Quella volta in Molise

Una settimana in camper sul filo della memoria dalla costa adriatica alle pendici del Matese, per una breve vacanza primaverile dalle molte opportunità.

Indice dell'itinerario

Su un negozio della strada principale di Casacalenda campeggiava la grande insegna G.ro Jannucci. Una coincidenza? Nient’affatto, essendo questo paese della provincia di Campobasso il luogo natale del fondatore della rivista che state leggendo. E se Casacalenda non fosse mai esistita (un po’ come nel celebre film di Frank Capra La vita è meravigliosa) oggi tutto sarebbe diverso, noi non sapremmo a chi raccontare i nostri viaggi e forse nemmeno ci verrebbe in mente di poterlo fare.
Da questo spunto decidemmo di visitare nuovamente il Molise, non più per brevissimo tempo come nelle precedenti esperienze ma seguendo questa volta un itinerario primaverile a misura di camper. In genere non torniamo nei luoghi già visitati se non dopo molti anni: ci piace però immaginare un lettore che, incuriosito dai nostri appunti, li adoperi come traccia per ritrovare il bel posto per la notte, l’anziano maestro che fa da cicerone, l’artigiano sempre all’opera…

Sette giorni, sei notti
Si spera davvero che a Termoli, ideale punto di partenza del nostro itinerario, tutto sia rimasto come allora: sulle banchine del porto, principale imbarco per le Tremiti, nei mesi fuori stagione si godeva infatti di un’insperata quanto lodevole tolleranza. Si poteva pernottare, lasciare il mezzo un’intera giornata per un’escursione alle isole o per la visita al grazioso centro storico arroccato intorno alla cattedrale di San Basso. Dagli spalti si apriva un’ampia vista sul mare e proprio lì sotto un trabucco, ancora funzionante, sembrava lì apposta per essere fotografato.
Diretti verso l’interno, alla fondovalle Bifernina preferimmo la vecchia statale 87 che si arrampica sulle colline, arrivando così a Larino. Visitata l’area archeologica di San Leonardo, scendemmo all’antico borgo e, mentre ammiravamo la facciata della cattedrale, si avvicinò un distinto signore che dopo essersi presentato (maestro Vitellio, in pensione) si compiacque di farci notare alcuni particolari trascurati persino dalla nostra dettagliata guida: l’angelo che nasconde la corona di spine nella lunetta, lo stemma vescovile scolpito a rovescio nel palazzo di fronte, la vaschetta a imbuto del fonte battesimale per risparmiare acqua. Chi è passato qualche tempo dopo di noi ci ha riferito di un’esperienza identica, e speriamo dunque che il gentile maestro sia ancora là.
Abbiamo appreso che Casacalenda, a soli 13 chilometri, oggi dispone di un’area attrezzata per i camper adiacente alla piccola stazione ferroviaria, dove il raro passaggio dei treni locali non è di alcun disturbo (e suggerisce anzi di servirsi della ferrovia per raggiungere il capoluogo o le stesse Larino e Termoli). Dal corso, per bei vicoli lastricati, scendemmo a una fontana del 1697 con mascheroni barocchi e lo stemma cittadino, di fianco alla semplice facciata della settecentesca chiesa dell’Addolorata, purtroppo chiusa; ci dissero che all’interno vi erano conservati un bell’altare in marmi policromi e un prezioso organo d’epoca. Sulla piazza, al centro di moderni giardinetti dove un insolito monumento dello scultore Franco Libertucci riproduceva il calco di un soldato ormai caduto anziché celebrarne il guerresco ardimento, si affacciava il Palazzo Ducale, sul cui lato destro si apriva la Porta a Capo segnando l’ingresso al minuscolo borghetto della Terravecchia.
Proseguendo sulla statale 87 e incrociata più volte la ferrovia Termoli-Campobasso, dopo una breve deviazione per ammirare la romanica abbazia di Santa Maria della Strada, puntammo decisi verso Campobasso. Al primo impatto la città si presenta piuttosto difficile da girare in camper, ma riuscimmo a parcheggiare con sorprendente facilità – ed era il giorno dedicato a San Giorgio, con tanto di processione – sotto gli alberi del breve viale fuori Porta San Paolo, raggiungendo poi per vicoli e scalette il culmine del borgo vecchio con le antiche chiese di San Bartolomeo e San Giorgio. L’indomani, quasi per caso, scoprimmo in Via Cardarelli ai numeri 11 e 13 la bottega del signor Vitullo, che lì lavorava il legno come già suo padre e suo nonno il quale «guardando un albero immaginava cosa se ne sarebbe potuto tirar fuori» (proprio come Michelangelo con il marmo); incredibile, tanto da suggerire l’allestimento di un museo, la collezione di oggetti e attrezzi esposti alle pareti o accatastati in mezzo ai mobili da restaurare.
