Sand'Andonje e lu Dimonie

Dal rito pagano alla leggenda del santo abate: sei tappe in Abruzzo per festeggiare secondo tradizione con canti di questua, teatro dialettale, falò di buon augurio e sontuosi banchetti devozionali.

Indice dell'itinerario

Nella vita quotidiana delle campagne, governata dal volgere delle stagioni e dal timore di grandine, fulmini e quant’altro possa mettere a repentaglio i raccolti, la devozione a Sant’Antonio Abate è ancora oggi una delle più sentite: cruciale è la data – intorno al 17 gennaio, fra il solstizio d’inverno e la prima luna di primavera – in cui si festeggia l’eremita nato intorno all’anno 250 a Qumans, in Egitto, da una ricca famiglia di agricoltori. La ricorrenza cristiana del “santo del maialino” (così soprannominato perché questo animale lo accompagna nell’iconografia classica) trae origine da antichi riti pagani, probabilmente le Feriae Sementinae di cui ci narra il poeta latino Ovidio, che cadevano per l’appunto a metà gennaio. In questa occasione si usava immolare una scrofa gravida alle frugum matres, ovvero le dee Cerere e Tellus, protettrici delle messi e del lavoro contadino; accompagnavano il rito abbondanti libagioni di burranica, una bevanda a base di latte e mosto cotto, e l’offerta di una pentola di cereali e legumi. Elementi simili si ritrovano nel folklore d’Abruzzo, dove Sant’Antonio Abate viene tuttora festeggiato in molti paesi. In particolare fra le province di Teramo, Chieti e L’Aquila, in prossimità della data fatidica, località di norma tranquille e quasi sonnolente vengono prese da un’insolita animazione: chi raccoglie legna o canne in cataste da dare alle fiamme in segno di buon augurio, chi prepara le cottore, capienti paioli in cui verranno fatti sobbollire i legumi, chi allestisce la panarda, termine dall’origine misteriosa che indica l’eccezionale banchetto votivo della notte di vigilia, chi appresta strumenti musicali e costumi per il canto di questua o per la rappresentazione del santo tentato dal diavolo. E siccome in questi giorni l’ospitalità è sacra, il forestiero non dovrà sentirsi in imbarazzo nell’accettare l’invito a un assaggio o addirittura a sedersi a tavola con i paesani. Le celebrazioni avvengono in luoghi diversi e talora distanti fra loro, e la sovrapposizione delle date rende problematico tracciare un vero e proprio itinerario. A ciascuno dunque la scelta della manifestazione che più lo attrae, andando a sistemarsi con il camper in posizione strategica: non ci sono problemi per la sosta (arrivando ovviamente per tempo, visto il prevedibile afflusso), ma bisogna mettere in conto una serata portata avanti sino a notte fonda o un risveglio ad ore antelucane.

Tentazioni in scena
La piazzetta centrale di Rapino (CH) già da sola sembra un piccolo teatro: ed è proprio qui che viene allestito il palco su cui, la domenica che precede il 17 gennaio, si alternano gruppi provenienti da varie località a rappresentare la storia del santo abate, insidiato da un diavolo mai domo che, come ultima istanza, giunge a proporgli il massimo della tentazione e cioè la femmina, puntualmente interpretata dalla bella di turno più o meno velata. Naturalmente, Sant’Antonio trionfa e Satanasso viene cacciato. La rappresentazione è ripetitiva, ma di grande interesse sono le varianti sul tema e assolutamente irresistibili attori e comparse, specie se visti da vicino. Rapino (da non confondere con l’omonimo comune in provincia di Teramo) è un paese tutto in salita, solcato da stretti vicoli, e il camper si lascia obbligatoriamente sulla strada che gira sotto le mura. Sul posto si giunge dalla A14 Adriatica uscendo a Pescara Sud-Francavilla e imboccando la S.S. 263 in direzione Pretoro, fino al bivio per il paese; questo percorso è il più agevole anche per chi proviene dalla A25 Roma-Pescara, immettendosi sulla A14 in direzione Bari e proseguendo come sopra. Chi giunge da Napoli e dal versante tirrenico meridionale può invece uscire dalla A1 a Caianello e proseguire per Venafro, Isernia e la S.S. 650 Trignina in direzione di San Salvo Marina fino a incrociare la A14, da imboccare in direzione Pescara.

Associazione Amici di Rapino, tel. 0871 800697, www.rapino.net.


