Primavera ortodossa

Viaggio della memoria in Grecia, sulle ali del camper e della bici. Ma fuoristagione: per cogliere i colori delle fioriture primaverili e il calore della Pasqua ortodossa.

Indice dell'itinerario

Per non dover sfidare di nuovo il caldo, abbiamo scelto la primavera per tornare in Grecia. Non avevamo ottimi ricordi del precedente passaggio in piena estate: ogni tappa ci era sembrata, alla fine, un atto dovuto nei confronti della guida che, implacabile come il sole, sembrava divertirsi a segnalarci sempre nuove mete, giusto all’ora di pranzo. E avevamo vent’anni di meno. Stavolta, davanti ad alcune zone archeologiche, siamo riusciti addirittura a piazzare il camper la sera prima: a Olimpia il grande parcheggio alberato, ottimo per la sosta diurna, è chiuso di notte, ma ne abbiamo scoperto un altro, vicinissimo e ignorato da tutti (pure alberato!), davanti a quella che fu la primitiva sede del museo; a Eleusis nessun problema davanti alle rovine situate al centro della cittadina; a Micene, addirittura, la guardiola sorvegliata della biglietteria ci ha dato sicurezza in un parcheggio un po’ troppo solitario; a Delfi infine siamo stati semplicemente fortunati, accaparrandoci uno dei rari slarghi sul ciglio della strada: è quasi divertente, dopo la visita alla zona archeologica (e relativo museo), la baraonda di pullman turistici alla ricerca di come sistemarsi o soltanto incrociarsi fra loro (tra le 12 e le 15 ne abbiamo contati ben trantacinque in neanche 500 metri!), non fosse che poi dobbiamo districarci a nostra volta.
In altri siti (Pella, Tirinto, Mistras, Geraki) siamo invece arrivati nelle ore centrali della giornata, ma l’immancabile brezza ha mitigato i pur già caldi raggi del sole; a volte poi, come a Epidauro, o nella minuscola Kalydon scoperta per caso sulla strada, gli alberi in faccia alla biglietteria ci hanno permesso, dopo la visita alle rovine, una meritata sosta pomeridiana.
Abbiamo fatto alcuni nomi, e altri se ne potrebbero fare; ma stavolta non siamo stati condizionati dalla guida o, nel caso specifico, dalla dettagliata mappa in dotazione: sul retro del tracciato stradale erano infatti segnalate più di cento aree archeologiche grandi e piccole, illustri e sconosciute, relative alle varie culture dell’antica Grecia. Anche a volerle soltanto sfiorare tutte, non sarebbe bastata l’intera vacanza!
Programmando il viaggio in primavera, ciò che invece potevamo prevedere, ma non nella portata che ci ha accolto, è stata la strepitosa fioritura che ha aggiunto i colori mancanti ai siti archeologici ricordati come distese di pietra e marmi bianchi su terra bruciata. Ed è proprio il diverso genere di piante che abbiamo visto fiorite in luoghi dissimili a darci una mano nel classificare le diapositive, specie quelle riproducenti dettagli; nel diario di campagna era stato infatti annotato un colore per ogni località: Olimpia viola (grazie soprattutto agli alberi di Giuda), Delfi giallo (euforbia di tutte le misure), Micene rosso (papaveri di una tonalità mai vista) e così via…

