Quattro salti in Grecìa

Nell'entroterra del Salento, fra castelli medioevali, villaggi agricoli e resti preistorici, rivive nella lingua e nei costumi un'antica cultura di matrice ellenica: nove tappe d'arte e di storia da accompagnare ai genuini sapori pugliesi e alla riscoperta della musica tradizionale.

Indice dell'itinerario

Se non fosse per quell’accento sulla i di Grecìa, il lettore penserebbe che lo stiamo guidando oltrefrontiera in qualche angolo dell’Egeo: e invece il nostro approdo è un’isola linguistica del Salento, a pochi chilometri dal capoluogo del Tacco d’Italia. Al centro del triangolo che ha per vertici Lecce, Otranto e Gallipoli c’è infatti un’area nella quale, oltre all’idioma, sono ancora presenti riti e architetture di origine ellenica. Kalòs írtate, benvenuti, è il cartello che accoglie il turista in ognuno dei nove paesi di questo comprensorio del quale fanno parte Calimera, Castrignano de’ Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia e Zollino (dopo la recente annessione di Carpignano Salentino entrerà prossimamente nel novero anche Cutrofiano, nella prospettiva di ottimizzare le energie per promuovere e valorizzare le radici comuni).
Da sempre le regioni del nostro Sud sono state oggetto dell’attenzione dei popoli orientali, che a volte le consideravano come terre di conquista e altre come sicuro rifugio per sottrarsi alle persecuzioni nei paesi d’origine. Superando il dibattito ancora aperto tra gli studiosi per stabilire se i primi a insediarsi in questa parte della Puglia fossero esuli greci o conquistatori bizantini, resta il fatto che a tutt’oggi è l’eredità ellenica ad essere ancora viva. Soprattutto la lingua, il griko, è riuscita a superare il ristretto ambito familiare nel quale viveva relegata come dialetto, divenendo oggetto di studio da parte della moderna filologia; ma sono sopravvissute anche numerose testimonianze architettoniche, tra le quali spiccano particolari costruzioni a tronco di cono innalzate avvalendosi dell’abbondanza di pietrame disponibile nelle campagne, utilizzato per il ricovero di ovini e la realizzazione di frantoi ipogei. Queste strutture essenzialmente agricole affiancano le masserie, le grandi abitazioni rurali autosufficienti nelle quali viveva l’intera comunità contadina, spesso fortificate con torri e caditoie per la difesa dagli assalti provenienti dal mare e non solo.
Nei paesi, invece, la caratteristica più rilevante è costituita dalle case a corte, gruppi di abitazioni che racchiudono uno spazio quadrangolare in cui si svolge la maggior parte delle attività quotidiane; e poiché la penuria d’acqua ha sempre contraddistinto queste aree, l’ingegno umano ha saputo utilizzare le poche risorse che filtravano dal drenaggio dei terreni raccogliendole nelle pozzelle, cisterne a forma conica scavate negli avvallamenti del terreno.
D’altro genere ma non meno rappresentativi sono gli insediamenti rupestri in cui si sviluppò l’arte pittorica delle cripte basiliane e, successivamente, i numerosi conventi realizzati sotto la Roma dei papi che, con l’imposizione del rito latino, segnò la fine di quello greco. Altra peculiarità della Grecìa Salentina è la presenza di imponenti castelli quasi in ogni centro abitato, che con le loro spesse mura comprovano la necessità di difendersi dalle armi da fuoco. Tutti questi elementi si affiancano alle tracce lasciate nei millenni dagli altri popoli che hanno vissuto sul territorio: i dolmen, monumenti funebri caratterizzati da una lastra in pietra sostenuta da rocce infisse nel terreno, i menhir, lunghe stele con un ampio lato esposto al sole (segno evidente del loro significato religioso) e le specchie, cumuli di pietre alti 5 o 6 metri, forse utilizzati come punti di osservazione.

