Turchia: pietre di mare

Viaggiando in libertà lungo le splendide spiagge mediterranee della Turchia e verso le bianche colline di Pamukkale: dove i paesaggi si fanno cultura e la vacanza pleinair ritrova tutto il piacere della scoperta.

Indice dell'itinerario

Chi ci ha seguito negli ultimi due anni lungo la costa egea della Turchia troverà questa volta il tassello che mancava a completare il mosaico, ovvero il tratto da Marmaris ad Antalya. Vi si può accedere semplicemente proseguendo quello da noi già illustrato fino a Marmaris (lasciata Cnido si prende il bivio per Fethiye, una ventina di chilometri dopo la città di Mugla); se invece ci si vuole spostare unicamente in base a questo itinerario, sbarcati a Çesme si entrerà in autostrada per uscirne dopo 190 chilometri ad Aydin, città dalla quale mancano 110 chilometri di buona strada per il bivio.
Da qui in poi il viaggio in direzione di Fethiye si presenta in gran parte a rettilinei, attraversando piacevoli paesaggi agresti. Merita una prima sosta il centro agricolo di Köycegiz, in riva al lago omonimo: sulla passeggiata rivierasca si trovano ristoranti, caffè, motobarche per escursioni e un ufficio turistico a cui chiedere informazioni per raggiungere i bagni termali e la cascata. I battelli, attraversato il lago, imboccano l’emissario Dalyan che sfiora un frequentato sito di fanghi medicamentosi e tocca il paese omonimo giungendo infine a una spiaggia, scelta dalle tartarughe Caretta caretta per deporvi le uova (gli ambientalisti sono riusciti a tutelare il sito impedendo la costruzione di un grande albergo).

A Dalyan si può arrivare anche in camper deviando a destra dopo una dozzina di chilometri della superstrada per Fethiye; ma il paese, in quanto meta delle citate escursioni fluviali, è sin troppo frequentato. Mancando le segnalazioni, bisogna andarsi a cercare la rotabile per una seconda magnifica spiaggia protetta, quella di Iztuzu, dove arriveremo con il camper sfiorando una bella laguna e terminando fra pini e oleandri splendidamente fioriti: i suoi 4 chilometri formano un tutt’uno con l’arenile raggiunto dalle motobarche, e per evitare disturbo alla deposizione notturna delle uova da parte delle tartarughe la strada è transitabile solo nelle ore diurne, quando viene alzata la sbarra un chilometro prima del parcheggio provvisto di chioschi per il ristoro.

 

Ruderi e canyon

L'antica chiesa ortodossa di Kaya Köyü
L’antica chiesa ortodossa di Kaya Köyü

Proseguendo per Fethiye abbiamo avuto occasione di visitare due strutture ricettive. Il nome Günlüklü segnato sulle carte si riferisce a un campeggio (un chilometro dalla superstrada) che, in un territorio dove il pino regna indisturbato, è invece avvolto da un fresco boschetto di caducifoglie per poi terminare con un’ampia spiaggia. Poco oltre, il camping di Katrancik è separato dalla strada da un sipario di colline ricoperte di pineta, base ideale per un picnic. Qui la spiaggia non è molto ampia e il mare più chiuso, e in entrambe le strutture le tende prevalgono largamente.

Fethiye è una città commerciale piuttosto animata, con un’ampia periferia che attraverseremo per cercare il grande parcheggio a pagamento, anche notturno, nella zona del porto turistico; l’adiacente banchina è una sorta di supermarket della goletta dove potrete chiedere, nella classica passeggiata del dopocena, il costo delle gite organizzate. Nelle vicinanze si trovano anche i resti di un teatro ellenistico dissotterrato a metà degli anni ’90. Da effettuare invece di giorno la camminata nella parte alta della città vecchia per ammirare alcune tombe rupestri, in particolare quella detta di Aminta.
Lasciando Fethiye, vale la pena compiere una piccola deviazione: sulla Çarsi Caddesi (senso unico in uscita) chiedete della strada per Kaya Köyü, villaggio fantasma abbandonato a seguito della guerra greco-turca del 1919-1922, che si raggiunge sfiorando il Castello dei Cavalieri e quindi scavalcando la montagna con qualche erta salita. L’edificio più interessante dell’insediamento è la Panagya Pyrgiotissa, la vecchia chiesa ortodossa con affreschi, volte elaborate e un’iconostasi in marmo, visita per la quale il cortese proprietario del ristorante Istanbul mette gratuitamente a disposizione il proprio parcheggio, avendo anche allestito un comodo percorso per l’accesso.

