Ragazzi, si gira!

A metà luglio il paese salernitano di Giffoni Valle Piana ospita un celebre festival internazionale dedicato al cinema per i giovanissimi: è lo spunto per andarsene a zonzo dai Monti Picentini alla valle del Sele fra borghi, santuari, castelli, aree protette e grotte straordinarie.

Indice dell'itinerario

Dai primi rilievi collinari dei Monti Picentini il mare, quando si riesce a vederlo, è soltanto lo sfondo azzurro di un quadro che ha come primo piano i territori a sud di Salerno, dove gli Alleati sbarcarono nel 1943. Sono le stesse sponde su cui le genti che i Romani avevano deportato dalle Marche (allora Picenum) verso il 268 a.C. fondarono la città di Picentia, si ritiene nei pressi della foce del Picentino che sarebbe loro servita da porto. Nella sconfitta romana di Canne essi videro la buona occasione per dare man forte ad Annibale, il che a tempo debito fruttò loro una durissima punizione; un secolo più tardi, in seguito a una seconda ribellione a Roma, Silla rase al suolo la città, gli abitanti furono sterminati e i superstiti dispersi nel territorio. Gli odierni abitanti del Giffonese, il territorio da cui inizia questo nostro itinerario, se ne considerano i discendenti.
Nel salire dalla costa o dall’autostrada verso Giffoni Valle Piana, poco distante dai grandi assi stradali ma in posizione appartata, si attraversa un ambiente verdeggiante inframmezzato dai noccioleti (che producono la pregiata tonda di Giffoni) e incorniciato dalle propaggini dei Picentini. Il paese si compone di numerose frazioni che ne sottolineano la remota vocazione agricola, ma è Mercato, il nucleo maggiore e sede comunale, che viene indicato nell’uso corrente come Giffoni Valle Piana. Per la sosta, almeno fuori dal periodo in cui si svolge l’ormai noto festival cinematografico che prende nome dalla località stessa, risulta comodo il parcheggio situato ai piedi dell’ex convento di San Francesco, fondato nel ‘300 e restaurato insieme al luminoso chiostro ad archi gotici con affreschi; fino ai primi dell’800 conservava un aculeo che sarebbe appartenuto alla corona di spine di Cristo, poi trasferito nella chiesa dell’Annunziata dove, in date prestabilite, viene esposto ai fedeli. Il bel complesso è efficacemente utilizzato anche nelle manifestazioni connesse con la celebre rassegna.
Sul colle conico alle spalle di Giffoni si distendono a mezza costa le case del borgo di Terravecchia, e in cima i resti di un vecchissimo castello che dovette avere un non trascurabile ruolo strategico: l’imperatore Federico II ne dispose già nel 1240 il restauro, facendone per qualche tempo la propria residenza. Oggi le abitazioni sono oggetto di un programma di recupero e valorizzazione ideato dal Comune, che oltre a prevedere la costituzione di un osservatorio per la salvaguardia delle tipicità alimentari, un centro di formazione e la possibilità di svolgervi manifestazioni culturali, fornirà ospitalità con settanta posti letto in buona parte già realizzati. Si posteggia nella piazzetta che apre l’abitato, dove una tabella riporta la topografia del sito e i sentieri che permettono di salire fino al castello: dalle sue mura, ancor più che dal borgo, vastissima la veduta sui colli e verso il Tirreno.