Mare di primavera
Viaggiando fuori stagione verso paesi che si affacciano su un bel mare, uno scotto dobbiamo pur pagarlo: le spiagge saranno sì deserte (come piace a noi) e si potrà tranquillamente pernottare sui lungomare, ma quanto a mettere piede nell’acqua, a meno di far parte della Compagnia dei Trichechi di Leningrado (che in un lontano Capodanno ammirammo sguazzare allegramente nella Neva ghiacciata), meglio lasciar perdere e non coltivare inutili rimpianti. Di tutte le coste greche percorse, guardate e fotografate, ricordiamo una baietta del Peloponneso dall’acqua così verde e trasparente che faceva davvero rabbia non potercisi buttare: ce ne andammo perché lì attorno non c’era modo di lasciare il camper, bisognava parcheggiare molto più avanti e poi scendere al mare per una scalinata. Avrebbe meritato la sosta e il picnic (era pure il giorno di Pasqua, quella nostra). Segnaliamo il posto a chi ci passerà in altra stagione: il villaggio, sulla costiera orientale del Mani, si chiama Kokkala, e attraversandolo per le strettoie fra le case dell’unica strada capirete il perché del nostro disagio anche solo a cercare un parcheggio.
Il tacito accordo era di non lasciarsi coinvolgere dal mare, tranne per la sosta notturna o un veloce pasto, ma dalla strada alta (come sempre) sulla costa dopo Githio, fino alla testa del golfo di Lakonikos, abbiamo avuto un’incredibile visione: una spiaggia infinita e deserta, due camper parcheggiati sotto di noi e infine, quasi all’orizzonte, una nave arenata. Ci abbiamo passato due giorni facendo amicizia con i vicini, una coppia di anziani tedeschi e una famiglia di Vigonovo, fra l’altro nostri lettori. Tra i cespugli, un insediamento spontaneo di caravan e furgoni stanziali e un paio di cani isterici ci hanno tolto la voglia di indagare ulteriormente. Quanto al mercantile arenato, l’avremmo poi ritrovato fotografato sui dépliant turistici della zona; ma per noi è stata una scoperta emozionante, quasi fossimo i primi ad avvicinarci e tentare di salire a bordo, per prenderne possesso secondo le antiche leggi della marineria.
E infine la penisola calcidica. Tutti ce la consigliavano, ne avevamo un vago ricordo del precedente viaggio, per una breve escursione sul “primo dito”. Ma a sospingerci questa volta era la grande mostra sui tesori del Monte Athos (Salonicco, Pasqua ’98) che se dovessero riproporla da qualche altra parte meriterebbe un altro viaggio.
Quello che invece abbiamo visto, anzi intravvisto da lontano (sul “secondo dito”), causa l’impossibilità di raggiungere la costa, quasi ci consola degli scempi perpetrati nella nostra povera Italia: il solito casermone (pare sia un famoso maxialbergo) cresciuto come un fungo nel verde, cartelli ovunque (ma anche su altre strade della Grecia visitata) a sollecitare acquisti in multiproprietà, spiagge occupate per tutta la lunghezza da caravan stanziali in batteria. Quanto agli accessi: sbarre, forche caudine, portinerie, guardie in servizio anche fuori stagione. Ci ha consolato solo il paesino di Sikia, consigliatoci da un amico italiano, laddove si doppia la penisola; siccome il mare è un po’ lontano, qui tutto è rimasto autentico, come già visto in certi villaggi delle isole: la cantina, la bottega con i prodotti artigianali, persino il farmacista che parla italiano perché ha studiato da noi e che ha voluto assolutamente prepararci un caffè dentro il suo negozio.Tra sacro e profano
In Grecia, come già l’anno prima in Spagna, volevamo vedere come si celebra la Pasqua: sapevamo peraltro che i riti più importanti si svolgono nelle isole, come già letto su queste stesse pagine (vedi PleinAir n. 308). Comunque, forti delle informazioni ricevute dall’Ente Nazionale per il Turismo Ellenico, ci siamo tracciati un itinerario di massima cercando di collegare tra loro i non molti spunti offerti.
La Pasqua ortodossa si celebra generalmente (come nel caso specifico) una settimana dopo la nostra e questo pur breve avanzamento nella stagione, collegato alle latitudini raggiunte, ci ha permesso di lavorare in un clima quasi estivo, fatto non trascurabile visto che gli eventi si svolgono quasi sempre in notturna.Le processioni, comunque, ci hanno un po’ deluso: niente pasos portati in strada come in Spagna, soltanto degli epitaffi, baldacchini vuoti che si infiorano in chiesa per farli uscire il Venerdì Santo, ma senza alcuna effigie all’interno. Più coinvolgente, caso mai, il corteo dei celebranti in pompa magna che continuano per ore con i loro canti, dentro e fuori le chiese, mentre gli altoparlanti – piazzati nei paesi a ogni angolo di strada – impediscono di ignorare la cerimonia anche a chi non è interessato.
