Poker d'assi

In una manciata di chilometri, quattro piccole città delle Marche collinari – Recanati e Loreto le più celebri, con l'ottima compagnia di Osimo e Castelfidardo – si fronteggiano vantando con orgoglio le proprie tradizioni storiche, culturali, religiose ed economiche. Un piccolo viaggio alla ricerca di suggestioni letterarie, folklore musicale, espressioni di fede e inattese meraviglie dell'arte.

Indice dell'itinerario

“Quel dommage que ce pays ne soit pas entre les mains d’un souverain qui en puisse faire un meilleur usage”. Ovvero, peccato che questo paese non sia nelle mani d’un sovrano capace di farne miglior uso: fu questa la sconcertante riflessione dell’umanista francese Charles de Brosses mentre attraversava il territorio al confine tra le province di Ancona e Macerata, nel febbraio del 1740. E come lui tanti viaggiatori – artisti, politici, scienziati – riconosceranno la bellezza e la fertilità di queste placide colline dal clima mite, abitate da una popolazione operosa. Un invidiabile contesto che a quell’epoca si trovava relegato in una condizione di degrado dall’amministrazione dello Stato della Chiesa, disinteressato alla sua valorizzazione sociale e culturale ma attento a sfruttarne le ricchezze, portando nei granai dell’Urbe il raccolto locale attraverso l’unica grande via di comunicazione allora esistente fra la costa adriatica e Roma.
Se è vero che circa un secolo dopo gli eventi presero un nuovo corso, è altrettanto vero che la circolazione, ancora ai giorni nostri, non è cambiata di molto. Il grande flusso del traffico autostradale che attraversa le Marche lambisce appena la collina loretana, dominata dal superbo santuario mariano, ma i tanti viaggiatori di passaggio spesso ignorano che a pochi minuti ci si può immergere nella nascosta realtà di borghi densi di numerosi ed eterogenei motivi d’interesse, capaci di proporsi con semplicità a chi sa riscoprire, tramite le piccole cose, le grandi tappe della tradizione e della storia.