Proseguiamo in direzione nord lungo la provinciale tra Giffoni e Serino, che corre nel Parco Regionale dei Monti Picentini risalendo una valle montuosa fino a superare un piccolo passo sui 900 metri, per poi discendere nella valle del Sabato. Sfiorate nel primo tratto alcune frazioni isolate, appare fra i cipressi il santuario quattrocentesco di Santa Maria di Carbonara, che nel 2006 è tornato ad essere stabilmente abitato da frate Attilio dell’ordine dei Serviti. Il luogo è frequentato specialmente a maggio e il martedì di Pasqua, quando sui prati sottostanti si ripete la singolare consuetudine del tiro al caciocavallo cui si partecipa con “fucili da caccia ad anima liscia, ad avancarica o con archi e frecce” (l’origine della tradizione si riallaccerebbe ad antichi riti pastorali volti a contrastare i nefasti influssi delle streghe sul latte): si paga una tassa per ogni tiro e si porta a casa la forma che si è riusciti a cogliere.Continuando la salita, un accenno di sentiero sulla destra porta in pochi metri a una fredda sorgente e più in alto merita la sosta una piccola area picnic con segnale CAI, circondata da assi di legno. Appena al di sotto alcune tracce di un interessante episodio di archeologia industriale: lo sfruttamento dei calcari ittiolitici creati nel Triassico superiore dal deposito dei resti di pesci sui fondali di una laguna. Agli inizi del ‘900 fu realizzato un villaggio minerario dove l’estrazione degli scisti e la produzione farmaceutica dell’ittiolo durò fino a metà del secolo, e nel corso di quest’anno dovrebbe entrare in funzione un parco geopaleontologico.
Superato il passo, quando i faggi hanno già ceduto il posto ai castagni, un’inversione a centottanta gradi sulla destra segna l’inizio della strada di fondovalle del Sabato, che ci porterà alla Civita di Ogliara, sovrastata da colli boscosi. Sorprendente la cinta muraria rimasta in eccellente stato dopo tredici secoli, a segnare il margine di un basso sperone che presenta un ingresso guardato da torri e racchiude oggi un ampio castagneto. Al di là di fantasiose corrispondenze con la romana Sabatia, è difficile dubitare che qui si trattasse di un presidio longobardo destinato, tra VIII e IX secolo, a proteggere dagli attacchi da sud la città di Benevento. Un’intrigante conferma viene dalla carta geografica: la nostra Civita sorge infatti lungo l’alto corso del Sabato che nel suo fluire, dopo aver toccato l’altro nodo longobardo di Abellinum, sfiora proprio l’abitato dell’antica capitale Beneventum, e l’intelligenza militare dei capi longobardi non poteva certo tralasciare di munire con un proprio castrum l’altra estremità di quel breve corridoio.
Tornati sui nostri passi, anche i comuni a ponente di Giffoni Valle Piana meritano qualche giornata di tranquillo vagabondare. Giffoni Sei Casali, con nucleo principale a Capitignano, ha indirizzato i suoi progetti di recupero e valorizzazione sul vecchio borgo signorile di Sieti, gradevole per la sosta e indicato come paese-albergo per la cospicua disponibilità di bed&breakfast. Palazzo Fortunato appartenne agli antenati del famoso meridionalista Giustino, Palazzo de Robertis rappresenta l’evoluzione residenziale di un castello del ‘300, mentre Palazzo Pennasilico rientra nella categoria delle dimore d’eccellenza: una rarità la camera da letto divisa in due ambienti dalle volte a vela, dove i coniugi dormivano separati sotto affreschi dedicati alla Fede (l’uomo) e alla Speranza (la donna).
A San Cipriano Picentino si visita l’eremo sotto roccia di San Magno, per poi raggiungere Castiglione dei Genovesi che ricorda nel nome l’illuminista settecentesco del quale si può visitare la casa natale. Dal paese una strada giunge a mezza costa del Monte Tubenna (una facile passeggiata permette di raggiungere la cima) e al panorama che dall’ex abbazia di Santa Maria si dischiude sul golfo di Salerno fino alla Costiera Amalfitana. Nel territorio di San Mango Piemonte spicca invece, sulla collina di Campigliano, il piccolo maniero merlato di Castel Vetrano, che per l’ottima visuale divenne nel 1868 una stazione dei Carabinieri impegnati nella lotta al brigantaggio.

I colli dell’Ebolitano
I ruderi del castello di Nebilano dominano l’abitato di Montecorvino Rovella. Presso il Comune ci si può informare sulla possibilità di visitare, in frazione Occiano, un’antica chiesa dedicata a Sant’Ambrogio che conserva nell’abside un affresco comprendente anche altri santi meneghini.
D’altro genere i motivi offerti da Acerno, circondato da monti alti fino a 1.800 metri che costituiscono una delle più intatte riserve di bosco di tutto l’Appennino meridionale. Svariate in zona le possibilità escursionistiche, fra le quali il più diretto accesso al Monte Accelica e il trekking Acerno-Salitto lungo il fondovalle del fiume Tusciano (il cui nome parrebbe derivare dal fatto che segnava il limite meridionale della presenza etrusca in Campania).
