Questo viaggio è una catena

Dal golfo di Guascogna alle spiagge del Roussillon lungo lo spettacolare confine naturale dei Pirenei: picchi rocciosi, boschi, fiumi e passeggiate nel verde sulle strade del romanico... e del Tour de France.

Indice dell'itinerario

Il falso rinvenimento di un manoscritto come spunto per un romanzo è un artificio letterario anche troppo sfruttato: eppure a noi è accaduto davvero di sfogliare una guida regalataci diverso tempo fa e mai neppure consultata, scoprendo che conteneva un itinerario automobilistico (dettagliato e ricchissimo di informazioni) percorso negli anni ’80 fra l’Atlantico e il Mediterraneo lungo l’asse dei Pirenei. Per rendere il giusto onore al fortuito programma di viaggio – il volume, scritto dall’inglese John Sturrock e pubblicato in italiano da una piccola casa editrice marchigiana, è ormai fuori catalogo – non ci restava che verificarlo adattandolo alle esigenze del camper. Tra i due mari corrono in linea d’aria più o meno 400 chilometri: noi ne abbiamo percorsi quasi 1.200 in una quindicina di giorni, sfiorando e più volte scavalcando la catena.

Baschi alla francese
Scendendo dal nord della Francia, dopo le lunghe distese di spiagge sabbiose affacciate sul golfo di Guascogna si profilano inaspettati i roccioni a strapiombo di Biarritz su cui si infrangono le onde dell’oceano. Accanto al porto turistico c’è la Plage des Fous: così la battezzarono gli abitanti del luogo all’inizio del secolo scorso, stupiti del coraggio di chi osasse gettarsi in acqua. I folli ci sono ancora, anzi si sono aggiornati, e cavalcano tavole da surf.
Fissato qui il nostro capolinea, partiamo per la grande cavalcata. Restando ancora sulla costa raggiungiamo Saint-Jean-de-Luz, storico approdo in quanto unico porto naturale della costa occidentale francese sotto Bordeaux, allo sbocco della Nivelle. Fra le belle case a traliccio si leva la cattedrale dal caratteristico interno, che ritroveremo in altre chiese della regione basca: la volta della navata, in legno dipinto che ricorda la carena rovesciata di una barca, e le balconate, sempre in legno, che invece fanno pensare alla galleria di un teatro. Un’altra curiosità: luz in basco non significa luce bensì palude, e così doveva presentarsi un tempo la zona dell’estuario.
Si lascia l’Atlantico arrampicandosi al modesto valico del Col de Saint Ignace (appena 168 metri): qui assolutamente da non perdere è l’escursione col trenino a cremagliera detto della Rhune dal nome della vicina montagna, la più alta di questo tratto dei Pirenei. Il convoglio, progettato già ad uso turistico nel 1924, è stato conservato nella struttura originaria: in alto la vista spazia dalle quote più elevate alle pinete e giù fino alla costa che si perde verso nord.
Scendendo dal colle cominciamo ad incontrare i tipici villaggi baschi: case intonacate che lasciano scoperta la pietra attorno a porte e finestre, l’architrave con inciso l’anno di costruzione o il nome di chi la fece costruire, o ancora una notizia (la più lunga, ad Aïnhoa, rievoca antiche storie di emigrazione raccontando di soldi spediti dalla Indie proprio per edificare l’abitazione), vecchie lapidi sepolcrali a forma di disco e infine, immancabile, il muro della pelota, il popolare gioco locale che ricorda la nostra palla col bracciale.
