Polo d'attrazione

Avventure outdoor alla portata di tutti nel gelido e bellissimo inverno del Finnmark norvegese: escursioni sulla neve a bordo di slitte trainate dai cani, notti sottozero in un enorme igloo e l'incredibile esperienza della pesca al granchio reale, gigantesco crostaceo che vive sotto i ghiacci.

Indice dell'itinerario

Rune indica il cielo con la mano, guardandoci con l’espressione di chi sottintende “io ve l’avevo detto”. In realtà il cielo non si vede affatto, confuso in una densa nebbia che neanche il forte vento riesce a disperdere. Quella che sembrava una qualsiasi nevicata sta diventando una vera bufera: forse Rune aveva ragione, non saremmo dovuti partire. I cani continuano a guardarsi intorno, e il loro entusiasmo si spegne nei guaiti. In pochi minuti le slitte si sono completamente ricoperte di neve, il sentiero è scomparso e quel poco che si scorge nell’atmosfera lattiginosa è un’uniforme coltre bianca al di là degli alberi scossi dalla tempesta.
Non più tardi di due ore fa siamo partiti da Sollia, all’estremità nord-orientale della Norvegia, per il nostro appassionante trekking intorno a Kirkenes con gli sled dog, i cani addestrati al traino: un’avventura che abbiamo atteso e preparato fin dall’autunno per arrivare ai primi di marzo. In questo periodo infatti le giornate sono abbastanza lunghe da garantire un buon numero di ore di luce, la neve è ancora abbondante e in condizioni ideali per essere vissuta con gli sci, con i cani o con la snowmobile. Il programma prevede un itinerario di qualche giorno con le slitte, per poi tornare indietro e spingersi poco più a oriente, a Jarfjord, per assistere alla spettacolare pesca dei granchi giganti; l’ultimo giorno, infine, ci aspetta un fantastico itinerario in motoslitta lungo il confine russo. Un progetto che rischia di essere mandato a monte dalle condizioni atmosferiche, peraltro non eccezionali visto che siamo intorno al 70° parallelo, cioè ben al di sopra del Circolo Polare Artico.
Kirkenes si trova nel Finnmark, una stretta lingua di terra che si insinua tra la Finlandia e la Russia, ed è probabilmente una delle località più interessanti della Norvegia per chi ama vivere la natura senza compromessi. Le attività invernali che si possono praticare da queste parti sono numerose, e il paesaggio ne è una perfetta cornice: colline boscose ora rivestite di bianco circondano la moderna e animata cittadina, che si affaccia sul Mar di Barents lungo una costa immancabilmente solcata da fiordi d’ogni dimensione. Lunghi bracci di mare liberi dal ghiaccio si alternano ad insenature pietrificate dal gelo, e più su, di fronte a noi, galleggia la banchisa artica.
Al Polo Nord, effettivamente, sembra di esserci: la bufera si è fatta ancora più violenta e spazza l’aria in orizzontale, offrendoci uno spettacolo di selvaggia bellezza che la mancanza di un reale pericolo rende a dir poco esaltante. Intanto Rune prova a ripartire, raccomandandoci di tenere la nostra slitta vicinissima alla sua perché nella tormenta è facile perdersi: la visibilità si è ridotta a una decina di metri e lui stesso fatica a individuare il sentiero, nonostante sia nato e cresciuto fra quelle colline e quei boschi. La coltre bianca sta quasi sommergendo i cani, che puntano le zampe e tentano di proseguire a testa bassa, e anche l’aiuto che tentiamo di dare spingendo la slitta sembra insufficiente a mantenere una velocità anche minima.
A un tratto, in lontananza, tra il vento e la neve si fa strada il rombo di un motore a scoppio. Rune ferma la sua muta, il rumore si fa più intenso, una luce gialla buca la nebbia e un istante dopo ecco apparire la sagoma di una motoslitta: è Ole, suo fratello, che ha deciso di venire a cercarci con l’ausilio del navigatore satellitare. Le previsioni segnalano un ulteriore peggioramento e decidiamo di tornare alla base, per riprendere il viaggio una volta passata la bufera. La scelta si rivela ideale: prima di cena approfittiamo della sauna nella piccola pensione che ci ospita, quindi ci immergiamo nella vasca idromassaggio all’aperto dove rimaniamo per un’ora, accarezzati dal tepore dell’acqua, tra i fiocchi che continuano a cadere.