A sud di Montecorvino, Ariano è la frazione principale di Olevano sul Tusciano dove concordare, anche qui con il Comune, la visita guidata alla Grotta dell’Angelo, la principale attrazione del circondario (noi abbiamo avuto il piacere di effettuarla in compagnia dello studioso locale Giuseppe Strafella, appassionato conoscitore dell’archeologia del sito). Per la sosta e l’eventuale pernottamento converrà proseguire oltre l’accesso principale al paese e, una volta giunti al fondovalle, seguire la stradina lungofiume che ritorna verso la parte bassa dell’abitato, fino al piazzale con fontana antistante la centrale elettrica che, per inciso, sarebbe il luogo ideale in cui allestire un’area attrezzata: parte infatti da qui la vecchia strada di servizio – impraticabile in camper – che dopo 4 chilometri incrocia, di fronte ai ruderi di una chiesa, l’innesto del sentiero da percorrere per una ventina di minuti fino al cancello chiuso dell’antro.La cavità, profonda circa un chilometro e con una larga imboccatura, è dedicata al culto di San Michele Arcangelo che fu fatto proprio dagli invasori longobardi già nel VI secolo, e che da Olevano è tuttora praticato con grande seguito di popolo nella processione dell’8 maggio per accompagnare alla grotta un’effigie del santo in legno dipinto. Nel terreno picchiettato dalle gocce che piovono dalle stalattiti è stato ricavato un percorso a scalini che raggiunge una serie di piccole costruzioni attribuibili ai monaci del vicino Oriente, spinti dall’avanzata dell’islamismo ad abbandonare, dopo il VII secolo, la Siria e l’Egitto. Queste opere dedicate ai defunti erano dette martyria e nella Grotta dell’Angelo se ne trovano di vari tipi, uno di essi ornato sul frontale con un affresco di gusto bizantino, mentre quello più interno è dotato di cupola e presenta forme assai suggestive. Qui e in altre zone elevate del suolo della grotta si trova anche un singolarissimo acquedotto: in corrispondenza dei punti di gocciolamento della volta sono collocati degli orci per raccogliere l’acqua che una canalizzazione sotterranea restituirà più in basso. Ed è giù, non molto lontano dalle soglie dell’antro, che si trova il raro edificio detto La Basilica, piccola chiesa eretta forse verso il Mille e già in origine priva di tetto; in compenso è ricca di affreschi, che decorano absidi e pareti con importanti cicli pittorici discretamente leggibili. Accanto alla cavità principale si trova una grotta minore, detta di Nardantuono, che nel periodo postunitario offrì rifugio alla banda di Antonio Di Nardo, “un diavolone dal guardo scuro e bieco, e il cappello sulle ventitré e tre quarti”: l’astuto brigante non fu mai catturato, semplicemente se ne persero le tracce.
Una panoramica scorciatoia che si imbocca poco dopo la frazione olevanese di Monticelli conduce rapidamente ad Eboli. Da qui si accede anche al parco comunale di San Donato, il cui folto boschetto di latifoglie è attrezzato con un sentiero natura; vi si trova inoltre la vecchia chiesetta dedicata al santo, che il 7 agosto è meta tradizionale degli ebolitani. Ripresa la provinciale e sbucando nella Salita Ripa, ai margini del centro storico si trovano raccolti gli aspetti più caratteristici della cittadina (il v.r. si lascia nel piazzale antistante il santuario di Cosma e Damiano): il quattrocentesco castello che fu dei Colonna ed è tuttora carcere, il convento dei Cappuccini che include la basilica normanna di San Pietro alli Marmi con un bel campanile di chiaro gusto arabo, e in Piazza San Francesco il Museo Archeologico della Media Valle del Sele, modernamente allestito in un ex monastero restaurato.