Pellegrini e non solo
Data la posizione, la città più città da individuare è senz’altro Loreto. La sua storia è relativamente giovane: sulla collina dove sorge non risultano insediamenti anteriori alla fine del XIII secolo, quando un evento straordinario influì radicalmente sul percorso storico e religioso non solo della regione ma della stessa cultura occidentale. La tradizione vuole infatti che un gruppo di angeli trasportò in volo fin quassù la casa di Nazareth dove Maria aveva vissuto e ricevuto il mistero della sua maternità. Tra devozione e leggenda, è probabile che i pochi resti del presunto rifugio della Madonna siano stati sottratti all’invasione musulmana della Palestina arrivando da queste parti su navi crociate. Documenti antichi indicano le “sante pietre” tra i doni ricevuti da Filippo d’Angiò in occasione del matrimonio con la figlia di Nicefaro Angeli, despota dell’Epiro: un gioco di assonanze che rende ancora più labile il confine tra credenze popolari e realtà. Di fatto, dalla notte del 10 dicembre 1294 (“la venuta” ricordata ancora oggi da decine di falò accesi nelle campagne circostanti), la Santa Casa trovò la sua nuova collocazione.
Oggi Loreto è uno dei luoghi mariani più venerati del mondo e ogni anno vi giungono milioni di fedeli. Al di là del profondo misticismo, inoltre, la basilica riveste grandissimo interesse dal punto di vista artistico e architettonico e merita quindi una visita dettagliata. Salendo dall’area di sosta per i camper si giunge rapidamente alla balconata che offre un ampio panorama sul mare e sul promontorio del Conero: la cosiddetta Scala Santa scende nel verde al suggestivo cimitero di guerra polacco, mentre l’accesso di Porta Marina conduce all’interno delle mura. Si raccomanda di seguire, per quanto possibile, l’itinerario pedonale attorno alla basilica: l’emozione è assicurata e diversa a seconda del punto in cui si accede alla spettacolare piazza centrale. Chiusa su due lati dalle volte sovrapposte del Palazzo Apostolico, vi si prospetta la candida facciata rinascimentale della chiesa; la grande cupola, realizzata da Giuliano da Sangallo nel 1500, è la terza in Italia per dimensioni dopo San Pietro in Vaticano e Santa Maria del Fiore a Firenze, mentre il campanile settecentesco è di Luigi Vanvitelli.
Se l’esterno del santuario lascia a naso in su, l’interno non è da meno: in forme tardogotiche, probabilmente su progetto di Francesco di Giorgio Martini, fu concepito per accogliere un gran numero di fedeli e consentire loro di venerare la Santa Casa, posta al centro del transetto. L’elemento più spettacolare è senza dubbio il rivestimento marmoreo che la custodisce, ideato dal Bramante e realizzato in seguito da Gian Cristoforo Romano, Andrea Sansovino, Raniero Nerucci e Antonio da Sangallo il Giovane, con gli splendidi bassorilievi dedicati alla vita terrena di Maria. Singolare l’inginocchiatoio perimetrale, solcato in profondità dai fedeli in preghiera che ne compiono il periplo. Varcata la soglia, con raccoglimento e massima discrezione si osservano i resti delle mura arrivate dalla Terra Santa e alcuni affreschi del ‘300 di scuola umbro-riminese; la statua della Madonna ha sostituito prima l’originaria icona bizantina, misteriosamente scomparsa nel XVI secolo, e poi quella distrutta dall’incendio del 1921.
Le funzioni religiose che si svolgono incessantemente non impediscono di osservare le cappelle laterali del transetto e del deambulatorio, ma soprattutto gli affreschi di Melozzo da Forlì nella sagrestia di San Marco e di Luca Signorelli in quella di San Giovanni. Uscendo dal braccio sinistro del transetto si accede alla spettacolare Sala del Tesoro, capolavoro del Pomarancio, per ritrovarsi poi sotto il lungo porticato esterno: percorrerlo significa entrare in contatto con la difficile realtà di chi, malato o sofferente, si reca a Loreto guidato dalla fede e dalla speranza.
Alle estremità del lungo corridoio ampi scaloni conducono al piano superiore del Palazzo Apostolico, con una veduta incomparabile della piazza e del santuario: da qui si passa al ricco Museo-Pinacoteca dove sono esposti arazzi, maioliche, oggetti preziosi ma soprattutto alcuni dipinti di Lorenzo Lotto, l’incompreso pittore veneziano che trascorse gli ultimi anni della sua esistenza proprio a Loreto (vedi riquadro). Prima di tornare al camper, vale la pena oltrepassare l’arco centrale che immette nella panoramica Piazza Giovanni XXIII, dominata dalla statua del Papa Buono; si esce infine per la Porta Romana e si segue la cinta muraria per una breve passeggiata, che consente di cogliere al meglio l’originaria struttura dei bastioni e la sua integrazione con il santuario e le successive sovrapposizioni civili.