All’ingresso di Cambo-les-Bains sorge la Villa Arnaga voluta da Edmond Rostand, l’autore del celeberrimo Cyrano, che i nipoti trasformarono in una sorta di sacrario con i cimeli dello scrittore e i ricordi delle varie rappresentazioni teatrali. Lo scenografico parco da solo merita la visita, mentre l’interno della villa è di un liberty un po’ opprimente; quanto al mulino ad acqua annunciato dalla piantina, oggi abitazione privata, una volta tornati in strada se ne potrà ammirare dal ponticello sul fiume la grande ruota ormai ferma.Imboccata la D932 lungo la Nive in direzione di Saint-Jean-Pied-de-Port, si trova quasi subito il bivio per Itxassu da cui, per una stradina diretta verso la montagna si va a scoprire un arco nella roccia chiamato Pas de Roland (leggenda vuole che sia stato scolpito dal celebre paladino). Tornati sulla strada principale si incontra, segnalato all’altezza di Bidarray, il pittoresco Pont de Noblia a schiena d’asino; se ne può trovare uno simile nell’abitato di Saint-Etienne-de-Baïgorry se all’altezza di Saint-Martin-d’Arrossa ci si concede una breve divagazione verso Aldudes, risalendo l’omonima valle. La cittadina è base di escursioni tabellate, a piedi o in bicicletta, verso la vicina Spagna (la cui frontiera dista appena 3 chilometri) oppure alla ricerca dei luoghi in cui… si allevano i maiali, la cui carne pare sia particolarmente pregiata in seguito a una speciale dieta di sole ghiande.
Ridiscesa la valle, da Saint-Etienne-de-Baïgorry una bretella ci conduce rapidamente a Saint-Jean-Pied-de-Port.

Verso il Campo delle Stelle
Il credente è attratto dalla tomba di San Giacomo, il poeta quanto meno dal toponimo (Compostela si traduce in Campo delle Stelle), ma anche solo a incrociarlo il Cammino di Santiago è una sicura fonte di emozione. Sul versante francese dei Pirenei tre percorsi confluiscono nella strada che sale al passo di Roncisvalle: ce ne accorgiamo non solo dalla segnaletica – che appare peraltro casuale – ma soprattutto dalle chiese, le più antiche precedute da un porticato grande più della navata, possibile ricovero dei pellegrino; sull’architrave, a volte, un chrisme ossia un monogramma cristiano inscritto in un cerchio, simbolo del Cammino quanto la famosa conchiglia. Il punto d’incontro di questi percorsi si trova appunto a Saint-Jean-Pied-de-Port (dove port non significa porto ma valico) il cui centro storico, cinto da mura, è rimasto pressoché intatto: 400 metri di acciottolato lo attraversano da un’estremità all’altra fra case del ‘500 e del ‘600, scavalcando con ponticelli il corso della Nive su cui si affacciano balconi di legno coperti. Tutto è come è stato da sempre, e percorrendo questo breve tratto di strada – magari affiancati da autentici pellegrini, cui le insegne di un paio di ostelli offrono sosta e ristoro a prezzi stracciati – ci sembrerà per un attimo di essere anche noi sul Cammino di Santiago.
Si va ora a cercare sulla D933 e poi sulla D918 un altro facile valico, il Col d’Osquich (358 m), oltre il quale si raggiunge Mauléon-Licharre, cittadina famosa per la produzione di espadrillas che si possono trovare in grande quantità e varietà nella piazza principale, vegliata dai resti di un forte eretto sulla prospiciente collina. Una breve deviazione per L’Hôpital-Saint-Blaise ci permette di scoprire un posto idilliaco: una tozza chiesetta isolata nella campagna, sovrastata da una torre ottagonale al cui interno corrisponde una cupola in stile moresco (costoloni a formare una stella, strombature delle finestre protette da grate di pietra traforata), di nuovo a ricordarci come la Spagna non sia lontana.