Sulla statale 19, che prenderemo in direzione di Polla, poco dopo si incontra il bivio per Campagna, arroccata nella gola del Tenza: ma il quartiere Quadrivio, cresciuto ai piedi delle alture, si presenta con l’usuale edilizia abitativa che a tutta prima non rivela l’interesse del nucleo antico. Il camper troverà posto nell’ampio parcheggio degli autobus, lungo la strada che sfiora il margine inferiore dell’abitato: più in alto c’è il corso dove tuttora si svolge il rito del passeggio serale, accompagnato dallo scroscio del torrente che taglia in due il centro storico. Il paese, dal ‘500 sede vescovile, possiede un cospicuo patrimonio di monumenti sacri: eccezionale il soffitto a intagli dorati della chiesa di San Bartolomeo, con dipinti settecenteschi, mentre due cappelle laterali ospitano una Madonna con Bambino e un venerato Cristo del ‘300, seminascosto fra gli ori dell’altare. Nell’annesso convento si fermò Giordano Bruno, che aveva appena preso i voti. Le cripte delle chiese di Campagna sono anche depositarie della tradizione dei “cimiteri dei seduti”, con le spoglie assise su seggi di pietra, come quelli visitabili presso l’oratorio della Confraternita del Santissimo Nome di Dio, in Santo Spirito, o nella chiesa del Monte dei Morti sul fianco della cattedrale, cui si perviene tramite un ponticello sul Tenza. Nella gradevole Piazzetta Guerriero, all’estremità più elevata del corso, il cortese proprietario del Vecchio Caffè è invece la persona indicata per informarsi su una curiosa rievocazione che viene ripetuta più volte tra l’ultima domenica di luglio e Ferragosto: un sistema di paratie crea una piccola esondazione del torrente, le cui acque invadono il corso formando una piccola alluvione pilotata che ora è momento di festa.Attraverso la parte più alta del paese è ben accessibile la strada che conduce in pochi chilometri all’ex convento di Santa Maria d’Avigliano, di origine trecentesca, immerso in un bell’ambiente naturale. La strada continua per una decina di chilometri fino all’Oasi WWF del Polveracchio, montagna di quasi 1.800 metri ricoperta di faggete e praterie sommitali, alla cui visita abbiamo però dovuto rinunciare a causa di una frana che ostruiva il passaggio.
A modesta distanza ci attende comunque un altro ambiente protetto degno di grande attenzione. Dalla già vista frazione Quadrivio parte la strada che, dopo aver sfiorato l’accesso all’autostrada Salerno-Reggio Calabria, passa sotto un ponte e svolta a sinistra verso l’Oasi Naturalistica di Persano: è questo il nostro approccio con il corso del Sele, che seguiremo fino alle sorgenti cominciando da quest’area istituita nel 1980 su un tratto del fiume recentemente riconosciuto zona umida di importanza internazionale. Uno sbarramento costruito nel 1934 a scopo d’irrigazione ha formato il piccolo lago che costituisce parte importante della riserva; notevole la presenza di bosco ripariale, salici, pioppi, ontani e una fascia del canneto, il tutto a costituire un habitat ideale per molte specie di uccelli attratti dall’abbondanza di rane, pesci e insetti. Fissa o stagionale la presenza dei rapaci, inclusi il falco pellegrino, quello di palude e il pescatore, mentre un ospite davvero speciale rimane l’ormai rarissima lontra, simbolo dell’oasi, che deve fare i conti con la nutria, ben capace di imporsi nella colonizzazione di simili territori. Le visite sono accompagnate e si svolgono su tracciati prestabiliti, che nel canneto si snodano su passerelle sorrette da palafitte sino ai capanni di osservazione. Di fronte al piccolo centro informazioni si trova uno sterrato adatto alla sosta, anche notturna, ma ci è stata annunciata la costruzione di una nuova e più spaziosa struttura con una vera e propria area attrezzata.

L’alta valle del Sele
Per raggiungere la prossima tappa ci serviremo dell’autostrada, entrando a Campagna e uscendo a Contursi che dista una decina di chilometri. Dal casello si prosegue per Contursi Terme, passando su una vecchia secondaria che prima di arrivare in paese tocca Contursi Stazione, o per la ben più distante Contursi Bagni, a cui si giunge anche con la più recente superstrada (la segnaletica che fa immettere direttamente su quest’ultima e la somiglianza dei due toponimi inducono facilmente in errore). La prima ipotesi è consigliabile a chi voglia dare un’occhiata al centro storico delle Terme, provvisto di camper service ma soprattutto di numerose sorgenti in fondovalle, note già in epoca romana, che giustificano la presenza di vari stabilimenti curativi.