Presa la direzione dei monti del Matese, raggiungemmo la statale 17 per Isernia imboccandola però (prestare attenzione allo svincolo) verso Benevento. Gli scenografici resti dell’antica Saepinum giacciono proprio a lato della strada, ma trovammo l’area archeologica in stato di sorprendente trascuratezza, pur con effetti pittoreschi: mucche e cavalli al pascolo tra gli imponenti ruderi, pollai, un montone dietro la rete, il divieto di transito sulla strada che passa in mezzo allegramente ignorato. Parcheggiammo sul lato opposto per poi scoprire, di fronte al vicino convento della Trinità, un grande piazzale con fontanella.
Ripresa la 17, questa volta verso Isernia, giungemmo in breve a Bojano, famosa per la produzione di mozzarelle, che deve il nome a una leggenda: nell’antica Bovianum si sarebbe fermato il bue che guidava la migrazione dei Sanniti (ma forse, più semplicemente, di qui passava un tratturo). Per salire al castello e ai panoramici resti delle mura megalitiche di Civita Superiore, che dista poco meno di 3 chilometri dalla città bassa, a causa di un cartello mal collocato finimmo incastrati in uno stretto vicolo cieco: sperando che il problema sia stato risolto, il vecchio borghetto è senz’altro meritevole della visita e qualche passante potrà eventualmente fornire le corrette indicazioni.
Ridiscesi sulla statale 17 verso Isernia facemmo una deviazione per Sant’Angelo in Grotte, subito ingannati dal santuario sotto le mura che effettivamente è in una grotta ma di scarso interesse. Cercavamo invece la cripta di San Pietro in Vincoli per il notevole ciclo di affreschi di scuola senese: ci fece da guida (abitava nella casa con scala a destra) la custode Anna Mucciarone, una gentile e colta ragazza che, dopo averci mostrato la cripta, ci accompagnò per le stradine del paese. Visto che non c’era nulla da pagare, acquistammo l’opuscolo ricordo per solidarietà con l’ennesima istituzione sopravvissuta grazie alla buona volontà dei privati.
Isernia, rinata dalle distruzioni belliche, ci sorprese per l’ordine e la pulizia delle sue strade, Il Museo Archeologico Nazionale nell’ex convento millenario di Santa Maria delle Monache, la bella Fontana Fraterna, i vicoli lastricati del centro storico, la merlettaia Maria Caruso che lavorava davanti alla bottega… Al mattino, dopo aver pernottato presso lo stadio, imboccammo la statale 85 in direzione di San Salvo deviando poi verso Pietrabbondante. Qui il nome latino della zona archeologica, Bovianum Vetus, riporta di nuovo a un antico tratturo, mentre il toponimo del paese sta a ricordare il masso roccioso detto Castello sul quale svetta una chiesa, ma l’insieme è circondato da edifici moderni. A noi del resto interessavano soprattutto gli scavi della zona sacra relativa ai secoli III e II a.C. quando sul territorio regnavano ancora i Sanniti, prima dello scontro con Roma. Dormimmo in tutta tranquillità nella piazza principale del paese, ben vigilati dalla statua bronzea del guerriero sannita.
Della non lontana Agnone, famosa per la produzione delle campane, ci colpì l’aspetto austero – accentuato da una giornata di cielo coperto – delle chiese dai bei portali, dei palazzi con le antiche botteghe che ricordarono le famose cancelle o coppetelle aquilane, le bifore, i leoni incombenti dalle loro mensole, un bassorilievo con i buoi al lavoro.
Ora avremmo potuto chiudere l’anello proseguendo per la statale 86 fino all’Adriatico e di qui all’autostrada, ma era esattamente il 1° maggio e (come nella non lontana San Giovanni Lipioni in Abruzzo) sapevamo che ad Acquaviva Collecroce si celebrava la Maja. Così da Agnone imboccammo in direzione Bagnoli sul Trigno una strada impegnativa tutta curve e tornanti, godendo in compenso di straordinari panorami, fino ad incrociare la statale 650 con la quale discendemmo la valle del Trigno, incontrando dopo circa 25 chilometri il bivio per la nostra meta. La Maja è un grande pupazzo assemblato con frutta e fiori – somigliantissimo ai celebri quadri di Arcimboldo – che sfila per le vie del paese; e poiché qui si è insediata fin dal ‘600 una comunità di origine croata, nella ricorrenza ecco presentarsi in piazza fin dal primo mattino, per la gioia dei fotografi, un gruppo folcloristico in costume. A sera ci sarebbero state le danze sul palco: ma il nostro tempo era scaduto e non restava che tornare al capolinea.

Testo di Luigi Alberto Pucci
Foto di Luigi Alberto Pucci e di Ivana Ricci

PleinAir 441 – Aprile 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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