Sapore di Murgia

Il pane e l'olio, da accompagnare alle tante genuine specialità delle campagne pugliesi, sono il filo conduttore di questo itinerario del gusto (con un tocco d'arte e di folklore) che unisce tre cittadine baresi: Altamura, Castellana Grotte e Conversano.

Indice dell'itinerario

Frequentatissima durante i mesi estivi dal turismo balneare, la Puglia – come tutte le regioni apprezzate soprattutto per la loro costa – vede calare nettamente le presenze nelle altre stagioni, quando si affievolisce il richiamo delle spiagge e della tintarella. Eppure è proprio questo il periodo in cui meglio si apprezzano le altre e numerose valenze del suo territorio, tante e tali da farne uno scrigno di opportunità per il viaggiatore attento. Non è per caso, dunque, che gli enti locali hanno individuato una serie di itinerari a tema privilegiando la storia, l’ambiente e soprattutto l’enogastronomia e le tradizioni, risorse cruciali di una terra che alla matrice agricola deve larga parte della sua giusta fama. Eccoci allora ad incrociare tre tappe di questi percorsi – Altamura sulla Via del Pane, Castellana Grotte e Conversano sulla terza Strada dell’Olio Viedulivi – dove assaporare specialità genuine e di pregio, tutelate e garantite dai produttori, ma anche dedicarsi alla scoperta di interessi storici, artistici, ambientali e del folklore.

Buono come il pane
Già Orazio nelle sue Satire definiva il pane di Altamura come il migliore del mondo: una bontà millenaria che nel 2003 ha ottenuto, primo in Europa del suo genere, l’ambita Denominazione di Origine Protetta. La forma più bassa a cappidde de prèvete, cioè a cappello di prete, si affianca allo skuanète, dalla sagoma più alta. Ma la particolarità di questo pane risiede soprattutto nella sua durevolezza, che consentiva a pastori e contadini lontani dalle proprie abitazioni di utilizzarlo per diversi giorni: requisito che sussiste ancora oggi e al quale si aggiungono altre caratteristiche dettate dal disciplinare della DOP. Il peso della pagnotta, ad esempio, non dev’essere inferiore al mezzo chilo, il grano utilizzato appartiene a varietà ben definite (appulo, arcangelo, duilio e simeto), mentre la produzione e la lavorazione – con esclusivo uso di lievito naturale – devono avvenire nei territori di Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge. All’ora canonica, passeggiando lungo le strade e in special modo quando si passa davanti a uno dei tanti forni, si viene avvolti dal delicato e stuzzicante profumo del pane ancora caldo: un irresistibile invito ad assaggiarlo insieme ad altre tipicità del territorio che ne esaltano il sapore, come i pomodorini ciliegia, i lampascioni (cipolline selvatiche dal gusto amarognolo) e i funghi cardoncelli, tutti accompagnati dall’ottimo olio d’oliva extravergine. Durante l’anno numerose manifestazioni promuovono questi e altri prodotti anche oltre i confini regionali e nazionali, come gli incontri organizzati dal consorzio dei panificatori per mostrare al pubblico la preparazione dell’alimento per eccellenza, concludendo con l’immancabile degustazione e la vendita di fragranti pagnotte.
Soddisfatto il palato, un giro in città permette di scoprire che si tratta di uno dei centri storici più interessanti della Puglia. Pare che il nome di Altamura derivi dai bastioni che la cingevano già dal V secolo a.C., i cui resti sono ancora qua e là visibili ai margini di alcune strade. Distrutta dai Franchi, fu ricostruita nel XIII secolo da Federico II che, attuando la pratica della revocatio, richiamò gruppi etnici diversi per ripopolare la città offrendo loro in cambio facilitazioni economiche: da ciò nasce la peculiare conformazione urbanistica del nucleo antico le cui strutture abitative si sviluppano all’interno di vicoli a budello, di origine araba, che sfociano nei claustri, corti chiuse comuni a più gruppi familiari, di origine greca.