Sempre caro mi fu
Uscendo da Loreto per Via Fratelli Brancondi, la provinciale 77 conduce in pochi minuti alla città natale di Giacomo Leopardi, Recanati. Puntiamo sulla comoda e ombreggiata area di sosta, a ridosso del centro storico: quattro passi e si accede proprio alla scenografica Piazza Leopardi. Al sommo poeta è dedicata la prima passeggiata tra vicoli e palazzi di un’altura che era stata culla della civiltà picena e quindi colonia romana. Divenuta libero comune, la città dell'”ermo colle” fu protagonista delle controversie intestine alla Chiesa e della sfida tra guelfi e ghibellini, per restare sottomessa allo Stato Pontificio fino all’Unità d’Italia. Il “natio borgo” non era poi così “selvaggio”, stando ai notevoli episodi architettonici che ancora oggi testimoniano la ricchezza culturale e commerciale di Recanati nei secoli XV e XVI.
Qui tutto ricorda Leopardi, non solo attraverso le targhe che riportano i suoi versi più famosi, ma con le memorie storiche degli angoli più caratteristici che compongono una sorta di affascinante percorso letterario. Lo stesso Palazzo Comunale, di forme neoclassiche, è stato realizzato nel centenario della sua morte; la Torre del Borgo, coronata da merli ghibellini, è invece quel che resta dell’antica sede municipale. Costeggiando la chiesa di San Domenico, con prezioso portale marmoreo, lungo Via Cavour si scoprono altre ricchezze cittadine: sulla destra il Teatro Persiani, sede del museo dedicato al tenore Beniamino Gigli, altro celebre figlio di Recanati; poco più avanti sul lato opposto l’elegante Palazzo Venieri, dal caratteristico peristilio con un balcone che si affaccia sulla vallata del Musone e sul Conero.
Siamo in prossimità della chiesa di Sant’Agostino, con il meraviglioso portale in pietra d’Istria, purtroppo mal conservato; il campanile mozzo che domina il chiostro è ciò che resta della Torre del Passero Solitario. Girandovi intorno e scendendo la stretta Via Roma si rivivono le fasi fondamentali della vita del poeta, come nella chiesa di San Vito, risalente all’XI secolo ma che deve la facciata al Vanvitelli: in questo oratorio il piccolo Giacomo era solito leggere i suoi sermoni. Dal degradato Palazzo Antici, dove era nata la madre, accedere alla Piazzuola Sabato del Villaggio significa viaggiare a ritroso nel tempo: è quasi istintivo figurarsi il giovane studioso nella sua casa patrizia, che domina l’intrigante scenografia, mentre cerca con lo sguardo l’amata Silvia o mentre si prepara a servir messa nella chiesetta di Santa Maria in Montemorello. L’antico Palazzo Leopardi, con il museo e la preziosa biblioteca, rappresenta una meta obbligata per chiunque; e pochi rinunciano a percorrere i sentieri in mezzo al verde che tagliano il Monte Tabor e che, costeggiando il Centro Mondiale della Poesia e della Cultura, portano al celeberrimo Colle dell’Infinito.
Riguadagnata la piazza centrale e la Torre del Borgo, Corso Persiani e Via Falleroni conducono rapidamente verso la cattedrale di San Flaviano, la cui facciata fu incorporata nell’Episcopio. Si tratta di un quartiere che caratterizza la vecchia Recanati, con resti di bastioni sforzeschi, scorci panoramici e i più importanti musei cittadini: quello diocesano d’arte sacra e soprattutto la Villa Colloredo Mels, con la sezione archeologica e la preziosa pinacoteca che comprende alcune tra le più significative opere di Lorenzo Lotto. Poco oltre, il sobborgo di Castelnuovo custodisce la chiesa di Santa Maria, del XII secolo, con caratteristica facciata a capanna. Non è facile accedervi in camper, ma chi dovrà rinunciare a causa delle dimensioni del veicolo potrà consolarsi proseguendo sulla stessa strada per qualche chilometro in direzione di Montefano, dove la spettacolare Rocca di Montefiore può far rivivere una notte d’altri tempi.

Ad unire l’Italia
Pochi chilometri sulle provinciali che solcano le campagne ci portano in una città dall’impronta alacre, senza appariscenti pregi artistici. A Castelfidardo non restano tracce evidenti delle origini, documentate nel XII secolo ma certamente più remote: tuttavia questo comune riveste un ruolo di primo piano nella storia d’Italia, poiché qui il 18 settembre 1860 si combatté la battaglia fra le truppe del Regno di Sardegna e quelle del papato, la cui sconfitta portò all’annessione di Marche e Umbria nel nascente stato italiano. Allo stesso periodo risale la tradizione manifatturiera delle fisarmoniche, consolidatasi già alla fine dell’800 e tuttora in primissimo piano nell’industria mondiale di questo strumento tanto caro alla musica di matrice popolare.
Due le passeggiate raccomandate: la prima nel raccolto centro storico, la seconda nel polmone verde adiacente all’abitato, il grande parco sulla collina di Monte Cucco. Per entrambe la migliore soluzione di sosta è in Piazzale Michelangelo, ben accessibile malgrado sia chiuso da abitazioni. Lungo ripide scalette o per una leggera salita si arriva a Porta Marina, accesso pedonale a Piazza della Repubblica. L’antico palazzo priorale, dominato da una torre merlata, è oggi sede del Comune; nelle sale seminterrate è sistemato il Museo Internazionale della Fisarmonica, una collezione di ben 350 modelli. Oltrepassata la Collegiata di Santo Stefano, Palazzo Mordini ospita l’originale Museo del Risorgimento, sezione didattica di quanto si può cogliere visivamente nei luoghi della battaglia del 1860. A ricordare lo scontro è il grandioso Monumento Nazionale delle Marche: situato in un vastissimo parco di conifere, commemora la vittoria dell’esercito piemontese e si tratta probabilmente del più imponente di questo genere in tutta la penisola. Nel defilato sacrario, eretto nel 1870 tra i campi di battaglia di Monte Oro, riposano le salme dei caduti di entrambi gli eserciti. Siamo nel territorio protetto della Selva di Castelfidardo, un fitto bosco di complessa e antica costituzione che rappresenta un vero patrimonio naturale, da esplorare accuratamente grazie ai tanti sentieri che lo attraversano.