La notte delle farchie
Qualche giorno prima della fatidica sera del 16 gennaio, a Fara Filiorum Petri (CH) si cominciano a preparare le enormi torce di canne dette farchie, assemblate in fasci saldamente legati della circonferenza di un metro e lunghi anche più di 10 metri. Il lavoro avviene sotto una tettoia, ad impedire che un’eventuale pioggia bagni il tutto; i curiosi, purché discreti, sono tollerati ed è possibile anche scattare foto a distanza ravvicinata, avendo la massima cura a non intralciare l’attività in corso. Nel pomeriggio del 16 le farchie verranno poi trasportate sullo spiazzo antistante la chiesetta rurale dedicata a Sant’Antonio e sistemate in verticale con l’aiuto di pertiche e funi, mentre attorno i suonatori d’organetto allietano la cerimonia. Poi il rogo e la festa, che continuerà tutta la notte nelle varie contrade ove altre gigantesche torce sono state innalzate e bruciate. Spenti i fuochi, i tizzoni vengono conservati come reliquie per la protezione dalle calamità e per segnare gli animali domestici. Arrivando dal versante adriatico, Fara Filiorum Petri si trova pochi chilometri prima di Rapino: le indicazioni per giungere sono dunque le stesse. Un’area attrezzata è disponibile vicino al campo sportivo.

Comune, tel. 0871 70112, www.comunefarafiliorumpetri.it, comune@comunefarafiliorumpetri.it.

Cottore, complimenti e cicerocchi
Fin dall’ora di pranzo del 16 gennaio si viene accolti sulla strada principale di Collelongo (AQ) da un banchetto d’assaggio, mentre sfilano musici e figuranti; poi, a sera e fino a tarda notte, è quasi d’obbligo il pellegrinaggio ai vari punti in cui sono state allestite le cottore. Per tradizione un certo numero di famiglie decora una stanza della propria abitazione con collane di arance e cestini colmi di uova e frutta secca, mentre nel camino, in un enorme recipiente, cuoce il granoturco i cui chicchi mano a mano si gonfiano, assumendo il nome di cicerocchi. Il visitatore, adeguatamente istruito, è tenuto a girare un paio di volte la minestra con un lungo cucchiaio di legno, recitando parole di augurio e devozione: il rituale porterà in futuro prosperità e benessere, nell’immediato un complimento e cioè un assaggio a base di vino e dolci. Il tutto sotto lo sguardo vigile di Sant’Antonio, la cui immagine troneggia nella stanza. Di casa in casa si potrebbe andare avanti per tutta la notte, magari spostandosi nella piazza delle chiesa su cui arde l’immancabile falò, ma consigliamo di ritirarsi per qualche ora nel camper e tornare in piazza a giorno fatto.
Anche se la prosecuzione del programma è annunciata alle prime luci dell’alba, ci sarà infatti da attendere parecchio (e al freddo!) prima che le porte della chiesa si aprano e ne escano belle fanciulle in costume con in testa singolari copricapi: è la gara fra le conche rincagnate, cioè autentici catini che per l’occasione sono decorati con gli addobbi più strani. Una giuria decide quale di essi merita la vittoria: il consulto è lungo e questa è la ragione per il rituale ritardo nella presentazione al popolo, i cui mugugni per l’attesa verranno mitigati dalla gradita distribuzione di cicerocchi. Le conche verranno poi depositate in chiesa, ovviamente sotto l’effigie di Sant’Antonio Abate.
Collelongo si raggiunge dalla A25 Roma-Pescara uscendo a Celano e tagliando la Piana del Fucino fino a Trasacco, per poi proseguire ancora una decina di chilometri. Chi invece proviene dalla A1 dovrà uscire a Ceprano, superando Sora e Civitella Roveto e continuando in direzione di Avezzano (ignorate su questo tratto il bivio per Collelongo poiché la strada è stretta e molto disagevole), per poi svoltare a destra verso Luco dei Marsi e Trasacco.
Comune, tel. 0863 948113, www.collelongo.terremarsicane.com.

Tutti a tavola
Quest’evento si può collegare a perfezione con il precedente, poiché si svolge a Villavallelonga (AQ) che dista poco più di 5 chilometri da Collelongo. Il copione, per quanto riguarda la notte tra il 16 e il 17 gennaio, è sostanzialmente simile: si gira per il paese, tra i fuochi accesi nelle piazze, alla ricerca dei banchetti offerti dalle cosiddette famiglie obbligate. Leggenda vuole che una bimba di pochi mesi, lasciata nella culla dalla madre recatasi ad attingere acqua alla fontana, divenisse preda di un lupo: la madre invocò allora Sant’Antonio, promettendo una festa a fuoco se sua foglia fosse stata risparmiata. Così avvenne, e da allora l’impegno di celebrare la panarda si è tramandato di generazione in generazione: oggi sono una ventina le famiglie che imbandiscono una tavola, in una stanza addobbata di corone costituite da frutta, uova, dolci e vegliata dall’immagine del santo. Il menù, più o meno fisso, è davvero invitante: brodo di gallina e vitello con il relativo lesso, maccheroni carrati all’uovo con ragù di carne di pecora, ancora pecora alla cottora, fave lessate e condite, frittelle di pasta lievitata, nonché la frutta prelevata dalle corone. Chi è invitato, specialmente se viene da fuori, non si illuda di partecipare a una semplice abbuffata (anche se gli è fatto obbligo di onorare la tavola e cioè assaggiare tutte le varie pietanze, che possono arrivare al numero di cinquanta e passa): per cominciare, il panardiere recita il rosario e varie litanie culminanti con l’orazione a Sant’Antonio, quindi la cena inizia ma le portate di alternano ad altri momenti di preghiera. Passeranno poi le compagnie della questua, la cui esibizione in canti e suoni verrà ricompensata con cibo e denaro. La cena finisce all’alba con la panetta, pasta lievitata con uova, cui si accompagna un piatto di fave lesse. Un’ultima preghiera e un brindisi del panardiere in onore del santo chiudono la cerimonia. Ma la festa non è finita, perché siamo arrivati al 17 – appunto la ricorrenza del santo – con processione e benedizione degli animali. Nel pomeriggio, invece, sacro e profano si mescolano: arriva infatti una sfilata di carri allegorici con pupazzi in cartapesta che simboleggiano la fine dell’inverno e l’inizio del Carnevale, che verranno bruciati fra spari di mortaretti, mentre tutt’attorno ballano le maschere dei Belli, vestiti di bianco e dai cappelli ornati di fiori e nastri, e dei Brutti, vestiti di nero e coperti di campanacci. La manifestazione si svolge con ogni tempo: a noi è capitata un’edizione sotto il diluvio, mentre gli abitanti rimpiangevano neve e ghiaccio dell’anno precedente.