Poco più avanti, superando l’agglomerato commerciale e turistico di Hisarönü, si trova la spiaggia di Ölüdeniz, parzialmente inserita in un parco naturale (vi si pratica anche il parapendio) e servita da numerosi alberghi. Della lingua di sabbia con retrostante laguna, le foto aeree riprodotte su dépliant e cartoline mostrano le incantevoli sfumature di colore di acque basse e profonde: uno scenario che vale senz’altro la visita, ma occorre notare che il lido aggregato al parco include anche l’unico vero parcheggio della località con recinto, sbarra e accesso a pagamento con una tariffa non troppo diversa da quelle nostrane.

L'area archeologica di Tlos conserva alcune tombe licie provviste di un piccolo tetto
L’area archeologica di Tlos conserva alcune tombe licie provviste di un piccolo tetto

Ripresa la superstrada e seguendo dopo una quindicina di chilometri l’indicazione per Burdur, poi quasi subito quella per Tlos, si lascia un territorio piuttosto desolato per prendere le vie secondarie di una Turchia agricola e preturistica irrigata da freschi canali. A una nuova segnalazione sono ancora 4 i chilometri per salire all’antichissima città di Tlos, divenuta romana e poi bizantina, con affascinante veduta dall’acropoli sui resti archeologici e su un’imponente catena montuosa dai toni rosati. Siamo nella regione della Licia che, stando all’Iliade, era abitata quantomeno dal 1200 a.C. Della civiltà dei Lici, l’aspetto più sorprendente riguarda un culto dei morti davvero singolare per la ricchezza di fantasia negli stili delle tombe, e proprio a Tlos se ne ammirano esempi notevoli come il sepolcro di Bellerofonte, così chiamato dal rilievo che riproduce l’eroe mitologico a cavallo di Pegaso. La sosta e l’eventuale pernottamento nell’adiacente spazio sterrato sono resi ancora più gradevoli da una freschissima fontanella; salendo ancora un paio di chilometri, si troveranno alcuni ristoranti dove la trota è pietanza di rito. Percorrendo altri 12 chilometri dopo il bivio per Tlos si arriva allo spettacolare canyon fluviale di Saklikent, una fenditura lunga 18 chilometri e così stretta e profonda che i raggi del sole non vi penetrano e l’acqua è gelida anche d’estate. All’esterno si trovano alcune radure con ristori e souvenir dove è possibile sostare liberamente con il camper, potendosi così dedicare a un’escursione che inizia su una solida passerella superando in parete le acque vorticose, per giungere a una zona più larga e piacevolmente ombreggiata dove il titolare del ristoro ha attrezzato un’area relax con piani di legno sospesi quasi a pelo d’acqua e rivestiti di tappeti. Sembrerebbe impossibile a prima vista proseguire, ma noleggiando un paio di calzature di gomma e afferrandosi a una fune tesa sull’acqua si supera la zona impraticabile, riuscendo a risalire il canyon per ancora un paio di chilometri. Le acque del Saklikent le ritroveremo più tardi ad arricchire il corso dell’Esen Çayi, l’antico fiume Xanthos che scende qui in un vasto alveo a livello della strada fatto di rivoli turchini.