Emozioni nel bianco
Al risveglio, finalmente, il sole splende e inizia la preparazione dei cani per l’escursione nell’Øvre Pasvik Nasjonalpark, dove si stende quella che è considerata la più grande foresta primigenia artica. Questa zona è poco conosciuta dai turisti italiani, ma la vallata è una delle mete estive più ambite dai trekker di mezza Europa: nella bella stagione vi si possono incontrare lupi, ghiottoni, alci e anche orsi bruni, oltre a molte specie di uccelli. D’inverno, quando la vita animale rallenta i ritmi, i principali motivi di richiamo sono invece fiumi e laghetti ghiacciati che diventano formidabili piste per le motoslitte, aurore boreali che infiammano il cielo stellato, boschi adornati da gelide trine in cui andare a zonzo sulle slitte trainate dai cani. Quest’attività richiede sempre la presenza di guide esperte ma, seguendone le indicazioni e i consigli, è alla portata di tutti, comprese le famiglie con bambini: si possono effettuare gite di poche ore, di una giornata intera o, per chi ha tempo a disposizione, avventure di più giorni in cui vengono proposte svariate opportunità di scoperta del territorio.
Non vediamo l’ora di partire, così come i cani. La loro eccitazione appena vengono fatti uscire dalle cucce è davvero coinvolgente: l’abbaiare festoso dei prescelti rivela tutta la gioia di poter finalmente correre nella neve, mentre gli esclusi mostrano palesemente la delusione con guaiti e lamenti strazianti. A decidere è il musher, il conduttore, che sa bene quali animali impiegare in funzione del tipo di itinerario, del momento, delle condizioni fisiche o del carattere dei cani e, non da ultimo, del tipo di ospite che dovrà condurre la slitta. La preparazione del traino è questione delicata e di competenza della guida, ma far indossare le imbracature ai cani è un compito spesso affidato ai partecipanti, che iniziano così a entrare in confidenza con gli animali.
Quando il freno si alza dalla neve e la muta comincia a tirare, l’emozione è sempre enorme, e non solo per chi è alla prima esperienza di conduzione della slitta. I furiosi latrati che annunciavano la partenza cessano come d’incanto, e l’unico suono è il fruscio dei pattini sulla neve; poi inizia l’ansare ritmico dei cani, al quale si unisce il nostro ogni volta che dobbiamo spingere la slitta per aiutarli nelle numerose salite che caratterizzano i sentieri della valle.
Raggiungiamo così la frontiera, unico punto di passaggio tra Norvegia e Russia e anche il più settentrionale degli ingressi europei all’area Schengen. Una piccola capanna in legno ospita un bar e un piccolo spaccio di souvenir, poi la strada innevata conduce al varco vero e proprio. Lungo tutto il confine sono schierati i militari dei due paesi e la zona off limits è delimitata da paletti gialli: nel mezzo la terra di nessuno, dove non è il caso di avventurarsi perché ancora oggi i russi non gradiscono gli sconfinamenti. Noi invece percorriamo sentieri e strade secondarie, le uniche dove è consentito il passaggio delle slitte, per giungere nei pressi della vecchia frontiera ormai abbandonata. Saliamo a piedi fino alla recinzione e siamo accolti da un cartello che sembra uno scherzo ma, dice Rune, non lo è affatto: la scritta recita perentoria “Do not urinate towards Russia!”. Evidentemente ai russi non piace la neve gialla.
Sino a qualche tempo fa, tornando verso ovest, si poteva visitare la miniera di Bjørnevatn, cuore dello sviluppo industriale della regione. Oggi il complesso estrattivo si può osservare solo dall’esterno e comunque non vale la deviazione: meglio continuare nella vallata, seguendo per un lungo tratto il fiordo e lasciando i cani liberi di correre senza troppa fatica sulla neve ben battuta, dove c’è un discreto traffico di motoslitte. Di tanto in tanto si incrocia qualche altra muta e i saluti non si risparmiano.
