Salento, levante d’Italia

Alla fine dello Stivale c’è una terra ricolma di doni. Tra fortezze, grotte marine, scogliere e città marinare il Salento non finisce mai di stupire e offre molteplici occasioni per la vacanza all’aria aperta, anche grazie a una fitta rete di strutture ricettive

Indice dell'itinerario

Il nostro viaggio in terra salentina prende il via dal borgo fortificato di Acaya, a pochi chilometri da Lecce. Sorto nel ’200, quando vi si stabilirono le popolazioni rivierasche per mettersi al riparo dalle incursioni saracene, non ebbe vita facile. Le continue invasioni ottomane indussero infatti Carlo V a fortificare la cittadina affidando il compito all’ingegnere militare Gian Giacomo dell’Acaya, discendente dei nobili feudatari che erano al governo dal 1294.

Egli consolidò il preesistente castello rinforzandone le difese con un imponente bastione rivolto verso il mare e contornato da due torrioni circolari; costruì un ampio fossato e cinse di mura l’intero abitato al quale volle conferire l’aspetto rinascimentale di città ideale con la realizzazione di conventi, giardini e strade perfettamente ortogonali. Dopo la sua morte ebbe inizio un lungo periodo di decadenza, ma grazie alle ingenti opere di restauro curate dalla Provincia di Lecce oggi il castello ha riaperto al pubblico le sue sale che ospitano periodicamente importanti mostre.

L’accesso in città è consentito solo ai residenti, pertanto occorre utilizzare gli ampi parcheggi di fronte al maniero. Già da questa posizione abbracciamo con lo sguardo l’intero complesso di fortificazioni, sulla sinistra del quale si apre la Porta Sant’Oronzo, l’ingresso al borgo ornato dalla statua benedicente del santo e dagli stemmi delle nobili famiglie Vernazza, dell’Acaya e del re di Napoli. Nel cortile troviamo i resti di una chiesa bizantina che conserva un grande affresco raffigurante la Madonna morente assistita dagli Apostoli.

Dal lato opposto scendiamo nei sotterranei scavati nella roccia, dove sono presenti numerose cisterne e vasche utilizzate in passato per la raccolta dell’acqua e delle derrate alimentari. Un’ampia scala in pietra conduce al piano superiore composto da numerose sale, tra cui spicca la stanza a nove lati con la volta abbellita da un elegante fregio che illustra la vita del feudatario. Lasciato il castello ci si può concedere una tappa alla vicina masseria Camper l’Aia di Vernole, gestita da camperisti e dotata di un’accogliente area attrezzata, per gustare un prelibato piatto di trofie condite con pesce spada, melanzane e pomodorini. Da non perdere una visita alla piazza centrale di Vernole, che ricopre quasi interamente il frantoio ipogeo Caffa, risalente al ’500: rimasta in funzione sino ai primi del ’900, la cavità fu definitivamente chiusa e solo negli anni Novanta si decise di restaurarla.

La cattedrale di Otranto presenta un portale barocco sormontato da un rosone di epoca rinascimentale
La cattedrale di Otranto presenta un portale barocco sormontato da un rosone di epoca rinascimentale

La città dei martiri

Punteggiata da antiche torri di avvistamento, la statale 611 per Otranto corre a ridosso della costa in un susseguirsi di scorci panoramici che, partendo dalle distese sabbiose di San Foca, prosegue verso Roca Vecchia dove sono ancora visibili le rovine del castello trecentesco a picco sul mare. Poco più avanti si apre la splendida baia di Torre dell’Orso caratterizzata dalle Due Sorelle, una coppia di scogli che emergono solitari nel mare, e dalla folta pineta che si spinge fino ai margini delle dune. Superato il borgo di Sant’Andrea, facciamo sosta in località Frassanito nell’omonimo campeggio all’ombra de pini e della macchia mediterranea che arriva alla spiaggia.

Presso il camping Frassanito è attiva una scuola di surf
Presso il camping Frassanito è attiva una scuola di surf

Ci spostiamo verso i Laghi Alimini, due specchi d’acqua salmastra di notevole interesse naturalistico, e proseguiamo nei pressi della Baia dei Turchi, dove si presume sia avvenuto lo sbarco dei pirati che assediarono Otranto nel XV secolo. A pochi chilometri dalla città, in direzione sud, è particolarmente suggestiva la visita a una cava di bauxite abbandonata, dove si arriva seguendo le indicazioni per il porto e poi per il centro immersioni Sud-Est Diving.