 

Escursioni lungocosta

Un gregge di capre lungo lo Xanthos
Un gregge di capre lungo lo Xanthos

Ripreso il percorso principale, per un lungo tratto i soli incontri saranno un paio di villaggi e qualche gregge di capre, prima di fermarci accanto agli estesi ruderi di Xanthos (se si arriva di buon mattino ci si potrà fermare all’ombra della grande quercia che sorge nei pressi della biglietteria) che della Licia fu una delle città più importanti e sfortunate, varie volte distrutta e ricostruita a seguito di attacchi nemici e di devastanti incendi. Giungendo da nord, sulla destra della strada che attraversa la città si trova un monolito sul quale è incisa la più lunga iscrizione nota in lingua licia: si trattava di una sepoltura a pilastro della quale altri cospicui esempi sono, accanto al teatro romano, la tomba delle Arpie – ma i rilievi sono una copia, mentre gli originali sono conservati al British Museum di Londra – e un’altra limitrofa con sarcofago in forma di abitazione. Tra molto altro da vedere a Xanthos vanno ricordati i mosaici pavimentali tra i ruderi della grande chiesa bizantina e i notevoli resti di una seconda basilica della stessa epoca.
Patara è un’altra delle calde spiagge del sud del paese preferite dalla Caretta caretta. Il villaggio di Gelemis si trova a circa 3 chilometri dall’immenso arenile a dune lungo quasi una decina, che rimane quindi indenne da brutture edilizie ed è reso eccezionalmente tranquillo anche dalle limitate possibilità di parcheggio. Dei resti della città in cui nacque San Nicola si ha un assaggio nella porta romana magnificamente conservata lungo strada poco prima della biglietteria. Proseguendo oltre il bivio per Patara, la carrabile si restringe e, dopo aver superato l’incredibile concentrazione edilizia della baia di Kalkan, prosegue a mezza costa sulle rocce con unico accesso al mare dalla spiaggia di Kapitas, allo sbocco di uno stretto canyon. Arrivando a Kas, centro rinomato per le immersioni subacquee, si notano le faraoniche banchine di un porto turistico; molto più godibile l’animato porticciolo del borgo, con i giardinetti e i caffè.

Il porticciolo del villaggio di Üçagiz
Il porticciolo del villaggio di Üçagiz

Una digressione attraverso bei paesaggi collinari conduce al villaggio di Üçagiz, con i resti della licia Theimussa. Per la sosta c’è uno sterrato adiacente al mare che, pur privo di spiagge, piace per le molte isolette da visitare anche qui in motobarca, oppure con canoa o gommone al seguito del v.r., apprezzando in particolare quella di Kekova nelle cui acque tersissime sono ben visibili resti di edifici e tombe. Gradevole anche il paese costiero di Kale, sovrastato dall’acropoli dell’antica Simena e dal Castello dei Cavalieri. Nel lasciare Üçagiz, al primo villaggio conviene deviare a destra seguendo l’indicazione per Kapakli: la bella scorciatoia asfaltata corre in un ambiente disabitato e selvatico, spuntando dopo una ventina di chilometri sulla Kas-Antalya proprio accanto ad alcuni resti della licia Sura.

In epoca romana il porto di Andriake era, come quello di Patara, molto frequentato dalle navi che caricavano il grano anatolico diretto a Roma. Presso la foce del fiume anticamente chiamato Androko si trova oggi una banchina utilizzata come ormeggio di imbarcazioni per l’escursione a Kekova, ma basta raggiungere da monte la strada che corre lungo la sponda sinistra del fiume (l’attuale acquitrino era il porto antico) per scoprire, fra altri ruderi, gli imponenti resti del granaio voluto da Adriano con i rilievi dell’imperatore e della moglie Faustina. Una stradina asfaltata risale l’adiacente collina per svoltare dopo 3 chilometri verso il mare e scendere a un lungo arenile che abbiamo trovato praticamente deserto: uno di quei posti dove ci si tuffa per un paio di bracciate ma poi non si vorrebbe più uscire. Il bello è che oltre il capo roccioso la strada tocca la spiaggia di Demre, molto frequentata forse perché servita da numerosi locali: motivo di grande richiamo è però la chiesa bizantina in cui si conservarono, fino al Medioevo, le spoglie di San Nicola poi trasportate a Bari.

Le sepolture rupestri di Myra riproducono una città in miniatura per la vita ultraterrena
Le sepolture rupestri di Myra riproducono una città in miniatura per la vita ultraterrena

Un paio di chilometri a monte di Demre, i resti di Myra (di cui San Nicola fu vescovo) giacciono ai piedi di una parete di roccia della quale i Lici fecero una necropoli rupestre di particolare attrattiva, scolpendo nella roccia tanti piccoli vani che riproducevano con minuziosa cura le caratteristiche architettoniche delle abitazioni. Sepolcri come questi li avrete certo già incontrati nel corso del viaggio, ma in nessun posto come qui la cittadella dell’aldilà offre altrettanta suggestione: un fascino che nasce anche dal sottostante teatro romano stupendamente conservato, dove le rappresentazioni dovevano essere allestite anche per gli spettatori di lassù, pronti ad affacciarsi alle loro buie finestrelle per condividere il divertimento con i vivi.

