Santorini e Naxos, le Cicladi secondo noi

Santorini e Naxos: due isole, un viaggiatore solitario in scooter e tenda, alla ricerca dei luoghi meno battuti. La Grecia d’estate che non ti aspetti

Indice dell'itinerario

L’impiegata non distoglie gli occhi dal computer. «Per Naxos il garage è al completo» mi dice. «Ma se sono con uno scooter!» provo a ribattere». «Qui leggo così – insiste, senza sfiorarmi con uno sguardo – se vuole c’è posto sul traghetto per Santorini». Perfettamente inutile discutere, penso. E proprio non ho voglia di passare una notte in un posto come il Pireo. «Vada per Santorini», un’isola costituita dall’orlo di un enorme cratere. L’eruzione cui diede luogo il relativo vulcano pare sia stata la più grande che si ricordi.

Quando il ferry attracca è già buio, e tutte le luci del porticciolo sono spente. Non resta che fare strada. A tornanti salgo fino a un pianoro dove c’è un bivio: a sinistra è indicata Fira, il capoluogo dell’isola, a destra si scende verso la costa orientale. Di fronte, una stazione di servizio; è chiusa, e sono a corto di carburante. Tiro fuori il sacco a pelo e mi accingo a trascorrere quella che, a tutt’oggi, è l’ultima notte sotto le stelle dei miei viaggi su due ruote.

Monastero Aghios Artemios

Al mattino scendo al mare. Come previsto, a Perissa trovo un campeggio: oltre la strada c’è già la spiaggia. Costituirà la base per la visita all’isola. Sorge subito un problema: il vento. Lo conosco bene, dalle precedenti esperienze sulle isole dell’Egeo. In questa stagione il Meltemi soffia incessantemente da nord a raffiche improvvise e violente, che mantengono il mare sempre mosso (a volte burrascoso), in campeggio fanno volar via tutto e creano problemi di equilibrio a ciclisti e motociclisti. Santorini non ne è immune.

Con il suo grappolo di case imbiancate a calce che fanno da contrasto alle nera parete di lava su cui sono abbarbicate, Fira sarebbe una graziosa cittadina, non fosse che la strada principale – che la attraversa – è intasata da turisti, tavolini di ristoranti, espositori di souvenir. Per scendere al vecchio porto c’è una ripida strada a tornanti che si può percorrere a dorso d’asino, altrimenti poco più avanti si va a prendere una teleferica.

Per dare un’idea di quanto poco sia vivibile il posto, non riesco a trovare dove sedermi per una birra perché tutti i tavolini sono già apparecchiati per la cena… benché non si sia che a metà pomeriggio. Per fortuna sulla via del ritorno al campeggio, al centro di Emporio, trovo un bar qualificato da anziani avventori del luogo, perciò frequentabile senza problemi.

Situata all’estremità settentrionale dell’isola, Oia è la copia in formato ridotto del capoluogo. Tanta gente, a mezzogiorno, per le strade: ma non dovrebbero essere tutti al mare? C’è comunque un modo per visitare senza noie un tipico nucleo abitato: basta andare nell’interno, a Pyrgos, una cascata di case bianche, vicoli scalinati che si intrecciano, una chiesa. E nessuno a disturbare la tranquillità e il silenzio del sito. Da qui si può salire al monastero del Profitis Ilias, situato nel punto più alto dell’isola, ove si gode un immaginabile panorama a 360 gradi.

Infine decido di raggiungere all’estremo sud di Santorini la zona archeologica di Akrotiri, una città ritrovata pressoché intatta, sepolta come fu dall’eruzione del XVII secolo avanti Cristo. Durante lo spostamento scopro le indicazioni per la Red Beach, una spiaggia senza vento il cui nome deriva dal colore acceso delle rocce che la circondano. Mare pulito, acqua subito profonda, due ristorantini, poca gente (i nativi ci vengono con l’autobus!): non è lontana dal campeggio, sarebbe da continuare qui il soggiorno… ma purtroppo, per non ritrovarmi di nuovo bloccato sulle banchine di un porto, ho già prenotato il passaggio per Naxos, la mia meta primaria. E domattina ci s’imbarca.

