Sale e opale

Un mese di viaggio su un camper 4x4, alla scoperta dell'outback australiano a nord di Adelaide. Tra laghi salati e pietre preziose, canguri e dinghi, città fantasma e comunità di aborigeni

Indice dell'itinerario

L’aria tersa falsa le distanze e avvicina come una grande lente le alture all’orizzonte. Il rosso della strada sterrata, lunga e rettilinea, risalta ancora di più contro il blu intenso del cielo. Un movimento inatteso alla sinistra ed ecco che, saltellando da dietro un cespuglio, un canguro dal pelo rossiccio attraversa la strada. Una brusca frenata e subito s’alza un denso polverone che il vento del deserto sospinge lontano. In pochi secondi l’animale scompare nel bush e l’aria ritorna limpida, profumata di cannella, di vaniglia e delle altre piante aromatiche che crescono qui.
Ci troviamo nell’outback del South Australia, cioè in quella parte del territorio che si allontana dalla linea costiera a nord di Adelaide, la capitale.
Questo viaggio ci porterà nel deserto del Gawler Ranges, nella città sotterranea di Coober Pedy e tra le montagne nel Flinders Ranger, fino ad incontrare la comunità aborigena di Iga Warta. Nostra prima tappa, lasciata Adelaide, è Iron Knob, un villaggio minerario che fino al secolo scorso riforniva le grandi acciaierie della costa.
La pista in terra battuta è in buone condizioni e ben segnalata; anzi, non c’è proprio modo di sbagliarsi: la fitta vegetazione incanala la strada in una sola inequivocabile direzione.
Il primo bivio, 30 chilometri dopo aver lasciato l’asfaltata nazionale A1, è segnalato da piccoli ma rassicuranti cartelli che indicano con precisione le località servite e la loro distanza in chilometri. E questo ci rinfranca per i successivi.
I puntini di Siam, Nonning, Kolendo e Mount Ive, che sulla carta indicano la presenza di villaggi, in realtà non sono altro che piccole comunità di allevatori di pecore: poche case in legno e alcune fattorie abitate solo durante il periodo della tosatura; niente negozi né stazioni di servizio.
Lungo la strada vecchi carri in legno abbandonati ricordano il tempo in cui i primi coloni si addentravano nel bush alla ricerca di pascoli e acqua.
Un primo importante incrocio (Yardea-Moonaree, proseguire per Moonaree), si incontra dopo 150 chilometri di viaggio.
Sulla sinistra compare e scompare, tra basse colline e alte acacie, il bianco profilo del lago Gairdner; ma è solo dopo 30 chilometri, superate le rovine di una casa coloniale in mattoni, che le tracce biancastre di un piccolo fiume in secca fanno presagire la vicinanza del grande bacino (punto GPS: 32°07,350′ Sud – 135°53,671′ Est).
Lasciata la strada principale, si entra nel bush. Qualche buca, un torrente in secca, una stretta pista che costeggia un antico recinto, i vecchi pali del telegrafo ormai in disuso e poi, uscendo dalla boscaglia, ecco comparire l’immensa distesa di sale del lago Gairdner. Un cartello ricorda che è molto pericoloso avventurarsi sulla superficie, soprattutto in auto ma anche a piedi. Sotto uno strato cedevole di sale c’è infatti un terreno umido e argilloso che, esposto al vento e alle alte temperature, secca rapidamente imprigionando tutto ciò che vi sprofonda.
Meglio non rischiare e godersi le belle passeggiate sulle colline circostanti per osservare e ammirare le isole di terra rossa che spuntano dalla distesa biancastra: uno spettacolo davvero indimenticabile.Dormire nel deserto, in un silenzio rotto solo dal fruscio del vento, con un cielo così fitto di stelle che si può leggere un libro senza alcuna luce, è un’altra delle esperienze che offre questo ambiente.
All’alba, la natura si risveglia e decine sono gli animali che escono da tane e rifugi, soprattutto canguri che migrano alla ricerca di bacche e foglie fresche.
Lasciate le sponde del lago, si ritorna sulla pista per proseguire fino a Kingoonya, 180 chilometri più a nord, passando vicino ai laghi salati di Everard e Harris.
Numerosi cancelli, tredici per la precisione, sbarrano la strada in corrispondenza di larghe griglie metalliche poste a terra. Questi sbarramenti segnano il confine tra un podere e l’altro e impediscono la migrazione di pecore, mucche e canguri; ma soprattutto impediscono ai dinghi, piccoli e veloci cani del deserto, di predare agnelli e vitelli.
Anche se alcune guide indicano a Kingoonya la presenza di un distributore, meglio non farci affidamento perché spesso le cisterne sono a secco.
Un desolato caravan park, un misero spaccio di generi alimentari con annesso motel e un casello ferroviario che controlla un tratto della Trans Australian Railway, la linea ferroviaria che collega Adelaide con Perth, sono gli unici segni di vita. Per il resto, case semiabbandonate nascoste nel bush.
Dopo circa 50 chilometri si ritrova la nazionale A87, anch’essa asfaltata, ma bisogna percorrerla per altri 200 prima di trovare un distributore e qualche negozio. Quando cioè si arriva a Cooper Pedy, il più grande centro di estrazione dell’opale, ed è come raggiungere un porto dopo una lunga traversata in barca.
L’attività mineraria ebbe inizio nel 1915 quando Willie Hutchinson scoprì la prima vena della preziosa pietra dai riflessi iridiscenti. Ma le difficili condizioni ambientali (spesso qui si registrano oltre 50° di temperatura e violente tempeste di sabbia) frenarono la corsa alla ricchezza costringendo i minatori a insediarsi sotto terra.
