario Verin a corredo de Il Libro di Selvaggio Blu

Descrizione delle tappe

La prima tappa, superata la guglia di Perda Longa che sbuca dal mare, si conclude sull’altopiano, al Colle Duspiggius; le altre invece prevedono ogni sera di raggiungere le cale dove si bivaccherà: l’ansa nascosta di Porto Cuao, la spiaggia sotto la guglia di Cala Goloritzè, la grotta dove il Baco Muladoro sfocia in mare, la difficile Cala Biriola fino a Cala Sisine, l’ampia spiaggia bianca che segna la fine delle difficoltà. Il giorno dopo un piacevole sentiero escursionistico conduce a Cala Luna e poi a Cala Fuili, ultima tappa del trekking.

Per chi ha scelto di affrontare Selvaggio Blu senza un accompagnatore, oltre a rischiare di perdere il sentiero nelle doline mozzafiato che si estendono verso Ponente come un mare verde e bianco, può capitare in qualche notte solitaria di incontrare capre curiose e cinghiali in cerca di affetto, di veder volare tra i pinnacoli l’aquila, di sentire nella notte i rumori isolati della volpe e del gatto selvatico in caccia. Per tutti un po’ di sensazioni da Hotel Supramonte, dormendo sotto le stelle su un letto di ghiaia.

In sintesi

  • Prima tappa Partenza: Santa Maria Navarrese (60 m) • Arrivo: Cuile Uspiggius (650 m.) • Dislivello in salita: 820 m • Durata: 5 ore • Difficoltà: E (escursionisti)
  • Seconda tappa Arrivo: Portu Cuau (0 m) • Dislivello in salita: 250 m • Durata: 6 ore • Difficoltà: EE (escursionisti esperti)
  • Terza tappa Arrivo: Cala Goloritzé (0 m) • Dislivello in salita: 600 m • Durata: 8 ore • Difficoltà: EE
  • Quarta tappa Arrivo: Bacu Mudaloru (50 m) • Dislivello in salita: 600 m • Durata: 7 ore • Difficoltà: arrampicata fino al IV grado, calata in doppia
  • Quinta tappa Arrivo: Coile Mancosu (500 m) • Dislivello in salita: 500 m • Durata: 6 ore • Difficoltà: arrampicata fino al III grado, calata in doppia.
  • Sesta tappa Arrivo: Cala Sisine (0 m) • Dislivello in salita: 200 m • Durata: 7 ore • Difficoltà: arrampicata fino al IV grado, quattro calate in doppia
  • Settima tappa Arrivo: Cala Fuilli (0 m) • Dislivello in salita: 800 m • Durata: 7 ore • Difficoltà: E 

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