Per visitare i paesi dell’alta valle consigliamo di risalirla lungo il lato sinistro e ridiscenderla sul destro prendendo non la citata superstrada, bensì continuando sulla vecchia statale 91 che ormai risulta pochissimo frequentata. Da Bagni si sale in breve a Oliveto Citra, nel cui restaurato castello è ospitato il museo archeologico che espone i corredi delle necropoli venute alla luce nel circondario. Nei pressi la chiesa della Misericordia, di forme neoclassiche, appartiene alla seconda metà del ‘700. Spazi adatti alla sosta si trovano lungo il tragitto che, risalito il corso a senso unico, effettua un ampio giro prima di ridiscendere alla piazza che fa da atrio al paese; dove il corso termina si può deviare a piedi per la chiesa e il castello attraversando una piazzetta disseminata di platani che offrono un verde tetto d’ombra ai tavolini dei caffè.
Il piccolo abitato di Quaglietta, marcato dai pochi resti di un’antica rocca, è stato ricostruito dopo il terremoto del 1980 come pure Senerchia, dove giungiamo subito dopo (siamo nel cosiddetto cratere, come viene chiamata l’area nella quale il sisma fece i danni più gravi). Il borgo venne integralmente riedificato a breve distanza in forme attuali, risparmiando dal totale abbattimento l’antico paese-presepio dove si ammirano i resti medioevali del castello e della chiesa di San Michele, a loro volta sopravvissuti agli effetti di più antichi terremoti. A Calabritto è toccata invece una ricostruzione disorganica che ne ha di molto alterato l’originaria fisionomia. A Materdomini la devozione per il lucano San Gerardo Maiella ha fatto crescere sempre più negli ultimi decenni il numero dei pellegrini. Accanto a una grande chiesa moderna, costruita pochi anni prima del terremoto e che ben sopportò le scosse, si trova la vecchia basilica dove riposano le spoglie del santo, integrata dal Museo Gerardino in cui sorprende la varietà degli episodi che costellarono la sua breve esistenza: a causa dell’estrema gracilità gli furono più volte rifiutati i voti, ma l’ardore che lo muoveva doveva essere straordinario se giunse a fuggire di casa lasciando il semplice messaggio “Vado a farmi santo”. Si spense di tisi nel 1755 a soli 29 anni, appena tre anni dopo essere stato ordinato. Giungendo al santuario in camper sarà meglio rinunciare, specie il sabato e la domenica, al grande parcheggio adiacente all’area sacra, preferendo quello meno frequentato che si trova seguendo la svolta a sinistra della strada.
Anche Caposele, qualche chilometro più in basso, subì gravi danni ed è stato in gran parte ricostruito in forme attuali, compresa la chiesa che risulta meritevole d’attenzione per l’elegante geometria di chiaroscuri con cui il progettista ha saputo plasmare il cemento. Alle soglie del paese si trovano gli impianti di captazione che indirizzano gran parte delle sorgenti del vicino Monte Paflagone nei condotti del famoso acquedotto che disseta la Puglia.
Un’altra delle località praticamente rase al suolo nell’80, tranne una chiesetta e le mura del castello di epoca normanna oggi in corso di recupero, è Laviano. Qui si è verificato un fatto rimasto unico nei paesi colpiti dal terremoto: le centinaia di baracche in legno a suo tempo montate per ospitare i sinistrati non vennero rimosse dopo la ricostruzione, restando nella disponibilità del Comune che ebbe l’idea di cederle in fitto a modico prezzo a turisti di città desiderosi di possedere un angolo nella natura per il relax del finesettimana. L’iniziativa del cosiddetto Villaggio Antistress ha avuto completo successo: un discreto flusso turistico ha cominciato a frequentare il paese in tutte le stagioni, sono nati vari esercizi, casari e pastori hanno ripreso a produrre i loro ottimi caciocavalli, ricotte e latticini da acquistare direttamente. Ma se ci sono buoni formaggi devono esserci pascoli in quota, e in effetti l’area del Monte Eremita vale una visita per le faggete e per la buona rete di sentieri (una rotabile asfaltata praticabile in camper tocca i 1.300 metri).
