Samarcanda in camper/2 - Tamerlano superstar

Quattordici equipaggi con trentacinque persone a bordo, partiti da Roma la scorsa estate, hanno raggiunto Samarcanda attraverso la mitica Via della Seta seguendo le tracce di Marco Polo e percorrendo 12.000 chilometri in 38 giorni.

Indice dell'itinerario

Tamerlano superstar
Non ci posso credere, sono a Samarcanda! E’ la prima spontanea espressione che mi è uscita di bocca quando con la mia famiglia ed altri 13 equipaggi dell’Assocampi di Roma sono entrato, dopo circa 6000 chilometri, nella mitica città del Tamerlano. Eravamo tutti un po’ provati, ma profondamente emozionati e orgogliosi per la straordinaria meta conquistata. E dico “conquistata” non per esaltare oltre il dovuto l’impresa, ma perché essa ha pienamente rispettato le previsioni che la volevano impegnativa e imprevedibile. Roma, Brindisi, traghetto fino a Cesme, ruote a terra e in una volata di poco più di tre giorni attraversiamo tutta la Turchia da ovest a est per circa 2000 chilometri. In prossimità del confine iraniano, ecco apparire maestoso, incappucciato di bianco e con un’arca tra le costole, il biblico Monte Ararat (oltre 5.000 metri di altitudine). Pochi chilometri ancora ed ecco il confine, dove solo un cancello scorrevole divide il territorio turco da quello iraniano. Eppure, oltrepassato quel semplice binario di ferro, si ha la sensazione di aver percorso una distanza infinita, tanto le realtà di questi due paesi appaiono diverse, sconosciute e impermeabili l’una all’altra.

Donne, velatevi
Varcata la frontiera le nostre donne devono indossare il chador, imposto dalla religione di stato sciita; sarà forse il prezzo più alto che, viste le temperature (il termometro ha raggiunto i 40°), dovranno pagare durante i 15 giorni in questo paese dalle regole inderogabili. Per noi maschietti il castigo sarà la completa mancanza di bevande alcoliche (unica consolazione la birra iraniana rigorosamente analcolica). Al confine conosciamo la nostra guida iraniana Nasser, verso la quale è confluito un non trascurabile flusso di dollari, destinati probabilmente a facilitare il più possibile i nostri movimenti. L’immagine che avevo di questa nazione non era del tutto tranquillizzante; in fondo, in Occidente poco trapela dalle sue ben sorvegliate mura. Ma all’interno di esse abbiamo scoperto ciò che più ci è piaciuto dell’Iran: gli iraniani. Un popolo che, in particolare nelle grandi città, ci è apparso di buone maniere, colto, attento, estremamente aperto e ospitale.
La guerra di otto anni con l’Iraq ha messo a terra questa nazione. Nei villaggi di campagna costruiti con paglia e fango la gente vive in condizioni di povertà ed emigra sempre più verso i grandi centri alla ricerca di un’esistenza meno disperata.
A proposito di grandi città: Teheran (12 milioni di abitanti) ci ha letteralmente assalito con un traffico caotico. Come schegge impazzite le automobili si infilavano ove si presentasse la minima possibilità di passare. Gli unici a protestare eravamo noi, che pur avvezzi ad ogni tipo di traffico non ci aspettavamo una simile confusione.
Dopo aver ammirato il museo archeologico e quello veramente unico dei tappeti, abbiamo ricevuto l’inattesa e gradita visita di benvenuto del dottor Emaim, deputato governativo addetto al turismo. Dopo averci informato che già tutta la nazione sapeva della nostra presenza, ha voluto scambiare con noi idee e proposte per l’incremento delle visite straniere in Iran., auspicante più frequenti contatti tra le due comunità.
Il giorno successivo partiamo per la città santa dell’Iran: Mashhad. Per raggiungerla percorriamo circa 1000 km di altopiano arido e stepposo, interrotto solamente da alcuni poveri villaggi e qualche caravanserraglio, delimitato da irregolari catene montuose che a tratti acquistavano colorazioni rosse, gialle, verdi, bianche.
Dopo due giorni di marcia veramente impegnativi, eccoci a Mashhad. Il mistico complesso, previsto su 60 ettari di cui per ora “soltanto” 30 coperti, è immenso e straordinariamente bello. Minareti e cupole ricoperte d’oro, portali, colonne, mura, tutti in ceramica blu, interni con volte, minicupole e pareti rivestite da motivi orientali in caldi e tenui colori rosa, bianco, avorio, celeste; versetti del Corano incastonati in frammenti di vetri a specchio; splendidi lampadari a gocce.
Si riparte verso Sharaz, al confine con il Turkmenistan. Qui altre gradite e inattese visite di benvenuto, prima del governatore della provincia e poi del sindaco di Sharaz. Ma nonostante l’impegno delle autorità iraniane per agevolare il più possibile le pratiche doganali nelle due frontiere, usciamo in territorio turkmeno solo dopo parecchie ore di trafile burocratiche. Anche stavolta profonda è la differenza tra due popoli che pur vivono a stretto contatto. Dai tratti somatici tutto sommato europei dei persiani passiamo a quelli marcatamente asiatici, quasi mongoli, dei turkmeni. Con nostra sorpresa abbiamo trovato una razza da ammirare soprattutto nelle sue donne belle, alte e filiformi, dall’elegante portamento.
Le nostre donne, finalmente libere dal chador, hanno meglio potuto affrontare la traversata di un deserto che, tolta la intermedia città di Mary, ci ha offerto centinaia di chilometri di sabbia, cespugli bruciati e steppa, tra i quali si mimetizzavano branchi di dromedari selvatici. Un villaggio tra le dune, una breve sosta tra i suoi incuriositi abitanti, e via verso il lungo e incerto ponte di barche sul fiume Amudarja. Passatolo, entriamo finalmente nell’Uzbekistan, certamente la più affascinante regione dell’Asia centrale.