Da Santorini a Naxos

Stavolta lo sbarco avviene direttamente sui moli del capoluogo dell’isola. Dribblato l’assalto degli affittacamere e seminato il tizio che vuole condurmi a un campeggio (so già dov’è), mi incammino facendo per una volta un uso proficuo della guida. Uscendo dalla città verso sud mi imbatto nella famosa spiaggia di Aghios Georgios: l’acqua è talmente bassa da illudersi di poter guadare fino all’isoletta di fronte.

Mi basta leggere sulla guida che l’affollamento provoca “l’incontrollabile desiderio di far solo questo” per proseguire senza fermarmi e poco più avanti, in faccia al camping Maragas (che sarà la base dell’intera permanenza sull’isola), trovo con la spiaggia di Aghios Nikolaos il mare che fa per me: grandi spazi liberi a fianco degli ombrelloni, acqua limpida e subito profonda. 

Naxos per prima cosa visito il Kastro, il vecchio quartiere arroccato sulla collina prospiciente il porto. Di mattina i turisti sono al mare, per cui si può ben godere l’intrico di vicoli scalinati che formano quasi un labirinto fra le case e le chiese, tutte rigorosamente di un bianco abbacinante. Le strade con le botteghe sono più in basso, e non disturbano più di tanto.

C’è anche da visitare un piccolo museo archeologico. Sul lungomare, imbarazzo della scelta fra ristoranti e ristorantini che schierano i tavoli senza soluzione di continuità; in fondo, sull’isolotto di Palatia (collegato con un ponte) si staglia su due piedritti un architrave: è ciò che resta del tempio di Apollo. A sud della città il tempio di Dionisio, ove i restauri, anzi i rifacimenti, sono anche troppo evidenti.

Ora non resta che girare l’isola. Una spedizione all’estremo nord porta al villaggio di Apollonas, trasformato dalle sottostanti spiagge in una baraonda di botteghe e ristoranti. Nei dintorni comunque c’è da scoprire il Kouros, una misteriosa quanto gigantesca statua incompiuta che giace presso una cava abbandonata. Sulla strada del ritorno si attraversa la piana della Tragaea, dove sorgono numerosi pittoreschi villaggi quali Halki, dalle case a torre costruite per difendersi dai pirati, Damalas, ove si visita un antico frantoio, e Apeiranthos che fra belle taverne offre altresì un piccolo museo archeologico con tutta una sezione dedicata al folklore locale.

Il “mare sotto casa” non esclude la ricerca di altri lidi. Ed ecco una spedizione a sud ove è annunciata l’estrema solitudine di Pyrgaki. La litoranea, asfaltata, raggiunge una serie di spiagge più o meno affollate (in una baietta girano kitesurf e windsurf, autentica sorpresa in quest’isola che sembra risparmiata dal Meltemi) dopodiché, esaurita la sua funzione, diventa sterrata e quindi si riduce a una pista di sabbia e addirittura al fondo di un prosciugato laghetto di sale.

Le acrobazie necessarie per chi è in sella a uno scooter creano l’aspettativa di raggiungere una località fuori dal mondo. E Pyrgaki non delude l’attesa, con la sua spiaggia davvero deserta fra grandi dune. Purtroppo basta affacciarsi alla baietta successiva per scoprire una fila minacciosa di villette in costruzione.

Inutile dire che al ritorno si andrà a cercare l’asfalto, pur allungando la strada. Il premio finale, a Vivlos, è il locale “giusto” per l’aperitivo a base del tradizionale ouzo fra avventori incuriositi dall’insolito cliente.

Testo e foto di Luigi Alberto Pucci

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