Ritorno in Estremadura

La Mecca dei naturalisti d'Europa è nel cuore della penisola iberica, dove il camper sfila sotto voli di avvoltoi, tra campagne ancora regno di pecore e pastori, attraversando paesi e piccole città popolate di falchi e cicogne. Per chi vuole mostrare ai propri figli com'era la terra dei loro nonni, per chi cerca bellezza e riposo fuori da ogni itinerario del turismo di massa, PleinAir torna a documentare dopo sette anni questa meta d'eccezione.

Indice dell'itinerario

Il giorno della gru cade quest’anno il 5 dicembre. Ogni anno qualcosa come cinquantamila eleganti trampolieri hanno ormai lasciato le aree di riproduzione in Scandinavia, Polonia, Germania e Russia per un viaggio lungo fino a 2500 chilometri. Vengono a svernare qui, in Estremadura, e ad attenderli c’è una terra ospitale ma pure un esercito di ornitologi, birdwatcher e semplici appassionati degli spettacoli naturali. Tutta per loro è una giornata d’inverno, organizzata dall’associazione ambientalista Adenex, con visite guidate in quattro riserve appositamente create, campagne informative, osservazioni d’eccezione. Il convento delle cicogne, invece, è subito a sud di Brozas – pur se un movimento di operai e autocarri ci fa pensare che lo resterà ancora per poco. La volta sfondata della chiesa, dove un tempo si saranno alzate chissà quali lodi al cielo, incornicia oggi voli continui di uccelli. Sul tetto covano ciascuna sul proprio enorme nido almeno una dozzina di coppie di cicogne. Seguono con lo sguardo inespressivo la danza dei fotografi tutt’intorno (quanti rullini esposti in pochi quarti d’ora!), battono i becchi secondo riti codificati, si alzano in volo lasciando penzoloni le lunghe zampe rosse. In quest’incredibile condominio nidificano anche qualche decina di falchi grillai, e poi taccole, rondini, storni neri. Quanto all’appuntamento ideale con aquile e avvoltoi, nell’intera Europa, è ancora al Castillo di Monfragüe. Affacciati alla vecchia torre, i grandi rapaci non solo si vedono sfilare ma pure si sentono, riuscendo talvolta a cogliere il fruscìo del vento sulle ali più grandi che solcano i nostri cieli. E’ un’esperienza che da sola, come dicono le guide, “merita il viaggio”.
Tre immagini: servono a introdurre appena la natura mediterranea più emozionante del continente. E a mandar giù finalmente il magone e scrivere che sì, sette anni dopo, nonostante i timori della partenza tutto o quasi è rimasto come prima. La regione più appartata e genuina della penisola iberica, il Cuore di Spagna come titolava l’ormai lontano PleinAir n. 248, è ancora e più che mai la meta di un viaggio straordinario nella natura di un’Europa che va scomparendo. L’ultimo paradiso per la nostra fauna. Un album d’immagini su un mondo contadino che è stato anche il nostro, fino a qualche decennio orsono. A condurre il camper sin laggiù si ritorna carichi di foto ricordo ma pure di sorrisi, regalati ai bordi d’una stradina tra i campi.
D’immagini emozionanti di animali in via di estinzione, ma pure di asini e muli, cani, maiali (i famosi cerdos ibericos a pelo scuro).