Nove paesi in tour
Da Lecce, la comoda statale per Maglie e Santa Maria di Leuca conduce in breve nella Grecìa Salentina i cui paesi, allineati su ambo i lati dell’asse viario, si sviluppano in un brullo paesaggio rurale, spartito dalle lunghe teorie di muretti a secco che delimitano i confini di piccoli poderi.Una quindicina di chilometri a sud del capoluogo si incontra lo svincolo per Calimera. Già dal nome, che in greco significa buongiorno, la cittadina denuncia la sua ascendenza rimarcata dalle epigrafi su architravi e chiese e da una stele attica del IV secolo a.C., donata da Atene nel 1960 e ora esposta nei giardini pubblici. Adagiata in una valletta circondata da folti boschi, che nel passato resero famosi i locali lavoratori delle carbonaie, presenta vaste estensioni coltivate ad ulivo e un gran numero di frantoi sotterranei: in queste cavità tufacee (come il Trappeto Rescio in Via Giovanni XXIII al civico 70) dominava la figura del nachiro, capo indiscusso di tutta l’organizzazione al quale spettava l’esclusivo compito di tirare l’olio che galleggiava sull’acqua di spremitura delle olive.
Nel tessuto urbano – in questo caso privo di un castello poiché Calimera era in origine un casale appartenente al feudo di Martano – si notano bei portali bugnati del ‘700 e alcune chiese dalle linee semplici e severe; in Via Mayro, la cappella del Crocifisso presenta volta e abside affrescate in vivaci colori. Nella piccola cappella di San Vito, in Agro Malahrito, la particolarità è invece il grande masso infisso sul pavimento al centro della navata, il cui stretto foro alla base è attraversato ogni Lunedì in Albis da quanti credono, con questo rito, di guarire da malattie o di garantirsi la fertilità.
Interessante anche la visita alla Casa Museo della Civiltà Contadina e della Cultura Grika, in Via Costantini 52, dove sono conservati attrezzi e utensili della vita rurale insieme a una serie di curiose decorazioni a forma di campanile, di nave, di stella o di aeroplano realizzate con canne, carta velina colorata, spago e fil di ferro: si tratta dei lampioni, che vengono fabbricati per l’omonima festa di giugno (un tempo legata al solstizio d’estate, oggi alla ricorrenza di San Luigi Gonzaga) e appesi tra i balconi delle case del centro storico, per poi essere illuminati dall’interno con lampadine a rallegrare le passeggiate dei turisti fra le numerose botteghe di prodotti artigianali e gastronomici.
Prima ancora di Calimera avremo incontrato Martignano, paese di probabile origine bizantina che deve la sua singolarità al modo in cui fu risolto il problema dell’approvvigionamento idrico: furono infatti costruiti ben sessanta pozzi (oggi ne sono rimasti quarantanove) scavati in una grande depressione nella quale confluiva l’acqua piovana proveniente dalle strade a monte, in forte pendenza. Così come un tempo quest’area rappresentava il luogo in cui le donne socializzavano durante il lavoro quotidiano, oggi Largo Pozzelle, pavimentato e consolidato, è nuovamente divenuto un tranquillo ritrovo cittadino. A pochi passi di distanza troviamo raggruppati i più importanti monumenti: il palazzo baronale Palmieri nella piazza omonima con un altro importante frantoio ipogeo, la cappella di San Giovanni Battista del 1691 affrescata con scene di vita del santo, il convento ormai in disuso dei Francescani e la chiesa di Santa Maria dei Martiri con importanti pavimenti a mosaico. Su Via Chiesa, invece, si affacciano i portali dei palazzi Pasca e Volpe.
Rimanendo su questo versante della statale si prosegue per Martano, il comune più popoloso tra quelli della Grecìa, la cui fondazione si fa risalire all’epoca romana anche se la presenza umana in questa terra è testimoniata in epoche ben più remote dalla famosa Specchia dei Mori, che sorge nella campagna circostante. A guardia della Terra, il centro storico medioevale, c’è il castello (poi divenuto palazzo baronale) cinto da mura e dotato di torri da difesa delle quali resta solo quella di Via Marconi. Su questa stessa strada troviamo una tra le più belle dimore nobiliari del paese: Palazzo Pino, con una ricchissima balaustra barocca.