Voltiamo ora la prua del camper verso sud fino al piacevole paese di Colliano, dove i danni non furono tali da impedire il recupero del centro storico medioevale rallegrato dai sereni colori delle facciate. Un parcheggio si trova appena prima dell’ingresso nell’abitato (previsto l’allestimento di un’area attrezzata) la cui strada centrale sbocca poco dopo nell’ampia Piazza Epifani; interessante la facciata settecentesca della Chiesa Madre, restaurata dopo il crollo della copertura, mentre è imminente il rifacimento dello storico Palazzo Borriello. Nel territorio sono state ritrovate lapidi e tombe romane e una basilica paleocristiana del VII-VIII secolo. Dal centro si giunge al borgo di Collianello, dove fra vecchie case rimangono pochi resti di un maniero.
La strada continua con estese vedute sulla valle del Sele e sui rilievi circostanti: si sale fra boschi e prati sotto il Monte Marzano, poi ci si imbatte in paesaggi d’altopiano dove nella faggeta si aprono luminose radure, come Piano delle Pecore o Piano Dardano. Qui non è rara la presenza del tartufo, che in ottobre anima a Colliano una frequentata mostra-mercato.
A Buccino, che sovrasta il primo tratto del raccordo autostradale per Potenza, si apprezzano i poco noti resti della città romana di Volcei, della fine del III secolo a.C., venuti alla luce in conseguenza del terremoto. Di nuovo prendendo accordi con il Comune, ospitato in un ex convento trecentesco degli Agostiniani, suggeriamo caldamente di farsi guidare nella visita dai giovani volontari locali: nel parco archeologico urbano giacciono infatti, in corrispondenza del centro storico ma spesso nascoste dagli edifici attuali, le stratificazioni che includono il municipium e la necropoli dell’area sacra di Santo Stefano, usata fin dall’VIII secolo a.C. (nella sede comunale sono esposti vari reperti, compreso il dovizioso corredo funerario di una nobildonna inumata con ori, argenti, vasi in ceramica e bronzo). Nel corso del giro salterete spesso da un periodo storico a un altro, toccando addirittura un insediamento rupestre altomedioevale, prima di affacciarvi all’epoca angioina con il torreggiante castello in cui, negli anni dello scisma d’Occidente, sfuggì alla cattura il pontefice Urbano VI, al quale i francesi opponevano l’antipapa Clemente VII.
Passati lungo l’abitato di Auletta, su cui si leva invece la sagoma del castello fondato dai Gesualdo e tuttora abitato, si è in breve alla Grotta di Pertosa o dell’Angelo (anche in questo caso, come a Olevano sul Tusciano, si tratta dell’Arcangelo Michele). A una spumeggiante cascata segue un ampio spazio di parcheggio, quindi una scalinata sale alla grotta e al pontile dove ci si imbarca su natante a fondo piatto per attraversare la suggestiva parte navigabile del sistema ipogeo. Sbarcati presso una nuova cascata, si offrono varie alternative di visita a piedi, della durata che si preferisce, anche facendo uso dei caschi forniti dall’organizzazione: stalattiti, stalagmiti e concrezioni di svariate forme e tonalità sono una continua miniera di sorprese. Per chi voglia fermarsi con il mezzo fino al mattino seguente non sono previsti ulteriori esborsi rispetto al ticket del parcheggio, ma vale tuttavia la pena di recarsi a pernottare nella vicina Pertosa dove un lato di un accogliente piazzale, di fronte a un museo dell’ambiente, è adibito a libero posteggio. Qui siamo a pochi minuti di guida dal casello autostradale di Polla: potremo così riprendere facilmente il viaggio verso casa o, se le vacanze non sono ancora finite, proseguire verso altre mete di questo Sud sempre così generoso di occasioni.

PleinAir 420/421 – luglio/agosto 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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