Piccoli Marco Polo
Percorrere la lunga Via della Seta sulle orme del viaggiatore veneziano e incontrarlo poi nel centro di Samarcanda, dove tuttora lo ricorda un cippo (e presto anche un monumento e una piazza), ci ha fatto sentire un po’ tutti dei piccoli Marco Polo. La piazza del Registan coi suoi monumenti, cuore di Samarcanda, è insieme alla grandiosa necropoli uno dei musei a cielo aperto più spettacolari del mondo. Non so se Tamerlano, artefice di questa opera, fosse mosso dalla smania di entrare nella storia a tutti i costi o da una profonda necessità dell’anima di raccontare al meglio il proprio Dio; certo il risultato è tale da far dubitare che una ispirazione soltanto umana abbia dato le mosse a tanta splendente bellezza. Tutte le nostre difficoltà, stanchezza e apprensioni sono improvvisamente scomparse, assorbite dalla maestosità dell’opera, dalla solenne preziosità dei suoi interni, dalla grandiosità di moschee e madrase avvolte in raffinati mosaici policromi. L’ultima sera della nostra permanenza a Samarcanda l’agenzia Natalie, con la quale abbiamo concertato la parte del viaggio relativa a Turkmenistan e Uzbekistan, ci ha offerto un graditissimo spettacolo di musica, danze e canti uzbeki.
E’ tempo di tornare a casa. Mentre durante l’andata sono soltanto scoppiate un po’ di gomme “ciancicate”, il viaggio di ritorno ci ha riservato una più ricca serie di disavventure, per fortuna a lieto fine, che non ci hanno impedito di presentarci puntuali all’imbarco della nave che ci ha riportati in Italia. Più di qualcuno di noi, aprendo la porta di casa dopo quei 12.000 chilometri, tanto tempo, tante emozioni e tante avventure, avrà esclamato: «Sono tornato, non ci posso credere!».

PleinAir 319 – febbraio 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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