Nel 1960 Coober Pedy conobbe un rilancio con la scoperta di nuovi giacimenti e da allora la città ha conosciuto un graduale incremento fino agli attuali 4.000 abitanti. Ciascuno di loro possiede praticamente una concessione di scavo, perché le grandi aziende non hanno mai trovato conveniente sfruttare quei giacimenti e le imprese sono pertanto individuali. La vita, però, continua a svolgersi quasi tutta underground: abitazioni e alberghi, persino piscine, bar e centri commerciali crescono insieme alle gallerie.
All’aperto si trovano solo alcuni negozi di souvenir, un supermercato, qualche motel con aria condizionata tenuta al massimo, due distributori di carburante, un paio di caravan park (con piscina) e i rottami di una grande astronave, abbandonata da una delle troupe di cineasti che annualmente scelgono questa remota base terrestre per girare scene di fantascienza.
Lasciato alle spalle il simbolo di Coober Pedy, un camion utilizzato per l’estrazione dell’opale, si ridiscende verso sud per alcuni chilometri per poi lasciare la A87 e prendere la William Creek Road in direzione Maree, la pista che attraversa il deserto centrale per raggiungere le montagne del Flinders Ranger. Intorno, solo sabbia, rocce e qualche sporadico cespuglio.Dopo 164 chilometri, superato il villaggio fantasma di William Creek, si raggiunge il bivio che porta al lago Eyre (punto GPS 28°56,824′ Sud – 136°23,634′ Est), uno dei più grandi laghi salati del South Australia dove, negli anni ’60, Donald Campbell tentò di battere il record di velocità su ruote.
All’ingresso della pista che conduce al lago è presente un posto di registrazione nel quale bisogna compilare un modulo e pagare, imbucando la busta in un’apposita colonnina, 10 dollari australiani. Non c’è nessuno che controlla, ma è importante farlo per segnalare la propria presenza alla pattuglia di ispezione e contare sul suo aiuto in caso di necessità.
Si percorrono ancora 70 chilometri prima di raggiungere le sponde del lago; ma niente terra rossa e alberi dalla rinfrescante ombra, come nel bush: soltanto sabbia bianca, piccoli cespugli e un bagliore accecante. Lo spettacolo è davvero suggestivo, soprattutto al tramonto, quando si alza una leggera brezza che mitiga la temperatura infernale.
L’inquinamento luminoso in questa parte della regione è così basso che il cielo offre uno spettacolo inimmaginabile. Oltre alla Via Lattea e alla mitica Croce del Sud, si vedono chiaramente due nebulose così fitte di stelle da sembrare nuvole. La luna si staglia così nitidamente che basta un binocolo per distinguerne i crateri.
Tornati indietro e ripresa la pista principale in direzione Marree, dopo circa 100 chilometri si avvistano alcune collinette alte qualche metro sulla piatta distesa desertica (punto GPS 29°26,829′ Sud – 136°51,488′ Est). Sono le bubbles, crateri formati dall’acqua salmastra che sgorga dal sottosuolo in collegamento con il lago Eyre.
Raggiunta Maree, la pista diventa una strada ampia, ben battuta e livellata; e 80 chilometri dopo, a Lyndhurst, inizia l’asfalto.
A Leigh Creek, un piccolo ma grazioso paese sullo stile dei vecchi villaggi di pionieri, deviando a sinistra su una strada in terra battuta si arriva al Gammon National Park, cuore roccioso e montagnoso del deserto.
Gli emù, parenti stretti degli struzzi, e i canguri tornano ad attraversare la strada: segno che il deserto è ormai finito.
Altri 50 chilometri di guida rilassata, tra colline che man mano diventano ripide pareti rocciose, e un cartello indica l’ingresso al caravan park della comunità aborigena di Iga Warta. E’ una tappa da non perdere.
Il campo è ben attrezzato con servizi, ristorante casalingo, una piccola piscina e diverse aree adibite alla conoscenza della cultura aborigena: c’è la zona dove si impara a costruire un boomerang, quella dove si studia il comportamento di canguri e wallaby (piccoli canguri delle montagne), e la zona del fuoco attorno al quale ci si ritrova la sera ad ascoltare i canti e le storie della comunità locale. Per cena, seduti ai tavoli del terrazzo della grande casa comune, si degustano piatti tipici e improvvisazioni all’europea, come le lasagne al sugo di carne di canguro o i maccheroncini al forno con emù.
Di giorno, accompagnati da Cliff, il capo aborigeno, si percorrono a piedi le valli circostanti per visitare le pitture rupestri. Oppure si segue un suo fratello nei boschi, alla scoperta delle piante medicinali e dei segreti del bush.
Si riprende il viaggio sullo sterrato fino a Balcanoona, dove si devia verso l’Arkaroola Mount Pinter Sanctuary, un attrezzato centro naturalistico con guide che accompagnano i visitatori lungo altri sentieri del Gammon National Park.
Tornati a Balcanoona si prosegue, sempre su pista, fino a Wirrealpa, Blinman e Parachilna, dove un piccolo ma ben attrezzato caravan park accoglie i visitatori nel suo grande old style country saloon, con birra fresca e gustosi piatti di carni e verdure alla griglia.
A Parachilna si lascia lo sterrato e si prosegue sulla statale B47 per far rientro (passando da Hawker, Orroroo, Peternorough e Burra) nella popolosa e moderna Adelaide.

PleinAir 367 – febbraio 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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