Ma all’imperatore si deve soprattutto la costruzione, tra il 1232 e il 1242, della splendida cattedrale, una delle quattro basiliche palatine della regione, ancora fulcro della città. Pur trasformato nei secoli successivi, l’edificio presenta nella facciata, dominata dai due imponenti campanili, un ricco rosone del ‘300 in stile moresco e un portale magnificamente scolpito, fiancheggiato da due leoni; ancora sulla destra, una bellissima bifora contornata da un susseguirsi di mensole con animali, stemmi e altre sculture. Di notevole impatto è il lato destro, sul quale si susseguono sette arcate sormontate da dodici trifore. All’interno le opere di maggior interesse sono un presepe cinquecentesco in pietra locale e il coro, dello stesso periodo, abbellito da pregevoli intagli.
Al centro di Piazza Duomo, il monumento ai Martiri di Altamura ricorda la strenua resistenza della città durante l’assedio delle truppe borboniche, che le valse l’appellativo di Leonessa di Puglia. Lungo Corso Federico II, che taglia in due il centro storico, si incontrano la casa natale del musicista Saverio Francesco Mercadante e la bella chiesa di San Nicola dei Greci, detta “l’altra cattedrale” perché vi si officiava in passato con il rito ortodosso: presenta un ricco portale ornato da bassorilievi illustranti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, dorati altari barocchi e un soffitto ligneo dipinto con episodi della vita del santo. Il corso, sul quale affacciano diversi dimore signorili, termina presso Palazzo De Angelis che ingloba uno degli antichi accessi alla città, Porta Bari, e sfocia dal lato opposto su Piazza Resistenza nella quale si protende il monastero del Soccorso.
Altamura è altresì nota per le sue emergenze preistoriche e paleontologiche, come le 30.000 impronte di dinosauri individuate sul fondo di una cava in località Pontrelli (ma il sito ancora non è organizzato per la fruizione turistica) e il cosiddetto Uomo di Altamura in località Lamalunga, a 3 chilometri dall’abitato sulla provinciale per Quasano. L’ampio parcheggio immette al centro visite, ricavato nelle sale della settecentesca Masseria Ragone, dove un sofisticato sistema video consente di osservare a proprio agio la grotta – altrimenti inaccessibile – dove nel 1993 è avvenuto il ritrovamento: una serie di telecamere a circuito chiuso, collegate con fibre ottiche, percorrono i corridoi della cavità fino a inquadrare da vicino lo scheletro di un individuo vissuto nel Pleistocene, 200.000 anni fa, e collocabile tra l’Homo Erectus e l’Uomo di Neanderthal. Il reperto è rivestito da concrezioni e la sua posizione è tale da far ritenere che sia caduto accidentalmente nel baratro o che le acque alluvionali abbiano trascinato il corpo già morto all’interno dell’inghiottitoio.
Per osservare invece un importante fenomeno carsico si può proseguire lungo la stessa provinciale per giungere al Pulo di Altamura, distante circa 6 chilometri dalla città, nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Si tratta di una delle maggiori doline europee, del tipo a scodella, profonda 75 metri e con un diametro di 550: è sufficiente affacciarsi lungo i suoi margini per scorgere la folta vegetazione e le grotte che si aprono sulle sue pareti.

L’olio e i falò
La Murgia dei trulli e delle grotte è anche l’area in cui si snoda l’itinerario di Viedulivi, la strada dell’olio extravergine che ha sede a Castellana Grotte (gli altri centri interessati dal percorso sono Alberobello, Casamassima, Conversano, Locorotondo, Mola di Bari, Monopoli, Noci, Polignano a Mare, Putignano, Rutigliano e Turi). E bisogna tornare indietro di 317 anni per trovare le radici di una delle tradizioni più sentite della cittadina, che proprio all’oro dei campi lega la sua origine. Un documento redatto da un notaio locale racconta infatti di una terribile pestilenza e della miracolosa guarigione di alcuni malati, ottenuta cospargendosi il corpo con l’olio della lucerna che ardeva davanti al simulacro della Madonna della Vetrana: si decise perciò di ricordare l’avvenimento alimentando perennemente la lampada e portando in processione ogni anno la statua della Vergine.
