Sacro Vulture

Le tradizionali Viae Crucis di Atella e Barile, alle falde del Vulture, sono anche l'occasione per visitare in camper i centri storici della zona, in particolare Venosa, e uno dei più rilevanti giacimenti preistorici della Lucania.

Indice dell'itinerario

Come tanti altri della regione, Barile, piccolo borgo, di origine albanese, si presenta con le case arroccate in cima alla collina, alta seicento metri. Vi arriviamo per assistere alla tradizionale Via Crucis del Venerdì Santo. Ma a beneficio dei lettori occorre premettere che nel vicino paese di Atella un’analoga rappresentazione si tiene, ad evitare accavallamenti, il pomeriggio del giovedì. E Atella merita una sosta (ampio parcheggio presso Porta Melfi) anche per ammirare la zanna di elefante preistorico rinvenuta proprio nel luogo dove si “replica” la Crocifissione.
Quello che colpisce subito sono le numerose cantine scavate nel tufo del costone sottostante il centro abitato, chiuse da colorati portoni in legno. Queste caverne naturali, un tempo abitate dai primi profughi albanesi, sono oggi divenute depositi dell’Aglianico del Vulture, il famoso vino DOC, che in queste grotte trova la temperatura e il grado di umidità ideali per la conservazione.
Conviene arrivare con buon anticipo per trovare posto nei piccoli parcheggi sparsi, poiché l’unica piazza disponibile, a causa della manifestazione pomeridiana, è chiusa al traffico.

L’altro personaggio pagano della via Crucis è il Moro
L’altro personaggio pagano della via Crucis è il Moro

A Barile si usa che dal 19 marzo, ogni sera e fino alla notte del Giovedì Santo, i giovani facciano squillare le trombe sotto le finestre di coloro che vestiranno i panni dei personaggi principali della Via Crucis. E che a rappresentare la figura del Cristo sia un giovane che già dal mese prima abbia iniziato un periodo di digiuno e meditazione.
Queste consuetudini sono antiche quanto la processione stessa, che sembra risalire al 1627. In essa l’insieme dei personaggi pagani e cristiani sta a significare il legame tra fede, storia e tradizione.
Il lunghissimo corteo percorre tutto il paese con centoventisei partecipanti che compongono venticinque quadri, e tali sembrano per l’assoluta rigidità che assume chi interpreta la Samaritana, la Veronica e Maria Addolorata. Tra i tanti personaggi della tradizione ebraica come il Cireneo, Caifa, Pilato e San Pietro, qui emergono, in modo particolare, due figure senza precise motivazioni storiche ma in stretta relazione con la tradizione pagana locale: il Moro e la Zingara.
Il primo, con abiti orientali impreziositi da collane, il capo ricoperto da un alto turbante, gioca con un ragazzo più piccolo, moro anch’egli.

La zingara, personaggio pagano della Via Crucis di Barile
La zingara, personaggio pagano della Via Crucis di Barile

La Zingara rappresenterebbe la lussuria o colei che fornì i chiodi per la crocifissione o, ancora, l’alterigia poiché procede allegramente infischiandosene di quanto accade intorno. Il suo costume e quello della bambina che l’accompagna sono letteralmente ricoperti d’oro: collane, bracciali, anelli, spille e orecchini, tutto quanto le famiglie del paese sono riuscite a racimolare per un temporaneo prestito. Le luccicanti fortune , scortate da un buon numero di carabinieri, sono meglio esibite nei passi di danza che le zingare accennano lungo il percorso. Ma i momenti salienti della rievocazione sono le cadute di Gesù che avvengono in posti predeterminati: il numeroso pubblico, incurante degli sbarramenti, circonda completamente la scena interrompendone per un attimo la compostezza.
Il rientro del corteo in chiesa e la restituzione dei monili d’oro ai legittimi proprietari conclude la cerimonia mentre il pubblico si disperde tra le mostre d’arte e di artigianato allestite lungo il corso principale.

 

Pasqua da leoni

Il castello di Venosa con la piazza antistante
Il castello di Venosa con la piazza antistante

L’ultima tappa pasquale è riservata a Venosa. Molte possibilità di parcheggio sono offerte dalle piazze della città; un’area comunque più appartata si trova sulla strada che conduce all’albergo Il Guiscardo, distante duecento metri da Piazza Castello.
Ed è proprio da qui che iniziamo la nostra visita.
Per guarnire una zona ritenuta indifesa, venne realizzato a partire dal 1470 il Castello Del Balzo Orsini, che portò all’abbattimento dell’allora esistente cattedrale. Nei secoli successivi lavori di ampliamento e ammodernamento hanno continuamente variato l’aspetto e mutate le destinazioni del forte finché il Comune, sul finire dell’800, non l’acquistò dall’ultimo proprietario per adibirlo a scuole, sede di partiti e case popolari.Dopo il terremoto dell’80 la Sovrintendenza Archeologica ne ha curato il restauro destinandolo, da allora, a contenitore culturale. Infatti, oltre ad ospitare la stessa Sovrintendenza, la Biblioteca Civica e il Museo Archeologico, viene utilizzato per mostre e convegni.
Il museo, sistemato nei sotterranei di due torrioni, raccoglie in ordine cronologico i reperti che vanno dal periodo romano a quello medioevale. Tra questi, i cippi di Banfi (provenienti da un tempio dove i magistrati si recavano per interrogare il volo degli uccelli), gli arredi funerari, i contrappesi da telaio con iscrizioni in lingua greca e messapica, le cinture, gli orecchini e le collane longobarde, insieme con le monete in bronzo che erano coniate nella stessa Venosa.