Castrignano de’ Greci era famoso in passato per le colture di gelso e la produzione della seta, introdotte dai monaci venuti dall’Oriente. Queste particolari attività, legate essenzialmente all’acqua, spiegano la presenza delle numerose pozzelle le cui bocche si aprono nel parco omonimo. Nel castello medioevale, più noto come palazzo ducale della casata De Gualtieris, è prossimo a concludersi il rifacimento che consentirà alla struttura di divenire un fruibile contenitore culturale. Lungo la strada che conduce a Melpignano, su una piazza si apre la cripta di Sant’Onofrio del VI secolo: i lavori di restauro successivi al suo ritrovamento, nel 1965, hanno interessato le volte e il colonnato sui quali si è intervenuti purtroppo con abbondante uso di cemento armato. Tra le chiese meritano di essere ricordate quella dell’Annunziata o Chiesa Madre, della Madonna dell’Arcona, situata nel cimitero, e quella dell’Immacolata il cui altare è attribuito al famoso architetto leccese Giuseppe Zimbalo.
La lunga cinta muraria e le torri fanno intuire l’importanza e la grandezza del castello aragonese di Melpignano (attualmente in ristrutturazione): quando l’edificio perse la sua funzione militare fu trasformato in abitazione privata abbellita dall’ultimo proprietario, il barone Giorgio Castriota, con un grande giardino alberato e un colonnato eretto all’interno delle mura. Tra i monumenti religiosi, oltre al convento degli Agostiniani ubicato ai margini del paese sulla strada per Corigliano d’Otranto, risalta la quattrocentesca chiesa dedicata a San Giorgio nella piazza omonima, contornata da artistici portici: sulla facciata l’elemento architettonico più interessante è il portale cinquecentesco sormontato da un arco che contiene la statua del santo nell’atto di uccidere il drago. Accanto al campanile sorge una cappella dedicata alla Vergine, impreziosita da un elaborato portale sormontato da tre finestre con grate in pietra leccese.
Fra le attività che si svolgevano nelle masserie, aveva una certa rilevanza l’allevamento dei colombi che forniva carne pregiata e fertilizzanti ricavati dai residui organici. Uno dei manufatti dedicati a questa attività si trova nella zona industriale lungo la strada che conduce a Maglie, sui terreni della masseria fortificata Sant’Aloia: attraverso un viottolo sterrato si raggiunge a piedi la grande colombaia cilindrica, che presenta tracce dell’antico colore vermiglio e di merlature alla sommità, e con qualche fatica si riesce a intravvedere la tipica costruzione interna formata da mattoni sovrapposti a mo’ di alveare. Purtroppo tutta la struttura è in grave stato di abbandono e si auspica il recupero di questa storica testimonianza che una data impressa sulla pietra ci ricorda essere del 1576.
Ci portiamo ora sull’altro lato della statale percorrendo i pochi chilometri che ci separano da Corigliano d’Otranto. Il castello del ‘300, nonostante la presenza di poderose mura, dovette soccombere all’assedio dei Turchi effettuato subito dopo il sacco di Otranto del 1480: una cruenta battaglia testimoniata dalle grosse palle di pietra ottomane conservate all’ingresso del maniero. Massicci torrioni circolari chiudono ai quattro angoli l’intera costruzione, abbellita dal lungo prospetto principale ricco di statue in pietra leccese, sul quale si aggancia un ponte di pietra in sostituzione di quello levatoio che scavalca l’antico fossato. Purtroppo i continui lavori di restauro non rendono ancora possibile la visita all’interno per cui (salvo aggiornamenti dell’ultim’ora) bisogna ammirare la costruzione passeggiando lungo la strada che in parte la circonda.
