Visita in camper al Sacro Monte di San Vivaldo

Quello di San Vivaldo è un Sacro Monte a parte: non ha subito l'influenza ideologica della Controriforma e ha conservato l'impianto originario

Indice dell'itinerario

Chi cerca San Vivaldo di Montaione sulla carta stradale lo trova al centro di una regione ricchissima di attrazioni. Basta un elenco delle località a breve raggio per farne la ciliegina di una torta turistica davvero succulenta: San Gimignano, Volterra, Certaldo, Monteriggioni, Colle Val d’Elsa, per non dire di Siena e Firenze. Ma in più c’è la motivazione della scoperta. La stessa fama del circondario ha contribuito a isolare l’unicità di un’opera sconosciuta ai più, oltre che l’integrità di un ambiente naturale frequentato per secoli da romiti, poi sede di una chiesetta dedicata a San Vivaldo e infine di un convento coevo del Sacro Monte.

Nelle intenzioni del padre francescano Tommaso da Firenze, di ritorno dall’Oriente alla fine del ‘400, il sito si prestava per riproporre fedelmente – pur se in piccolo e con un diverso orientamento – i principali luoghi sacri della cristianità. Una Nuova Gerusalemme, insomma, anch’essa come a Varallo Sesia meta succedanea del pellegrinaggio in Terrasanta. L’idea riscosse l’entusiasmo dei fedeli e la realizzazione, iniziata nel 1500, fu portata a termine in soli quindici anni.

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La storia del Sacro Monte di San Vivaldo

Dislocate nel bosco di un colle prossimo al convento, si contavano all’epoca sedici cappelle maggiori e diciotto minori; molte però sono andate perdute per smottamenti e incendi e oggi se ne visitano in tutto diciassette. Ma si sono conservati intatti il carattere rinascimentale degli edifici superstiti e quello degli elementi descrittivi, dipinti e rilievi in terracotta di scuola robbiana (Giovanni della Robbia e Benedetto Buglioni).

A differenza degli altri Sacri Monti qui le figure e le scene non sono a grandezza naturale, ma in scala ridotta; alcune di buona mano e altre di sapore popolare, sono tutte di grande impatto emotivo e in alcuni casi di sconcertante modernità, tali da entusiasmare lo storico dell’arte Eugenio Battisti che non esita a definire San Vivaldo “il più grande complesso statuario d’Italia”.

La visita inizia subito accanto al parcheggio, dal tempietto dell’Ascensione aggiunto nel XVII secolo. Poco oltre, fra gli alberi, la prima delle cappelle originarie è la Casa di Pilato con le rappresentazioni della Flagellazione, del Cristo deriso e dell’Ecce Homo. Quindi, la via dolorosa prosegue secondo il racconto evangelico fino al tempietto del Calvario, dove un espressionistico gruppo di pie donne osserva da un vano ribassato un’intensa Crocifissione. Seguono le cappelle del Carcere, del Noli me tangere e del Santo Sepolcro, questa direttamente mutuata dal modello vero anche se in seguito rimaneggiata.

Le restanti cappelle, tra cui le Case di Caifa e del gran sacerdote Anna, l’Annunciazione, la Fuga in Egitto, il Pozzo della Samaritana, esulano dalla cronologia della Passione ma ricordano altri episodi evangelici secondo la localizzazione in Palestina. La più importante, la cappella del Cenacolo, custodisce quattro rappresentazioni: la Lavanda dei piedi, l’Istituzione dell’Eucarestia, la Pentecoste e l’Incredulità di San Tommaso. A pochi passi, infine, una sosta nel museo da poco allestito aiuta a ricostruire le origini del Sacro Monte in rapporto alle analoghe realizzazioni.

Testo e foto di Albero Galassetti

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