Quando si torna nella foresta, gli alberi che brillano al sole sono un altro indimenticabile spettacolo: i cristalli di ghiaccio che imprigionano i rami fanno esplodere scintille di luce che sembrano schizzare ovunque, mentre la slitta sfreccia veloce e noi quasi fatichiamo a restare in equilibrio sui pattini. Qua e là, durante le brevi soste che ci concediamo lungo il tragitto, notiamo alcune case per le vacanze estive sommerse dalla neve sino alle finestre del primo piano. Più avanti la coltre bianca è spessa pochi centimetri e lascia trasparire qualche chiazza di terra, ma basta avanzare ancora ed ecco che di una grossa barca ancorata a un pontile spunta appena la parte superiore della cabina. Quindi ci inoltriamo fra alberi che sembrano già pronti al risveglio primaverile, per completare un paesaggio assai vario. Quando arriva il tramonto, gli ultimi raggi del sole dipingono il manto bianco di mille sfumature rossastre, più tenui nella foschia della neve sollevata dal vento, più decisi sulle superfici lucide di ghiaccio.
Durante gli itinerari di più giorni in slitta si pernotta in capanne attrezzate o in pensioni convenzionate con l’organizzazione. In ogni caso, prima che a sé stessi bisogna pensare ai cani i quali vanno liberati dai finimenti, sistemati in modo che non si azzuffino durante la notte e, naturalmente, sfamati con il cibo che ci si è portati dietro fin dalla partenza. Solo dopo aver compiuto queste operazioni ci si può riposare, cenando con cibi tradizionali (in particolare carne di renna e pesce affumicato) e chiacchierando allegramente. La notte arriva presto, ma non si corre certo il rischio di annoiarsi nell’attesa di andare a dormire: la stanchezza arriva molto prima.
Il giorno successivo ci rimettiamo in marcia verso nord-ovest incontrando soltanto qualche abitazione isolata, soprattutto sulle rive dei fiordi. In un ambiente naturale così puro e selvaggio è probabile incontrare le renne e in questo caso è necessario governare i cani, molto eccitati e difficili da tenere a freno: l’istinto li porta a inseguirle e serve tutta l’autorevolezza del musher per convincerli a desistere. Ancora oggi l’allevamento delle renne costituisce una risorsa economica fondamentale per i Sami, la popolazione indigena scandinava che nella Lapponia norvegese conta circa 80.000 persone.
Il tempo ricomincia a guastarsi, ma siamo ormai in vista di Kirkenes dove salutiamo i cani e pernottiamo allo Snow Hotel, alla periferia dell’abitato. Gli alberghi costruiti con ghiaccio e neve sono nati agli inizi degli anni ’90 in Svezia, a Jukkasjärvi, dove venne costruito il primo Ice Hotel; in Norvegia ne esistono tre, ma quello di Kirkenes ha la particolarità di essere composto quasi interamente di neve, mentre gli altri sono perlopiù realizzati con blocchi di ghiaccio. Normalmente la struttura viene eretta a dicembre e rimane aperta fino a marzo, ma tutto dipende dalle condizioni atmosferiche. La tecnica costruttiva è interessante: un pallone ad aria semisferico, del tipo utilizzato per coprire i campi da tennis o le piscine, viene ricoperto di neve irrorata abbondantemente d’acqua sino a formare una volta di adeguata solidità, dopodiché il pallone viene sgonfiato ed estratto. Intorno al gigantesco igloo così ottenuto, che funge da hall, vengono poi costruiti i corridoi e le stanze in cui la temperatura è pressoché costante, intorno ai 5° sotto zero. Tutto è fatto di acqua congelata, i letti, le lampade, il bar, i bicchieri, le poltrone. Unica concessione al caldo, per così dire, sono le pelli di renna disseminate ovunque. Prima di ritirarsi per la notte, agli ospiti vengono consegnati speciali sacchi a pelo e tutte le istruzioni per un sonno tranquillo: un’esperienza curiosa e divertente, da provare almeno una volta nella vita.