La festa, preceduta dall’offerta votiva dell’olio da parte dei frantoiani, si svolge l’11 gennaio, concludendo il lungo periodo natalizio che qui ha termine non all’Epifania ma proprio in occasione della ricorrenza mariana. Alle sette della sera si accende il primo falò sulla collina davanti al santuario della Madonna della Vetrana; al termine della messa, una fiaccolata lascia la chiesa per dar fuoco alla grande pira allestita poco lontano dal sagrato. Di qui si avvia il corteo che raggiungerà, col seguito della banda musicale, tutti gli angoli della cittadina, fermandosi tra gli applausi e le voci festanti della folla ogni qual volta c’è una fanova da accendere (il termine deriva dal greco phanos, luminoso). Nei giorni antecedenti le cataste di legna sono state laboriosamente allestite perché la maggior parte di esse partecipano a una competizione che vedrà premiate le migliori: la giuria, che per assicurare la massima obiettività è composta ogni volta da una diversa categoria di professionisti, visiona attentamente ogni pira (nel gennaio di quest’anno erano ben 77) attribuendo loro un punteggio in base a parametri relativi all’altezza, alla forma e alla consistenza del materiale adoperato. Man mano che la città si illumina di nuovi roghi, la gente aumenta e si concentra nei punti dove prossima sarà l’accensione che spesso avviene, con grande spettacolarità, mediante lo scoppio di mortaretti e fuochi pirotecnici. Ci si muove così da un falò all’altro percorrendo strade e vicoli lungo i quali si allineano cataste grandi e piccole, che bruceranno in poche ore o per più giorni diventando luoghi di incontro conviviale fra abitanti, visitatori e turisti. L’inevitabile attesa si stempera nell’assaggio di cibi e bevande, offerti a scopo devozionale da chi ha allestito la pira, o davanti ai numerosi banchi di vendita che espongono prodotti di gastronomia locale a modico prezzo. Intanto il corteo con le fiaccole lascia l’abitato per raggiungere le fanove innalzate in periferia e nelle campagne circostanti, dove i contadini accolgono nuovamente i convenuti con l’offerta di specialità che è d’obbligo accettare. Il tutto è completato da balli e canti spontanei, accompagnati dalle immancabili fisarmoniche e chitarre, che dureranno per tutta la notte.
Durante la processione sarà ben difficile riuscire a osservare ciò che offre il borgo antico: meglio dunque dedicare al centro di Castellana una più tranquilla passeggiata che prenderà le mosse da Piazza Nicola e Costa, dove si incontrano la chiesa di San Francesco d’Assisi dalla severa facciata in pietra bugnata, la Torre dell’Orologio e il Palazzo di Città, ex convento. Conviene visitare sia la chiesa, che sfoggia altari barocchi adorni di statue policrome scolpite dal frate Luca Principino, che il municipio, arricchito da un chiostro, da una bella scalinata e dall’esposizione permanente del pittore castellanese De Bellis. Percorrendo Via Angiulli e poi Via XI Febbraio si giunge in Largo San Leone Magno, dove sorgono la Chiesa Matrice e quella del Purgatorio: la prima presenta un portale laterale settecentesco e conserva tele e sculture di pregio mentre nella seconda, sormontata da un campanile ottagonale, spiccano il bell’altare settecentesco in legno dorato e il pulpito coevo ornato da dipinti, oltre a numerosi quadri di Vincenzo Fato. Poco più avanti si raggiunge Largo della Curia Baronale sulla quale affaccia il bel loggiato della casa del governatore, conosciuta come Municipio Vecchio. Proseguendo si attraversa Porta Grande, uno degli antichi accessi alla città, per sfociare nel largo omonimo chiuso a un’estremità dalla chiesa di San Giuseppe. Ritornando alla porta e costeggiando i giardini del Largo Caduti Castellanesi (con possibilità di parcheggio) si incontrano le Gravinelle, due grandi pozzi artificiali costruiti all’inizio del ‘900 per raccogliere le acque alluvionali che per secoli avevano procurato danni all’abitato. Di qui conviene riprendere il veicolo e proseguire sulla provinciale per Selva di Fasano – o in alternativa su Via Orazio – per raggiungere il santuario della Madonna della Vetrana: la chiesa, della fine del ‘600, sovrasta l’abitato con la sua cupola rivestita di mattonelle policrome e conserva un’icona trecentesca della Vergine e la statua processionale, davanti alla quale arde da più di tre secoli la lampada votiva.