Cuore antico
Per raggiungere Osimo da Castelfidardo è consigliabile percorrere la strada che passa per la frazione di Campocavallo: vi si trova un santuario di inizio ‘900 nel quale è allestito uno spettacolare presepe meccanico e i cui parcheggi offrono una valida situazione di sosta notturna. Non si può invece pernottare presso l’Aula Verde La Confluenza, un grande giardino didattico sulle rive del fiume Musone, e parcheggiare in città è complicato. La parte più interessante di Osimo si sviluppa infatti sulla sommità della collina e la zona non pedonalizzata si caratterizza per le strade strette e i passaggi difficoltosi, così come l’accesso all’area riservata ai veicoli ricreazionali dietro le mura del parcheggio coperto per le auto. Il sito è però strategicamente valido perché servito dalla comoda funicolare simpaticamente chiamata tiramisù. Quanto ai nomignoli cittadini, gli stessi osimani sono detti senza testa per via delle statue acefale custodite nel Palazzo Comunale. L’origine di questo appellativo sarebbe però da ricondurre, secondo una leggenda, alla rivalità con la dirimpettaia Castelfidardo. Si narra che i fidardensi avessero celato il campanile dietro la vegetazione per non far vedere l’ora agli osimani, e questi pensarono bene di realizzare un cannone con un tronco di fico per sparare alla torre: ma al primo tentativo l’improvvisata arma da fuoco esplose, facendo vittime sul posto, mentre i sopravvissuti si domandavano, per l’appunto “senza testa”, che disastro potessero aver provocato dall’altra parte visto ciò che era accaduto a loro stessi.
Raccolto in un affascinante e armonioso impianto urbano, il cuore di Osimo richiama l’antichità, quando l’originario insediamento gallico lasciò il posto a un importante municipio romano. La posizione strategica della città fu contesa nel tempo da Goti e Longobardi ma anche da fazioni guelfe e ghibelline, finché divenne libero comune prima di essere sottomessa al dominio papale. La visita può iniziare dallo splendido duomo romanico-gotico di San Leopardo, con spettacolare cripta a tre navate; adiacenti sono il rimaneggiato battistero, con ricco soffitto ligneo e fonte battesimale in bronzo, e il Museo Diocesano, che custodisce opere di Simone De Magistris e della scuola del Bernini. Per godere di un vasto panorama vale la pena scendere ai sottostanti giardini di Piazza Antonio Gramsci, mentre il facile percorso turistico si snoda lungo l’asse viario principale dell’antico nucleo storico, fiancheggiato da notevoli palazzi patrizi tra i quali spicca la sede comunale del XVII secolo, con il lapidarium romano che comprende le famose statue decapitate. Da Piazza Boccolino e dal corso si raggiungono la chiesa di San Giuseppe da Copertino e il Palazzo Campana, che oggi custodisce la Biblioteca Comunale, l’Archivio Storico, con pergamene e manoscritti che risalgono anche all’XI secolo, e il Museo Civico, in cui si conservano fra l’altro una Madonna col Bambino in pietra del XIII secolo, affreschi di Andrea da Bologna e un polittico di Antonio e Bartolomeo Vivarini. Una puntata alla chiesa di San Marco per ammirare una grande tela del Guercino e scendiamo poco più a valle sotto le antiche mura, in prossimità dei resti della romana Fonte Magna, dove si trova l’ingresso a una rete di gallerie e cunicoli sotterranei accessibili al pubblico. Non si conosce l’origine di questo sistema ipogeo, ma è evidente che nel corso del tempo ha assolto a varie funzioni: riserva idrica, luogo di cerimonie rituali e persino rifugio antiaereo durante l’ultima guerra, quasi a voler sancire la complessa varietà delle vicende storiche e culturali del territorio. Da qui, a meno di non voler proseguire nella scoperta o attardarsi nel circondario in occasione degli eventi natalizi, si raggiungono in breve i grandi assi stradali per il ritorno.

Testo e foto di Daniele Giorgini

 
PleinAir 449 – Dicembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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