Comune, tel. 0863 949117, www.comune.villavallelonga.aq.it.

Il santo barone
Il riferimento è alla leggenda de lo beatissimo egregio Missere barone Sancto Antonio , testo cardine dell’antica poesia volgare abruzzese, scritto da un chierico agli inizi del ‘300. Anche a Scanno (AQ) il rituale dei festeggiamenti è simile a quanto visto nelle precedenti località: la differenza che qui tutto succede nelle prime ore della mattina del 17 e che c’è una sola storica e ricca famiglia, quella che un tempo possedeva la maggior parte delle greggi, a imbandire davanti al portone del proprio palazzo le cottore, ricolme in questo caso di sagne e ricotta. Dalla chiesa dedicata a Sant’Antonio, all’uscita della prima messa un corteo guidato dal parroco raggiunge l’edificio per la benedizione del cibo, che verrà poi distribuito agli astanti perché sia consumato come forma di devozione. Scanno si trova nel parco d’Abruzzo e si raggiunge dalla A25 Roma-Pescara, uscendo a Cocullo e proseguendo sulla fondovalle per Anversa degli Abruzzi e il paese. Dalla A1 si può uscire a Frosinone o a Ceprano continuando per Sora e poi in direzione di Alfedena. Dall’entroterra campano e dal versante tirrenico meridionale conviene prendere per Benevento e la S.S. 17 superando Isernia e incontrando, dopo una trentina di chilometri, il bivio per Alfedena, Barrea e Villetta Barrea, da cui si imbocca la fondovalle per Scanno.

Comune, tel. 0864 747371. Informazioni turistiche www.scanno.org.


Le laude e i canti
Anche a Cermignano (TE) si accendono falò, si preparano le cottore, si passa la notte della vigilia attorno alla panarda. Di veramente originale e interessante c’è piuttosto lo spettacolo che si tiene in paese il sabato e la domenica più prossimi al 17 gennaio: giungono infatti a portare la nova laude e il novo canto i gruppi questuanti che avranno per ricompensa cibo e vino, mentre altre compagnie metteranno in scena, su un palcoscenico eretto nella piazza principale del paese, le storie del santo tentato dal demonio. Strade e piazze si animano di folla e il numeroso pubblico potrà ristorarsi anche ai vari banchetti che offrono prodotti tipici locali – a partire da salsicce e cotechini, giusto a ricordarci il porcello che identifica il nostro santo – e a finire con li cillitte de Sand’Andonje, un caratteristico dolcetto da inzuppare nel vino. Nell’ultima edizione era stata allestita anche una mostra fotografica riguardante la storia della manifestazione e del paese, testimonianza di vita e costumi del secolo appena trascorso. Cermignano si raggiunge dalla A14 uscendo a Roseto e continuando per una ventina di chilometri sulla fondovalle del Vomano in direzione di Montorio al Vomano fino al bivio per il paese, oppure dalla A25 Roma-Pescara uscendo a Val Vomano e proseguendo per pochi chilometri verso Roseto. In località Montegualtieri, a circa 3 chilometri, si trova l’agriturismo Capo d’Acqua con area di sosta per quattro veicoli (Contrada Scanzature 17, tel. 0861 66678, www.agriturismocapodacqua.it, info@agriturismocapodacqua.it, aperto tutto l’anno previa prenotazione telefonica con qualche giorno di anticipo).

Comune, tel. 0861 66160, Numero Verde 800-250767. Comunità Montana del Vomano, Fino e Piomba, tel. 0861 667427, www.cmvomanofinopiomba.it, info@cmvomanofinopiomba.it.

PleinAir 426 – gennaio 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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