Castellana, però, è conosciuta soprattutto per la presenza del famoso complesso carsico delle sue grotte (il toponimo è stato modificato appunto a seguito della loro scoperta). Dell’esistenza di voragini sotterranee nella zona si era a conoscenza già da secoli: quell’imboccatura semicoperta da alberi di leccio, che delimitava il baratro a pochi chilometri dall’abitato, alimentava da sempre leggende e credenze popolari, anche se più prosaicamente essa era utilizzata come discarica di materiali vari, soprattutto residui della lavorazione delle olive. Fu solo nel gennaio del 1938 che l’intraprendenza del professor Franco Anelli, già conservatore del museo delle grotte di Postumia e incaricato di condurre ricerche speleologiche in Puglia, rese ufficiale la presenza delle grotte a Castellana. Calatosi dall’alto della voragine, Anelli ne toccò il fondo a 60 metri, ne esplorò il perimetro e scoprì l’imbocco di una galleria. Il celeberrimo complesso carsico, che richiama ogni giorno migliaia di visitatori, è formato da varie sale e corridoi come le caverne dei Monumenti, dell’Altare e del Precipizio, il corridoio del Deserto e quello Rosso, fino alla Grotta Bianca, tutta in alabastro, definita la più splendente del mondo. Il circuito termina alla base della Grave, con il colossale gruppo stalagmitico dei Ciclopi e il busto commemorativo dello scopritore. Una veloce corsa in un comodo ascensore assicura il ritorno in superficie, dove è possibile approfondire la conoscenza del mondo carsico visitando l’annesso museo speleologico.
Solo 10 chilometri ci separano da Conversano, un’altra tappa nei sapori e nella storia di Puglia, alla quale ben si addicono gli appellativi di nobile e dotta visti i suoi trascorsi. Ricerche archeologiche degli anni ’50 hanno infatti rivelato la presenza di un centro urbano già nell’VIII secolo a.C. Passata più tardi sotto l’influenza di Roma, Conversano vide nel Medioevo la signoria dei Bizantini e dei Longobardi, poi fu governata da vari feudatari quali i Brienne, gli Enghien, gli Orsini e infine gli Acquaviva d’Aragona, che vi rimasero fino al 1806. Tutte queste dominazioni hanno lasciato la loro impronta nell’abitato, dove è ancora possibile osservarne tracce: dai reperti archeologici conservati nel museo civico ai monumenti più importanti. La piazza del castello è sovrastata dal poderoso maniero di origine normanna, rimaneggiato nei secoli successivi, del quale si vedono ancora la Torre Rotonda o dei Lussemburgo, un bastione dodecagonale e tre robusti torrioni quadrati. In Piazza della Conciliazione si apre invece il portale del castello, da cui si può raggiungere la bella cattedrale romanica con facciata trecentesca: il portale maggiore, con baldacchino e possenti leoni, è sormontato da un singolare rosone composto da dodici colonnine. Di fronte, in un vicolo, si ammira una casa nobiliare arricchita da una finestra ogivale con traforo di stile moresco. Alla spalle della cattedrale, il monastero di San Benedetto vanta una chiesa dal portale monumentale con ben quattro leoni che reggono altrettante colonne, un grazioso chiostro, una cupola maiolicata e un alto ed elegante campanile barocco che svetta su tutto il complesso. Scendendo poi per la rampa di San Benedetto, sono visibili sul lato destro resti di mura megalitiche affiancate dalla Porta Tarantina, ingresso al borgo antico. Sempre nel centro storico, su Corso Umberto si affaccia la chiesa di San Cosma: fatta costruire nel 1539 per la guarigione miracolosa del primogenito da Girolamo II d’Aragona, altrimenti noto come Guercio delle Puglie, presenta stucchi, affreschi e ornamenti dorati che le conferiscono l’aspetto di una preziosa bomboniera.
Da qui il fitto reticolo di strade che tagliano la terra di Bari permette di spostarsi rapidamente verso le altre località del circondario, per arricchire il viaggio lungo le vie del pane e dell’olio con nuovi sapori genuini. A meno di non volersi portare sulla costa, ormai vicinissima, per goderne i paesaggi e viverne l’atmosfera più autentica negli ultimi tepori dell’autunno del Sud.

PleinAir 423 – ottobre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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