Sant'Antuonu, mascaru e suonu

A Nusco, balcone dell'Irpinia, gennaio vede un tradizionale appuntamento dell'anno agricolo: in onore di Sant'Antonio si balla, si mangia e si beve intorno ai falò accesi nelle strade.

Indice dell'itinerario

A portata della statale Ofantina, che in una manciata di chilometri si beve un angolo di Campania, Nusco si erge a poco più di 900 metri di quota tra boschi di castagno, torrentelli, campagne punteggiate da casolari in colori vetusti. Da qualsiasi direzione si giunga, colpisce il dolce profilo del borgo antico disegnato da chiese e palazzi e dominato dalla massiccia sagoma del campanile di Santo Stefano, la chiesa cattedrale: un vero e proprio invito a varcare l’ingresso dell’abitato per addentrarsi nell’intrico dei vicoli, pronti a svelare un’anima medioevale. E proprio qui, il 17 gennaio di ogni anno, si tiene uno dei più pittoreschi rituali del calendario contadino: i Falò di Sant’Antonio, un’usanza antichissima che ancora oggi viene vissuta con grande intensità dagli abitanti e attira curiosi da tutto il circondario.
I fuochi vengono allestiti ovunque ci sia uno slargo che possa ospitare una catasta di legna. La preparazione ha inizio qualche giorno prima, in una comunanza di allegria e di fede che vede in prima fila soprattutto bambini e ragazzi, in gara nel realizzare il falò più spettacolare; per recuperare il combustibile si perlustrano le campagne e si bussa alle porte dei nuscani, che magari vogliono disfarsi di qualche sedia o di altri oggetti di legno ormai non più utilizzabili.
A sera si passeggia lungo le abitazioni, apprezzandone i portali in pietra finemente scolpita, o ci si ferma nelle piazze Natale o De Santis, magari a far compagnia agli anziani che tra una partita e l’altra di patruno, sotta o tressette si lasciano andare ai ricordi. Intanto fervono le attività intorno ai fuochi: «Sant’Antuonu, mascaru e suonu» è la frase che più spesso si sente esclamare tra balli e sfilate di diavoli mascherati, che durano per ore, intervallati da robusti assaggi della gastronomia tradizionale accompagnati da un buon bicchiere di vino (quasi sempre Aglianico). E ce n’è da rifarsi il palato tra prosciutti, soppressate, salsicce, formaggi, caciocavalli, ‘ndurtaglia (una zuppa di legumi e grano), paste casalinghe condite con corposi sughi di carne come fusilli, tagliolini, lagane, maccarunari, cicalucculi, strangulaprieuti, e poi arrosti, migliatielli (interiora arrostite o affogate nel sugo), polenta, pizza di mais con cigoli di maiale… A spasso per Nusco
Piazza Natale, circondata dai palazzi nobiliari dell’omonima famiglia e da quello dei Marino, è nota come mmiezz’a la teglia perché in passato ombreggiata da grossi tigli. Uscendo dal lato sinistro si segue per Corso Umberto I: all’altezza dell’ormai sconsacrata chiesa di San Rocco, subito dopo Palazzo del Sordo si trova sulla sinistra Piazza di Sant’Amato su cui si affaccia la chiesa tardo-barocca di San Giuseppe, risalente al 1775, con all’interno un altare intarsiato di marmi policromi; lo stesso slargo è dominato da una statua che ritrae appunto Sant’Amato, al quale si deve la costruzione della cattedrale di Santo Stefano nella seconda metà dell’XI secolo quando Nusco venne elevata a sede vescovile. La semplice facciata del monumento, con un coronamento semicircolare affiancato a sinistra da una torre dell’orologio del 1891 e a destra dal campanile del 1521, alto 33 metri, non lascia intendere la sontuosità dell’interno, frutto di rimaneggiamenti settecenteschi. Le tre navate sono distinte da una doppia fila di colonne che sorreggono archi a tutto sesto; lungo le due minori sono collocate le cappelle in cui sono custodite la statua marmorea di Santo Stefano del 1802, il Calvario di Giuseppe Leonetti, i dipinti Madonna del Rosario dell’artista Andrea D’Asti e Vergine del Carmelo e San Filippo Neri di Michele Foschini, bassorilievi in marmo e legno e un ciborio ligneo rinascimentale. Da ammirare anche il presbiterio, il coro sopraelevato e affrescato, uno straordinario pulpito del Seicento e quattro mausolei dedicati ad altrettanti vescovi. Spicca infine l’armoniosa struttura della cripta romanica, con volta a crociera sorretta da massicce colonne, che conserva affreschi del Settecento e le ossa di Sant’Amato; mentre la Chartula judicati, il suo testamento risalente al 1093 e scritto in caratteri longobardi beneventani, si trova nella stanza del tesoro con alcune statue in argento, oggetti in oro e antiche pianete.
Usciti in Piazza Vescovado, attraverso il bel portale del XVIII secolo si entra nel seminario diocesano grazie al quale Nusco, nella sua fiorente vita ecclesiastica, si è guadagnata il soprannome di Atene del Santangiolese. Da Piazza De Santis, in vista del settecentesco palazzo Ebreo dalle colonnine in pietra e di quello De Paulis dalla corte porticata con loggiati di gusto catalano, si continua per Via Landone e quindi per la raccolta Piazzetta della Trinità, chiusa dalla semplice facciata dell’omonima chiesa trecentesca. Portandosi in Via Sopracastello per salire a visitare i ruderi di quello che un tempo era un maniero inespugnabile, è facile raggiungere la chiesetta di Sant’Antonio, impreziosita da un luminoso portale rinascimentale del 1548 qui trasferito verso la fine dell’Ottocento dalla cattedrale.
Al di fuori del perimetro urbano, assolutamente da consigliare una visita al santuario mariano della Madonna di Fontigliano, dell’XI secolo: voluto anch’esso da Sant’Amato, che lo fece costruire sui resti di un preesistente tempio pagano affidandolo a monaci benedettini cassinesi, il complesso venne riedificato nel 1840 e nel 1950 è stato oggetto di un impegnativo restauro. All’interno si trova la quattrocentesca statua della Vergine seduta col Bambino, che per alcuni secoli fu contesa tra gli abitanti di Nusco e di Bagnoli, mentre l’annesso antiquarium ospita reperti archeologici di epoca romana.
Lo stesso santuario è il punto di partenza di diversi trekking ambientati nell’intatto Parco Naturale Regionale dei Monti Picentini, che nel territorio di Nusco è caratterizzato dal massiccio del Montagnone (1.490 m). Con escursioni quasi sempre scandite da punti di approvvigionamento idrico, gli itinerari toccano la vetta del Montagnone (sentiero 12 del CAI), Serra degli Agli, la Valle o Piana del Vento, i monti Luremito, Caravella, Ramatico e Valle Rotonda. Più lungo è invece l’anello che dalla cosiddetta Fontana di Marcantonio sale per il canale di Castel Pagano, per arrivare al Piano di Lagariello con la freschissima sorgente del pozzo di San Guglielmo e quindi salire a Raia Spina per poi toccare il Montagnone, il santuario di Fontigliano e di nuovo Marcantonio.

PleinAir 389 – dicembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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