Nella Riviera degli Haethey ci si tuffa da uno scoglio alto sette metri.
Nella Riviera degli Haethey ci si tuffa da uno scoglio alto sette metri.

Lasciato il veicolo ai margini dello sterrato d’accesso, si sale a piedi sulla sommità di questa miniera a cielo aperto dove il rosso scuro invade l’intera collina e assume tonalità cangianti lungo i canaloni digradanti verso il laghetto color smeraldo che ne occupa il fondo.

Per la visita a Otranto ci fermiamo presso l’Idrusa Camping Village, ben ombreggiato e attrezzato, non lontano dal centro storico che si raggiunge comodamente a piedi. Camminando lungo il litorale diamo le spalle ai torrioni cilindrici del Castello Aragonese, costruito dopo i tragici eventi dell’invasione turca. Attraversata la Porta d’Oriente, affrontiamo la salita verso la cattedrale, la cui consacrazione risale alla fine dell’anno Mille e, nonostante i continui rimaneggiamenti, ha conservato lo stile tipico del romanicgotico pugliese. Sull’imponente facciata emergono le strutture barocche del portale sormontato dal rosone di epoca rinascimentale.

La sua ricchezza artistica è tutta all’interno delle tre navate impreziosite dal soffitto a cassettoni, dalle colonne di granito, dal fonte battesimale barocco e dal pulpito in legno realizzato nel ’700. La cappella dei martiri custodisce i resti delle ottocento vittime decapitate dopo la vittoria dei turchi. Un altro ambiente interessante è la cripta abbellita da colonne dissimili tra loro per forma e materiali, che contornano un altare alla cui destra vi è un affresco della Madonna Odigitria di ispirazione bizantina.

Ma il vero tesoro della cattedrale è il mosaico pavimentale realizzato dal monaco Pantaleone, dove risaltano il grande albero della vita che occupa tutta la navata centrale fino al transetto, alcune figure di grifoni alati e altre immagini allegoriche legate alla cultura del tempo. Da Piazza Duomo raggiungiamo Piazza del Popolo alle cui spalle si trova la chiesetta bizantina di San Pietro; l’interno conserva affreschi anteriori al ’300 che ornano le tre piccole absidi semicircolari.

La discesa ci riporta sul lungomare e da qui, a bordo di una motoretta Ape che effettua itinerari turistici in città e fuoriporta, raggiungiamo la Riviera degli Haethey, la strada costiera che chiude a nord il porto di Otranto e lungo la quale si scorge il Fascio, un massiccio scoglio a forma quadrangolare utilizzato dai più ardimentosi per tuffarsi da un’altezza di sette metri.

Le acque turchesi della rada di Grotta Monaca si prestano a rilassanti pagaiate a bordo di sit-on-top.
Le acque turchesi della rada di Grotta Monaca si prestano a rilassanti pagaiate a bordo di sit-on-top

Lungo il Tacco d’Italia

Usciti da Otranto imbocchiamo la statale in direzione di Leuca e proseguiamo fino a Punta Palascia. Con qualche difficoltà riusciamo a fermarci ai piedi della stazione radar e da qui, percorrendo un sentiero nella macchia mediterranea, giungiamo in breve alle spalle del faro che osserviamo dall’alto: una quinta perfetta nel punto più orientale della costa, che segna lo spartiacque convenzionale tra Jonio e Adriatico.

Continuando verso sud, la strada si allontana sempre più dalla costa e ci conduce in vista di un ampio pianoro coltivato dominato dalla Torre di Sant’Emiliano, che si erge da uno sperone roccioso. La cala di Porto Badisco, poco più avanti, è accessibile a piedi ma non con mezzi ingombranti: l’unica soluzione è utilizzare il vicino parcheggio a pagamento. La piccolissima rada, dove si dice sia approdato Enea dopo la sua fuga da Troia, offre una spiaggetta dalla quale ci immergiamo nello specchio d’acqua cristallino. Siamo in uno dei siti preistorici più importanti d’Europa: proprio qui, a pochi metri, si apre la Grotta dei Cervi (purtroppo non visitabile) con le iscrizioni in guano e ocra rossa risalenti al Neolitico.

L'ingresso della Grotta Zinzulusa
L’ingresso della Grotta Zinzulusa

Superiamo la vicina stazione termale di Santa Cesarea per fare tappa alla celeberrima Grotta Zinzulusa di Castro. Il nome deriva dal dialetto zinzuli, ovvero stracci, così come i pescatori locali chiamano le piccole stalattiti che ne orlano l’ingresso. Dall’ampio parcheggio, tramite la scalinata e il passaggio quasi a pelo d’acqua a ridosso della roccia giungiamo dinanzi al dantesco antro, punto di partenza della visita guidata. In circa mezz’ora, dopo aver percorso oltre cento metri tra stalattiti  stalagmiti, l’itinerario termina nell’ampia sala carsica detta il Duomo.