Risalendo l’asse viario perpendicolare al castello si entra nel centro antico ricco di case a corte, di preziosi portali come quello di Palazzo Monti e di balconate in pietra, tra cui quella di Palazzo Rizzo, fino a giungere in Piazza San Nicola di fronte a Palazzo Comi. Nel limitrofo Vico Freddo è posto il quattrocentesco Arco Lucchetti, articolata scultura ricca di simboli religiosi ed esoterici. Altri importanti portali sono ai civici 35 e 37 di Via Chiesa da dove si può proseguire per la basilica di San Nicola del 1573, sopraelevata rispetto al piano stradale. Soleto, già antichissima città della Magna Grecia, è legata soprattutto al nome della nobile famiglia Orsini del Balzo che l’abbellì con preziose opere d’arte: il monumento più famoso, di fianco alla chiesa di Santa Maria Assunta, è senz’altro la Guglia (voluta da Raimondello Orsini nel 1397) che con i suoi 40 metri domina l’intero abitato. Recenti lavori hanno riportato all’antico splendore le bifore, le balaustre e gli archi, tutti intagliati nella pietra. Altra tappa di rilievo è la chiesa di Santo Stefano in Via Carrozzini, nel borgo antico, dalla caratteristica facciata con campanile a vela e pareti interne che, nonostante l’avanzato degrado, mostrano ancora affreschi con figure di santi.
Un rapido passaggio di nuovo sull’altro lato del nostro asse viario ci porta a Zollino, le cui origini risultano incerte anche se i menhir presenti sul suo territorio – il più grande dei quali si trova nei pressi della stazione ferroviaria – indicano che fu abitato sin da epoche remote. Sul Largo Pozzelle, le vecchie cisterne conservano ancora i nomi greci. Anche qui l’economia è improntata alle attività agricole, nel cui folklore rientra la pittoresca Festa de lu Focu che si tiene ogni anno la sera del 28 dicembre quando viene accesa una pira alta 5 metri, attorniata dagli spettatori che consumano fagioli e pizzette offerti negli stand gastronomici.
Ci troviamo così a concludere il nostro tour a Sternatìa: qui è molto diffuso il griko, parlato anche dalle giovani generazioni, il cui uso abituale è evidenziato nelle numerose insegne bilingui. Accanto a Porta Filia, ovvero Porta dell’Amicizia, è visitabile uno dei più importanti frantoi ipogei della zona: già utilizzato in epoca bizantina, fu ampliato nel ‘400 per far fronte alle nuove esigenze lavorative che si svolgevano in una serie di ambienti comunicanti tra loro, accessibili mediante una scala scolpita nella roccia. Si entra nel centro abitato, tra file di basse abitazioni su cui svetta la torre campanaria della chiesa dell’Assunta, per giungere dinanzi all’imponente prospetto della chiesa di Santa Maria di Tricase e del convento dei Domenicani, oggi sede municipale: dall’ingresso principale, riccamente adornato da un portale in pietra, si accede all’ampio chiostro colonnato al centro del quale si erge, su quattro scalini, il pozzo. Tra le numerose residenze gentilizie, con bei portali e piccole terrazze, in Via Candelora è di notevole importanza Palazzo Granafei con il giardino pensile e i granai sotterranei, costruito sul luogo in cui sorgeva il castello.
Naturalmente il giro può essere calibrato a piacimento e magari abbinato a una delle tante manifestazioni del calendario folkloristico locale, dove la tradizione musicale è imperniata sulla pizzica: ormai non c’è festa o ricorrenza che non veda la rappresentazione di questa danza ritmata dal suono dei tamburelli, che inducono a ballare senza freni a somiglianza delle presunte tarantate. Un’occasione in più – come negli spettacoli dell’ormai celebre Notte della Taranta – per andare a fare, se non quattro salti… almeno un salto in Grecìa.

PleinAir 408/409 – luglio/agosto 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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