A tavola con il re
Ben diversa la curiosità che ci attende sullo Jarfjorden, il punto più orientale di questo fantastico viaggio all’estremo nord del continente. Affacciata lungo il fiordo, uno dei più larghi e profondi di questa costa, c’è la casa di Lars, che ha trasformato in lavoro la passione per le immersioni estreme: è infatti un subacqueo autorizzato alla pesca del mitico king crab, il granchio reale rosso. Questo pregiato crostaceo, che in alcuni casi può raggiungere dimensioni straordinarie (fino a 2 metri), fu introdotto nel Mar di Barents dai russi durante gli anni ’60; in breve la popolazione crebbe e raggiunse anche il territorio norvegese. Da una decina d’anni a questa parte è diventato oggetto di pesca industriale, ancorché strettamente regolamentata nel numero di autorizzazioni concesse, nel tipo di attrezzature utilizzate e soprattutto nella quantità di granchi che possono essere raccolti.
L’esperienza che ci apprestiamo a vivere è però di tutt’altro genere. Arriviamo sullo Jarfjorden in tarda mattinata; il cielo è grigio e la temperatura è di una decina di gradi sotto lo zero, ma evidentemente i giorni scorsi ci hanno abituato ai rigori dell’inverno artico e non proviamo alcuna sensazione di freddo. Lars spiega al nostro piccolo gruppo le essenziali nozioni di sicurezza e ci consegna l’abbigliamento necessario: si tratta di speciali mute che garantiscono una perfetta tenuta termica e una totale galleggiabilità in caso di caduta in acqua, evitando gli ingombranti giubbotti di salvataggio. Poi raggiungiamo il fiordo e saliamo a bordo di un gommone il cui potente motore da 200 cavalli, tenuto al minimo, fatica non poco ad avanzare. Davanti alla prua si aprono grosse fenditure dove la chiglia in vetroresina spacca il ghiaccio, mentre a poppa la robustissima elica tritura i pezzi in una gigantesca granita. Ci vuole più di mezz’ora per raggiungere un tratto di acqua libera, dove il battello acquista velocità, ma è un’ebbrezza che dura poco perché ben presto ritroviamo le lastre ghiacciate e torniamo a procedere lentamente. Il panorama cambia di continuo, come le condizioni atmosferiche. Quando un raggio di sole buca le nuvole, il fiordo scintilla come una distesa di diamanti; poi la nebbia arriva all’improvviso e tutto sparisce dietro un velo ovattato, che di tanto in tanto si dissipa rivelando piccole baite in legno addormentate in attesa della bella stagione o qualche foca che fa capolino dalla superficie gelata.
Prima di giungere nella zona di pesca, Lars offre a coloro che lo desiderano l’opportunità di un originale bagno polare. Ne approfitta per prima una matura coppia di belgi: indossata la tuta stagna, i due si gettano dal gommone infrangendo lo strato di ghiaccio e subito affiorando dall’acqua in una divertente interpretazione nordica del morto a galla, grazie alle particolari caratteristiche del capo che li mantiene in superficie. Risalgono a bordo, entusiasti e asciutti, dopo una decina di minuti.
Nel frattempo Lars ha indossato la sua muta e, dopo aver sistemato la bombola e controllato l’erogatore, sfonda la crosta gelata e scompare. Rimaniamo qualche minuto in attesa, poi vediamo le bolle arrivare in superficie… ed ecco spuntare dall’acqua le chele di due enormi granchi, che vengono prontamente caricati sul gommone. Ancora un paio di immersioni e altri sei crostacei si aggiungono al bottino: nessuno è inferiore ai due chilogrammi di peso, come prescrive la legge, e alcuni superano abbondantemente i quattro. Per noi, abituati a dimensioni decisamente inferiori, è sorprendente pensare che le uniche armi utilizzate da Lars per catturare i granchi sono le sue mani.
Tornati alla base, un’interessante presentazione multimediale ci illustra le caratteristiche del king crab, la storia della sua introduzione in Norvegia e le tecniche di pesca. E’ un modo piacevole per ingannare l’attesa del pranzo, ovviamente a base di granchio gigante bollito: solo le chele sono commestibili, ma la loro dimensione è tale che c’è carne in abbondanza anche in un solo esemplare. Chi ha assaggiato la polpa in scatola o ha gustato le nostre pur deliziose granceole non ha idea del sapore di un granchio reale rosso norvegese, che ogni amante dei crostacei troverà incomparabile.
Ormai satolli, ci sediamo al calduccio davanti alla grande vetrata che domina il fiordo gelato. La neve ha ripreso a scendere, un piccolo peschereccio procede a fatica tra il ghiaccio, qualche ragazzino pattina vicino alla riva. E non c’è dubbio, di fronte a questo candido orizzonte, su quale sia il colore della serenità.

Testo di Pier Vincenzo Zoli Foto di Mauro Camorani

PleinAir 460 – novembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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