Tornati a Mauléon-Licharre ci si dirige verso Oloron-Sainte-Marie lungo la D918, subito incontrando a Libarrenx e a Gotein due chiesette pressoché identiche dotate di portico e campanile a vela con la sommità a denti di sega. All’altezza di Tardets-Sorholus si devia verso Larrau e più avanti, a un nuovo bivio a sinistra, ci si immette nella valle dell’Uhaitxa: la strada, piuttosto stretta ma di modesto traffico, conduce all’imbocco (e al relativo parcheggio) delle Gorges de Kakouetta, dove un sentiero attrezzato si addentra per un paio di chilometri in uno strettissimo canyon, fino a scoprire una spettacolare cascata – ci si passa sotto – per poi fermarsi contro una grotta. Tornati al veicolo si riprende la marcia, prestando attenzione alla strada che si restringe ulteriormente, per arrivare al minuscolo villaggio di Sainte-Engrâce: l’omonima chiesetta del XII secolo, dalla forma asimmetrica, oltre a ripresentarci elementi già noti come il portico e le lapidi a disco nel camposanto a fianco, nasconde interessanti capitelli. Un tempo l’asfalto finiva qui, ma anni fa il tracciato venne prolungato creando il Col de Soudet: pare che già all’indomani dell’inaugurazione vi abbia transitato il Tour de France (qui siamo oltre quota 1.500, ben oltre i valichi finora attraversati). Questo tratto ci permette così di chiudere l’anello ridiscendendo lungo la D132 per la valle del Vert d’Arette.Oloron-Sainte-Marie presenta due interessanti chiese: la cattedrale dal portale finemente scolpito, con la curiosa presenza di due saraceni incatenati sulla colonna divisoria là dove solitamente è la statua della Vergine, e Sainte Croix, in cui ritroviamo i dettagli moreschi di Saint-Blaise.

Sui quattro colli
Ci attende ora uno dei tratti più affascinanti dei Pirenei: il superamento in sequenza dei celeberrimi valichi ormai entrati nella storia del ciclismo, ovvero l’Aubisque, il Tourmalet, l’Aspin e il Peyresourde. Per chi ha qualche primavera sulle spalle, quanti ricordi della lontana infanzia quando ci dividevamo fra Coppi e Bartali e giocavamo con i tappi a corona al Giro d’Italia (e di Francia)! Non esistendo ancora la televisione, scarse le immagini sui cinegiornali, sempre uguali le foto della Gazzetta con gli scalatori a fendere la folla del valico, ci affidavamo alla radio e alla fantasia. A distruggere il mito vennero le telecronache a colori con le riprese dall’alto, le panoramiche, i dettagli, ma c’era rimasta almeno la curiosità di andare a vedere di persona questi famosi colli. Ci sono voluti anni e tanti passaggi in Francia per decidersi ad incontrare Aubisque e Tourmalet, scoprendoli dopotutto affrontabili – specie il secondo – anche da un cicloturista di buona gamba. Al proposito, in Francia hanno tirato fuori una di quelle idee che merita la citazione: sui colli più importanti, fin dall’attacco, a ogni chilometro c’è un cartello che informa quanti ne mancano alla vetta e qual è la pendenza media del prossimo; estrema finezza, la serie si conclude al valico con le congratulazioni per l’impresa compiuta. Qualche saggia amministrazione potrebbe copiare la cosa anche da noi (in Italia a volte manca persino il conforto di sapere che si sta finalmente scollinando!), e a questo punto ben ci sta una proposta: perché non intervenire in proprio, con vernice e pennello, alla maniera dei volontari che rinnovano i segnavia dei sentieri del CAI?
Intanto, dopo Oloron-Sainte-Marie si può tirare dritti per le montagne passando per Arudy e per Laruns, città termale dove si fa notare un grandissimo parcheggio pieno di camper. Da qui si imbocca la deviazione per il Col d’Aubisque in direzione di Argelès-Gazost, dove la N21 porta in una dozzina di chilometri a Lourdes (chi volesse evitare l’Aubisque può raggiungerla anche da Oloron-Sainte-Marie, proseguendo sulla viabilità principale per Pau e poi per la città mariana). Ci accoglie un grande parcheggio per bus e v.r., ma è decisamente lontano dalla basilica: insistendo, scopriamo a sorpresa che ci sono posti liberi a modica tariffa oraria sul Quai Saint-Jean, la banchina del fiume che attraversa il centro.