Di ben altro genere lo spettacolo che si può cogliere a Leonidion, nel sud del Peloponneso, alla vigilia di Pasqua. A mezzanotte in punto, esaurite le funzioni religiose, da ogni piazza, ma soprattutto da quella principale, vengono lanciate le mongolfiere, palloni di carta velina multicolore e trasparente fermata attorno a una struttura di metallo leggerissima: basta l’aria calda di una miccia di stracci, accesa col fuoco degli sterpi appositamente preparato, a farle volare. In un attimo il cielo si riempie di un incredibile nuovo firmamento, migliaia di globi luminosi e colorati che il vento trascina verso le montagne, da cui contemporaneamente vengono sparati fuochi d’artificio. Il rito è davvero suggestivo ma ha anche i suoi lati negativi. Se andate a Leonidion, o comunque in Grecia per la Pasqua ortodossa, non dimenticate di procurarvi i tappi per le orecchie, di quelli che si usano a bordo pista negli autodromi. Nella fatidica settimana – considerata una lunga festa senza ombra di pentimento – neppure il Venerdì Santo, quasi Cristo fosse risorto prima ancora di essere crocifisso, sembra di “essere a Beirut” (come si diceva una volta per simboleggiare una città in cui si spara: oggi c’è ahimè l’imbarazzo della scelta!).
A Megara, invece, circa a metà strada fra lo stretto di Corinto e il Pireo, il martedì dopo Pasqua si esegue in piazza il “ballo della Trata”, rituale a ricordo della sfida vinta con un pascià che aveva concesso agli abitanti del luogo di erigere una chiesetta, a patto che avessero compiuto l’opera in una giornata (altrimenti avrebbe ucciso tutti). Ma non si tratta di una festa popolare, come pensavamo, bensì dell’esibizione di un gruppo in costume, simile a quelli che il turista d’agenzia trova regolarmente inseriti nel pacchetto “tutto compreso”. Solo che qui la cornice è quanto meno singolare: la famosa chiesetta, che un tempo doveva sorgere isolata in cima al paese, è oggi circondata da edifici moderni anche piuttosto brutti; la piazza, con un semicerchio di gradinate in cemento, vuol forse rievocare gli antichi anfiteatri, ed è piuttosto buffo vedere che il fondale della scena è costituito dalle porte illuminate della chiesa in cui si svolge la funzione religiosa. Ma il momento più alto di tutta la settimana l’abbiamo vissuto proprio nel giorno di Pasqua, coinvolti in un rituale già udito nei racconti degli altri, cui credevamo relativamente poco pensando a esagerazioni di comodo, giusto per dire “è successo anche a noi”: bene, è successo anche a noi. Dappertutto, all’aperto, si cucina l’agnello su lunghi spiedi, e chi è di passaggio è automaticamente ospite. Ci siamo fermati a un primo posto, giusto per chiedere di fare una foto: non volevano più lasciarci ripartire ma erano solo le undici, l’agnello non ancora pronto e noi non potevamo chiudere lì la nostra ricerca; ci hanno imposto una merenda con la coratella che tradizionalmente si cucina il giorno prima, innaffiata dal buon vino di casa.
Siamo andati poi a Tripoli dove le informazioni ci davano una baldoria di fuochi e girarrosti, col cielo nero del fumo dei bracieri rimasti accesi per tutta la notte: ma siamo arrivati tardi, trovando la tavola per così dire sparecchiata; quanto al fumo, se l’era portato via un improvviso acquazzone. Ripartiti per l’autostrada, siamo usciti a uno svincolo per consumare sotto un albero il nostro frugale pasto di mezzogiorno, quando dalla casa più vicina abbiamo visto arrivare due giovanotti e un vassoio: succulente porzioni di agnello ancora caldo, dolci tradizionali, uova rosse e… lattine di birra fresca per gli ospiti. Abbiamo ricambiato con la solita bottiglia di vino che ci portiamo dietro per simili occasioni, e che pare sia stata molto gradita: infatti, rientrando a casa, la sventolavano a mo’ di trofeo.

PleinAir 332 – marzo 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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