Uno dei numerosi leoni in pietra che popolano il centro storico di Venosa
Uno dei numerosi leoni in pietra che popolano il centro storico di Venosa

Ma il pezzo più importante è la testa in marmo – unica copia di età romana rinvenuta in Basilicata – raffigurante un atleta con la fascia del vincitore sulla fronte. Trafugata subito dopo il suo ritrovamento avvenuto nel 1956, è stata restituita alla città, dal Museo Paul Getty di Malibu, nel corso di una manifestazione pubblica lo scorso anno.
Percorrendo le strade di Venosa si è colpiti dalla moltitudine di leoni che circolano in città. Quasi ogni angolo, fontana o monumento ne è adornato con sculture provenienti da arredi funerari o dall’anfiteatro romano. Lavorati in pietra locale, sono raffigurati con la testa di un montone tenuta ferma sotto la zampa a voler significare la potenza della città.
Ma anche molti edifici privati hanno muri che inglobano materiali e reperti di spoglio. Come dice la signora Orlando della Sovrintendenza, è il nuovo che ha mangiato l’antico .
Il corso principale, Via Vittorio Emanuele II, è un susseguirsi di testimonianze storiche: il Palazzo del Balì, che fu sede dei Cavalieri di Malta, la fontana di Messer Oto del 1200, recentemente restaurata, che presenta le pietre del bordo consumate dalle donne che vi lavavano i panni, la cattedrale e la presunta casa di Orazio, ora proprietà comunale, un ambiente semicircolare con i tipici impianti termali romani.

In fondo alla strada, appena fuori città si raggiungono l’anfiteatro romano, il parco archeologico e il meraviglioso complesso della chiesa della Santissima Trinità, preannunciato dal campanile a vela realizzato dai Cavalieri di Malta.
L’importante edificio è un compendio di interventi costruttivi ad opera di Longobardi, Svevi e Normanni. Pertanto si distinguono la Chiesa Vecchia, il palazzo abbaziale con la foresteria, il monastero e la Chiesa Nuova (o Incompiuta). All’interno della Chiesa Vecchia, tra i tanti affreschi di santi, ce n’è uno raffigurante Giuseppe Caccia e Gerolamo Barba, membri dell’Ordine dei Cavalieri di Malta entrambi di Novara. Tra le navate l’attenzione è richiamata dalla tomba degli Altavilla con i resti di Roberto il Guiscardo e di Aberada, la sua prima moglie, ripudiata.
Ma quello che più colpisce è la poderosa struttura della Chiesa Nuova che lascia intravedere di quale portata sarebbe stata l’opera. Ricorda quella di San Galgano in Toscana, ma qui gli spazi sono addirittura amplificati, tra innumerevoli frammenti di storia romana, medioevale ed ebraica.

 

Notarchirico

Rampolla può essere considerato un prototipo dei borghi collinari del Vulture
Rampolla può essere considerato un prototipo dei borghi collinari del Vulture

La visita al sito archeologico di Notarchirico, circa 9 chilometri fuori città, è il miglior commiato da Venosa. Come ci dice la nostra guida, la signora Mollica della Cooperativa Il Vulture, questo è unico museo in situ d’Europa, cioè con i reperti rimasti nel luogo di ritrovamento.
Le eruzioni del Monte Vulture nel corso di migliaia d’anni hanno continuamente modificato il territorio. La lava ha modellato le vallate, le ha ostruite, ostacolando il normale scorrimento dei fiumi. Ed è proprio l’alternarsi dei sedimenti fluviali e lacustri con i depositi vulcanici che ha permesso la conservazione delle tracce di vita.
Nell’undicesimo livello di scavo, che un tempo era il letto del fiume, sono stati portati alla luce i resti fossili di un elefante vissuto presumibilmente cinquemila secoli fa. Sono evidenti le due zanne, il molare superiore, la mandibola, un frammento di bacino e una vertebra. Si suppone che il giovane esemplare fosse probabilmente già ferito quando venne macellato dall’uomo per nutrirsi delle parti molli, proboscide e lingua. La presenza umana è testimoniata, invece, da pietre scheggiate per la lavorazione delle pelli e da un femore femminile.
La località è raggiungibile con il proprio v.r., ma è necessario prenotare le visite presso il Museo Archeologico che le organizza soltanto per gruppi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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