Ancora da Argelès-Gazost un’altra interessante deviazione, stavolta prima di affrontare il Col du Tourmalet dominato dal Pic du Midi de Bigorre, è quella verso il cosiddetto Cirque de Gavarnie, che abbraccia l’omonimo villaggio di nuovo a un tiro di schioppo dalla frontiera iberica. Da Luz-Saint-Sauveur si risalgono le gole di Saint-Sauveur per una strada decisamente stretta, fino ad arrivare nei pressi dell’abitato di Gavarnie dove c’è un parcheggio in posizione panoramica, previsto proprio per i camper. Il cirque, una spettacolare conca naturale circondata da alti picchi, si raggiunge a piedi per un sentiero tabellato, mentre con il mezzo si può risalire verso un altro punto panoramico, stazione di partenza degli impianti sciistici.Torniamo a riprendere il nostro itinerario e, dopo il Tourmalet, superiamo anche il Col d’Aspin, la cittadina di Arreau e infine il Col du Peyresourde. Da Bagnères-de-Luchon si può compiere un’ulteriore deviazione nella valle del Lys per ammirare la suggestiva Cascade de l’Enfer, e ridiscesi alla città si può entrare brevemente in Spagna, compiendo un altro piccolo anello, oppure proseguire in terra francese parallelamente al confine. Noi scegliamo la prima ipotesi imboccando la stradina, via via più stretta ma praticabile, che scala il Col du Portillon e in breve giunge al paese di Bossóst, in cui ammirare la chiesa di un singolare color nero all’esterno e all’interno, con due bei portali scolpiti. Siamo nell’alta valle della Garonne che apparentemente nasce oltre lo spartiacque, e invece è solo il confine francese che si trova più in basso: lo ritroviamo in neanche 10 chilometri e continuiamo a scendere lungo il fiume (a Saint-Béat ci sono un ponte di marmo e un’altra bella chiesetta) fino a Valcabrère. Qui la chiesa di Saint-Just è stata edificata assemblando materiale proveniente da un precedente cimitero cristiano e dal vicino sito romano di Lugdunum: interessante studiarsela nei dettagli, fuori e dentro, scoprendo pezzi montati capovolti o coperchi di sarcofagi tagliati per realizzare il pavimento. Poco distante, a Saint-Bertrand, sorgono un’altra chiesa alta sul suo colle e il mulino ad acqua del Capitou, tenuto in funzione a uso didattico.

Tra chiese e abbazie
Un rapido spostamento verso est, attraverso Saint-Gaudens e Saint-Martory, ci porta a Saint-Lizier dove si sale fino a un parcheggio alberato e di qui, a piedi, alla vicina cattedrale che costituisce uno dei più rilevanti esempi di romanico pirenaico, con un notevole chiostro a due piani. La piazzetta di fronte è rimasta qual era nell’800, come mostra l’ingrandimento di un’immagine d’epoca appeso a un muro.
Foix si annuncia già dalla strada con le poderose torri del suo castello; notevole anche la cattedrale, dove alcuni capitelli conservano la colorazione originaria. Nei dintorni è segnalato il fiume sotterraneo di Labouiche, che si visita in barca.
Sfiorati i due villaggi di Vernajoul e Saint-Jean-de-Verges, dove due graziose chiesette vegliano i rispettivi cimiteri, ci portiamo a Pamiers per ammirare l’altissima facciata in mattoni della cattedrale, che rivaleggia con quella di Albi. A pochi chilometri un breve bivio conduce a quel vero gioiello che è la cappella rupestre di Vals, da dove torniamo sulla strada principale per visitare Mirepoix: la cittadina è famosa per la sua piazza dove, di fronte alla cattedrale, una quinta di case risalenti al ‘400 presenta i primi piani sporgenti che poggiano su travature in legno con intagli straordinari.