 

Il fiato del mostro

Lingue di fuoco spuntano dalla roccia nel parco della Chimera
Lingue di fuoco spuntano dalla roccia nel parco della Chimera

Una strada tutta litoranea lungo una sponda quasi sempre scoscesa ci porta a Finike, antico villaggio di fondazione fenicia ma ormai città con torreggianti condomini e un frequentato porto turistico; più avanti il tracciato si porta nell’interno tra estese alture coperte di pini.
Le nostre prossime mete sono i villaggi costieri di Olimpos e Çirali, che visiteremo però in ordine inverso tralasciando il bivio per il primo di essi e imboccando la successiva deviazione per il secondo. Una strada sinuosa ci porta così alle prime case di Çirali, oltre le quali un’appendice più stretta ma praticabile conduce a una pineta e a una piccola struttura, sede del parco della Chimera. Se farete in modo di arrivarci verso sera, sarà un luogo eccellente per trascorrere la notte e per rifornirsi d’acqua; ma ancor più per una singolare passeggiata in montagna (ricordarsi una torcia per il ritorno) seguendo per mezz’ora una buona mulattiera fino a un’ampia radura rocciosa, dove brillano lingue di fiamma generate da emissioni di gas sotterraneo. Il fenomeno, attivo da millenni, ha dato per l’appunto origine a leggende sulla figura della Chimera, il mostro mitologico ucciso con uno stratagemma da Bellerofonte, e l’emozione di trovarsi in un luogo fondante della cultura mediterranea è davvero impareggiabile.

Resti di fortificazioni genovesi a Olimpos
Resti di fortificazioni genovesi a Olimpos

A breve distanza dal parco, una strada asfaltata sulla sinistra porta al vasto litorale del paese: ma rinunciate ad avvicinarvi ulteriormente al mare con il camper seguendo quella che potrebbe sembrare una pista, perché vi insabbiereste. Meglio restare nei pressi dell’asfalto, vuoi per fermarsi, vuoi per continuare a piedi per un paio di chilometri lungo la spiaggia che, guadato un fiumicello, fa tutt’uno con quella di Olimpos. Alla trasparenza del mare e alla bellezza dell’ambiente naturale nascosto tra mare e montagna si unisce la visione di mura e resti di una cittadella che fu nel Medioevo emporio genovese. Quest’area era stata l’acropoli della città antica, divenuta agli inizi del I secolo a.C. covo di pirati. Accanto a una seconda piccola foce, un varco nel verde permette di imboccare il sentiero che, toccata una sorgente cristallina, conduce ai resti archeologici nascosti più all’interno; all’inizio del percorso, nel fermarvi alla biglietteria, fate caso ai sarcofagi appartenuti a Zosima e al nipote Eudemos, che fu capitano di mare e la cui morte è simboleggiata da una piccola nave scolpita senza più vela né albero né remi.
I pirati dell’antichità dovevano essere particolarmente attratti da questa zona perché fecero una loro base anche di Phaselis, poco più avanti. La bellezza del sito è nella foresta di pini, che scende a lambire le onde intorno a una penisoletta rocciosa un tempo usata come porto. Con il v.r. si può accedere a Phaselis pagando direttamente al chiosco centrale; i resti, per la maggior parte romani, si dispiegano lungo un asse che taglia la penisola alla radice.