Natura umanizzata
In Estremadura non cercatela, la wilderness: quasi non c’è. Le immense foreste di querce che ricoprivano la regione al tempo della conquista romana non ci sono più, e secoli di tagli, incendi, coltivi hanno pressoché ovunque – anche dove non sembra – lasciato traccia. Non ci sono poi alte montagne, piuttosto colline talvolta tagliate da rupi e distese aperte. Confinata entro i rilievi della Spagna centrale (Castilla) e la Sierra Morena (Andalusia) a sud, tra la Mancha e il Portogallo, l’Estremadura comprende al più le modeste sierras di Villuercas, Montanchez e San Pedro ed è attraversata da est a ovest da due grandi fiumi, il Tago e il Guadiana. Eppure qui sopravvive una fauna straordinaria, che annovera animali altrove scomparsi da tempo, e che soprattutto si rende anche visibile per il godimento non di pochi informati e pazienti specialisti ma di ogni turista che vi giunga, senza troppe difficoltà. Qual è dunque il motivo di una biodiversità a tal punto unica a sorprendente? Naturalmente è più d’uno, ma al primo posto possiamo metterci – alla fin fine – la bassa densità di popolazione. In una superficie di 42.000 chilometri quadrati vive circa un milione di persone. E’ come se gli abitanti di Napoli avessero a disposizione tutte per loro due regioni come la Toscana e il Lazio. Così, la densità (25 ab./kmq) è inferiore di quasi cinque volte a quella media europea e di ben otto a quella italiana. Le stesse città più importanti – da Badajoz a Cáceres, da Merida a Plasencia – non arrivano a contare gli abitanti di un qualunque quartiere romano. Ai fini della ricchezza di vita animale conta poi molto la varietà ambientale, che comprende appunto un alternarsi di rilievi e pianure, coltivi e corsi d’acqua, pascoli e dirupi. Quanto all’agricoltura, qui ancora impiega una percentuale della popolazione attiva (18,4%) quattro volte maggiore della media europea, ed è condotta con l’utilizzo di fertilizzanti proporzionalmente più basso della Spagna. Oltre agli enormi campi di cereali, di grande importanza per alcune specie assai rare di uccelli, il paesaggio agricolo più caratteristico è quello della dehesa. Si tratta di una savana artificiale, creata dall’uomo diradando la querceta originaria, pullulante di vita animale (soprattutto picchi, upupe, gazze azzurre, gruccioni e così via) e che sovente crea scorci di bucolica bellezza. La produzione di legname viene assicurata dalle potature, finalizzate ad allargare le chiome degli alberi per aumentare l’ombreggiatura, preziosa in una terra alquanto assolata. Quanto al suolo, viene coltivato a cereali o più spesso è lasciato al pascolo di bovini, pecore oppure maiali che si cibano direttamente delle ghiande delle querce.
Gli attentati al paesaggio li ha conosciuti anche l’Estremadura, naturalmente, e non sono finiti. Primo fra tutti l’invasione degli eucalipti, iniziata a partire dagli anni ’70. Voluta per fornire legname a crescita rapida a nuovi insediamenti di industrie cartiere, ha causato la sostituzione di ampie fasce dell’originaria foresta mediterranea con un bosco assai poco ospitale per fauna e flora, per di più causa di dissesto idrogeologico. E prima ancora, a modificare profondamente ampi scorci della campagna estremegna ci avevano pensato i laghi artificiali, gli embalse, realizzati negli ultimi cinquant’anni sbarrando a fini idroelettrici tutti i principali fiumi della regione a cominciare dal Tago. Oggi è più in generale lo sviluppo economico della regione, uno dei più marcati nella Spagna degli ultimi quindici anni, a rendere prevedibili nuove modificazioni ambientali. Alla centrale nucleare di Almaraz (secondo gli ambientalisti l’Estremadura consuma meno del 10% dell’energia che produce, subendo però i rischi legati alla presenza di un impianto che non sarebbe tra i più sicuri) promette di aggiungersi presto la linea dell’Alta Velocità Madrid-Lisbona, ancora in via di progettazione. Sono le grandi opere necessarie, secondo il governo, a rompere il secolare isolamento della regione e ad innalzare il tenore di vita dei residenti, come l’autostrada che adesso conduce sin qui dalla capitale in poche comode ore di guida.
Nel frattempo si fa largo timidamente il turismo, ancora ai primi passi e appannaggio quasi esclusivo degli spagnoli stessi. Nello scorso agosto, mese anche qui di maggior movimento turistico, hanno visitato la regione 250.000 visitatori di cui il 90% spagnoli: non certo molti, ma pur sempre tredicimila in più dell’anno passato. L’iniziativa privata però ancora langue e si ricorre agli investimenti pubblici per sviluppare il settore. Così a giugno è stato inaugurato in pompa magna un nuovo villaggio turistico a Castañar de Ibor, dove la giunta regionale ha speso oltre 240 milioni di pesetas (più di due miliardi e mezzo in lire) in piazzole per tende e caravan, ristorante, supermercato, piscina e tutto il resto (il villaggio si trova circa un chilometro fuori dal centro abitato, lungo la strada Ex-118 in direzione Bohonal de Ibot). E aiuti pubblici giungono pure per sostenere altre forme di utilizzo ecologicamente sostenibile del territorio, come l’agricoltura estensiva e l’allevamento di qualità, in particolare del maiale iberico. Con l’obiettivo, per quest’ultimo, di stimolare la sua diffusione sui mercati alimentari anche stranieri mediante l’introduzione del marchio di origine Dehesa de Extremadura.
Decisamente stentata invece sembra la politica per le aree naturali protette, che attualmente può contare su due parchi (Monfragüe e Cornalvo), una riserva (Garganta de los Infiernos) e tre monumenti naturali (Mina de la Jayona, Cueva de Castañar e Los Barruecos) per un totale di 35.000 ettari, cioè nemmeno l’uno per cento della superficie regionale. C’è poi da mettere in conto la radicata diffusione locale della caccia, anche in aree di eccezionale pregio come ad esempio la Sierra de San Pedro dove vivono lupi, linci e aquile. D’altronde la diffusione di ambienti naturali e seminaturali da un lato e la scarsa pressione antropica dall’altro sono tali che la presenza di una rete estesa di parchi probabilmente aggiungerebbe poco all’esistente. Come a dire che l’Estremadura, almeno per ora, si difende da sola con un’agricoltura diffusa e leggera che assieme ai suoi ricavi pone al sicuro tutto un mondo di piante, animali, ambienti e relazioni ecologiche altrove nel Vecchio Continente ormai ricordo del passato. Se questa alleanza strategica reggerà in futuro è difficile dirlo, certo il turismo responsabile può fare la sua parte. Se i figli dei pastori di ieri vedranno nel turismo sostenibile – agriturismo, escursioni nel verde, riscoperta dei sapori e delle tradizioni locali, e così via – la via del riscatto sociale ed economico per l’oggi, anche per i grifoni e le aquile dell’último paraíso continuerà ad esserci un domani. Altrimenti sarà l’estinzione assieme a pecore, steppe e un’intera millenaria cultura contadina: e quella dell’ultima grande fauna selvatica d’Europa non sarà certo la perdita più grave.

PleinAir 329 – dicembre 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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