Quest’ultimo tratto ci ha fatto allontanare sia pure di poco dalle quote più alte, che ora ritroviamo proseguendo nettamente verso sud fino a Lavelanet. Non lontano, l’idilliaco villaggio di Montségur (ottimo anche per trascorrervi la notte) è dominato dalla fortezza alta su un picco roccioso e visitabile a prezzo di una scarpinata: nel XII secolo fu uno dei luoghi in cui si asserragliarono i Catari, eretici perseguitati dall’Inquisizione. Ripresa poco a sud di Foix la strada verso i Pirenei, a risalire la valle dell’Ariège, si giunge a un bivio: sulla sinistra il tunnel del Puymorens, passando sotto l’omonimo colle con segnaletica che indica Barcellona, porta direttamente in Spagna a Puigcerdá e alla parte conclusiva del nostro viaggio. Decidiamo però di prendere a destra per il Port d’Envalira, anche questo doppiato da un tunnel, allungando il giro verso Andorra e toccando la bella città di Seu de Urgell, che già conosciamo ma che ci fa piacere visitare ancora una volta: nella parte vecchia dell’abitato si conservano una bella chiesa e delle vie porticate lungo le quali, il sabato, si dipana un vivace mercato. Ci troviamo nella Cerdaña spagnola, da cui riprendiamo verso est in direzione della parte francese scendendo lungo la valle del Segre, dove comincia l’incontro con le chiesette romaniche tipiche di questa zona: lungo la strada per Puigcerdá una breve salita porta a quella di Arségue. Altre quattro ne incontreremo in successione a Hix, sulla strada principale, e con veloci deviazioni a Llo, Eyne e Planès; quest’ultima è davvero singolare, con la pianta a forma di triangolo equilatero (e un’abside su ciascun lato) sovrastato da una cupola rotonda, il tutto a rappresentare una simbologia geometrica che indica la Vergine e la Trinità.
Scendendo per la valle del Têt si raggiunge Villefranche-de-Conflent, città murata che appare protetta, su un prospiciente picco, da un altro forte che si può raggiungere salendo quasi mille scalini tutti in galleria. Sarà la nostra base per le ultime escursioni del nostro itinerario in questa regione ricca di monasteri ma anche di altre cappelle e graziosi villaggi: basta solo seguire le deviazioni che risalgono i fianchi della valle su ambo i lati. Sul versante destro incontriamo le chiesette di Fuilla e Sahorre; da qui si può ancora risalire in un paesaggio di rapide e cascatelle fino al paesetto di Py, tutto in pietra, per passeggiate nella grande Forêt de Ville o alla riserva naturale del Col de Mantet. Da Sahorre, senza ridiscendere a Villefranche-de-Conflent, si scollina nella valle parallela arrivando a Vernet-les-Bains e di qui all’abbazia di Saint-Martin-de-Canigou (l’ultimo tratto è a piedi in un bosco di castagni), sotto il Pic du Canigou che è la montagna simbolo dei Pirenei.
Tornati sulla strada principale si prosegue fino a Prades e di qui, prendendo per il versante sinistro della valle, si incontrano le terme di Molitg-les-Bains (ma l’accesso è vietato ai camper) e poco più a monte il villaggio di Mosset, dove si visita un’originale esposizione di erbe aromatiche con vendita dei relativi estratti. Sulla destra sorge invece la grandiosa abbazia di Saint-Michel-de-Cuxa, solitaria in mezzo a una foresta. Più avanti, di nuovo sulla sinistra, il villaggio di Eus è un cono di case abbarbicate su un colle, che ci ricorda il nostro sud; a Marcevol la pietra rosa dell’abbazia si infuoca al sole del tramonto.
Si lascia la valle del Têt poco prima che la statale diventi autostrada, all’altezza di Bouleternère, per una stradetta di montagna che si dirige al monastero di Serrabone. La chiesa, preceduta da un piccolo giardino botanico, sembra piuttosto anonima, ma è all’interno che conserva i suoi tesori: la breve galleria che funge da chiostro, con i capitelli scolpiti, e soprattutto la tribuna, le cui decorazioni a forma di animali fanno pensare addirittura alla Mesopotamia, sono da annoverare fra le più straordinarie opere d’arte viste in tutta una vita di viaggi attorno al mondo.
E ci piace chiudere qui la traversata da un mare all’altro fino al Mediterraneo ormai vicino, che raggiungeremo proseguendo per Amélie-les-Bains e di qui per la costa. Al porto di Collioure le onde di una giornata burrascosa si infrangono contro il forte, schizzando gli audaci che si avventurano sulla banchina: e la memoria corre all’Atlantico e alla Plage des Fous da cui siamo partiti due settimane fa.

PleinAir 408/409 – luglio/agosto 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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