Le stradine medioevali del centro storico di Castro sono poco accessibili; i vigili urbani ci consigliano di sostare in località Frasciule, collegata con il porto da un servizio navetta. Prima di seguire il suggerimento raggiungiamo a piedi il castello aragonese: nella torre angolare a est è inglobata una parte dell’antica cinta muraria dove sono visibili venti file di blocchi lunghi un metro e mezzo e profondi 40 centimetri che rappresentano le più alte mura messapiche fino ad oggi scoperte. Poco più avanti si trova la cattedrale, costruita alla fine del 1100, che conserva i resti di una chiesa bizantina a croce greca.

La nostra prossima meta è Castro Marina, che purtroppo presenta maggiori problemi rispetto al borgo per quanto riguarda le possibilità di sosta. Una ripida discesa porta in prossimità delle banchine dove si allineano le postazioni che offrono minicrociere lungo il litorale; il gruppo Durlindana, ad esempio, propone escursioni da Castro a Leuca (oppure a Otranto) con pranzo a bordo del loro ketch d’epoca di 15 metri. Viviamo così un’emozionante esperienza per conoscere più da vicino questa costa, che ci svela la bellezza delle sue grotte altrimenti irraggiungibili.

Lungo l’itinerario in direzione di Santa Cesarea entriamo dapprima nella Grotta Palombara, così chiamata per la presenza di una colonia di colombacci, per visitare subito dopo la Grotta Azzurra, che prende il nome dal colore delle sue acque. Le tappe successive toccano la Grotta Zinzulusa che da questo punto di vista ammiriamo in tutta la sua sceno- grafica maestosità e, poco più avanti, la Grotta Romanelli, famoso sito preistorico purtroppo non visitabile. Raggiungiamo Porto Miggiano, ultima tappa per un’immersione in queste acque all’imboccatura della Grotta Sulfurea, posta sotto Villa Sticchi, l’ottocentesca costruzione in stile moresco che connota Santa Cesarea.

Piazza Pisanelli - Tricase monumento a Giuseppe Pisanelli e Chiesa di S. Domenico
Piazza Pisanelli – Tricase monumento a Giuseppe Pisanelli e Chiesa di S. Domenico

Ripreso il v.r., dieci chilometri ci separano dalla nostra destinazione finale. Tocchiamo Tricase Porto e ci allontaniamo dal mare per visitare la città di Tricase, il cui nome sembra derivi dall’unificazione di tre casali che costituirono il primo nucleo abitativo. Quasi a metà percorso la strada si biforca per salvaguardare l’area dove è racchiusa una rarità botanica: la Quercia Vallonea. Con più di settecento anni di vita, una circonferenza di oltre quattro metri e una chioma di 700 metri quadrati, questo monumento della natura testimonia ancora l’esistenza delle estese foreste un tempo qui presenti. In effetti, sin da Otranto, siamo stati sempre all’interno del Parco Regionale Naturale Costa Otranto

Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase, istituito nel 2006 per la conservazione, la salvaguardia e la valorizzazione del territorio. In città raggiungiamo la piazza principale sulla quale affacciano, in posizione contrapposta, la seicentesca chiesa di San Domenico e la Chiesa Matrice del ’700, mentre al centro s’innalza il monumento all’illustre concittadino Giuseppe Pisanelli, ministro nel governo Garibaldi. Un lato della piazza è occupato dal castello dei principi Gallone, ora sede municipale, il cui corpo principale fu trasformato in abitazione con oltre trecento stanze e una sala, detta del trono, che poteva contenere più di mille persone.

Prima di concludere il nostro itinerario ci concediamo una pausa en plein air in una delle tante strutture agrituristiche presenti in tutto il territorio. Appena fuori l’abitato di Tricase siamo i benvenuti alla Masseria di Nonno Tore, una giovanissima struttura i cui proprietari hanno deciso di seguire la tradizione contadina degli avi. L’antica azienda agricola è stata ristrutturata nel rispetto delle tecniche tradizionali, seguite anche nella preparazione delle pietanze con prodotti biologici. Dopo aver gustato delle squisite polpette di melanzane e purea di fave seguite dai minghiareddi, una pasta condita con pecorino, mandorle e fichi, andiamo letteralmente in brodo di giuggiole: con il dessert ci vengono serviti anche i dolcissimi frutti.

 

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