 

Archeologia viva

L'elaborato sarcofago di una coppia è solo uno degli innumerevoli reperti esposti  al museo archeologico di Antalya
L’elaborato sarcofago di una coppia è solo uno degli innumerevoli reperti esposti al museo archeologico di Antalya

Procedendo lungo la costa inizia una serie di insediamenti turistici, a volte vere e proprie città con case e alberghi in inarrestabile espansione. Poi la strada sale offrendo belle vedute verso Antalya e il golfo, ma aumenta sempre più il traffico generato dal maggior centro dell’antica Pamphilia: fondata nel II secolo a.C. dal re di Pergamo Attalo II con il nome di Attaleia, ha visto in tempi recenti un intenso sviluppo che ha prodotto, presso il vecchio villaggio ottomano, una selva di grattacieli e oltre mezzo milione di abitanti. La città vale tuttavia la sosta per il quartiere antico non meno che per l’interessantissimo museo archeologico. Giungendo da ovest e seguendo le indicazioni per il centro, conviene orientarsi anzitutto con le tabelle che indirizzano al museo, dotato di un tranquillo parcheggio interno che si rivela prezioso in un’area urbana dove, oltre alla sosta, anche la circolazione è resa difficile dai sensi unici. La collezione offre reperti provenienti da molte delle località licie appena visitate; di Perge, dove ci fermeremo tra breve, stupefacente la raccolta di statue del II secolo, fra le quali una ballerina dalla malinconica espressione, ma ci sono anche l’effigie di Plancia Magna, benefattrice della città, e tre raffigurazioni di Nemesi, la dea della vendetta, dal volto distante e quasi livido.

Una curiosità, proveniente da Termessos ma non rara nel mondo ellenico, il piccolo sarcofago che una certa Rhodope fece scolpire per il cagnolino Stephanos, cui è dedicata una breve epigrafe.
Il centro antico di Antalya, discretamente conservato, sorge nella zona più elevata delle falesie che dominano il vecchio porticciolo. E’ piacevole percorrerne a caso le stradine tranquille, ma richiamano in particolare l’attenzione il minareto reciso del ‘200 con i resti della moschea che utilizzava materiale romano di spoglio, i vecchi edifici di gusto ottomano, la triplice porta settentrionale detta Arco di Adriano perché onorava la visita resa dall’imperatore nell’anno 113. Dagli ombrosi spazi verdi a est della cittadella si può scendere al mare per un bagno.

 

Teatri con vista

La strada principale della città romana di Perge
La strada principale della città romana di Perge

Lungo la strada che, passata la biglietteria, fa accedere all’antica città di Perge, si trova uno stadio lungo 230 metri che fu il maggiore nell’odierna Turchia. Ciò serve a dare un’idea dell’importanza che ebbe questo centro, fondato sembra intorno al 1000 a.C. e caduto verso la fine del II secolo nelle mani di Roma; e romana è la maggior parte dei resti ancora visibili, tra i quali si presentano in discreto stato le terme. Accanto all’agorà, la porta ellenistica con la prospettiva di una strada a colonne di 300 metri e le sagome di due torri compongono una plausibile visione del sistema difensivo della città. Inaccessibile per restauro al momento della nostra visita il teatro, come invisibile tra erbacce e canneto risulta purtroppo la tomba della più famosa domina della città, quella Plancia Magna di cui ci avevano incuriosito le notizie raccolte al museo di Antalya. Singolare il fatto che il successivo sito archeologico di Aspendos venga visitato proprio per il teatro, questo invece in ottime condizioni tanto da consentire una stagione di spettacoli.
Nel proseguire verso oriente la rotabile continua a tenersi lontana dal mare, che ritroveremo deviando per Side dove però i resti storici sul basso promontorio sono divenuti preda della più invadente e smaccata valorizzazione turistica, ridotti persino a decorazione di locali e botteghe, mentre sui 700 metri della strada che scende al mare ci si può divertire a contare ben quarantadue gioiellerie.

Dove la strada si sviluppa in quota, spesso si aprono bellissimi panorami verso il mare
Dove la strada si sviluppa in quota, spesso si aprono bellissimi panorami verso il mare

Da Antalya ci siamo allontanati verso est di un’ottantina di chilometri, ma prima di riprendere la via del ritorno una pausa di vero piacere fisico ci regaleranno le cascate di Manavgat, pochi chilometri fuori il centro abitato. I compatti salti d’acqua sono sovrastati da terrazze e piccoli pontili dove ci si può sedere al fresco a ordinare qualcosa da bere o da mangiare.
Sfiorata soltanto la periferia di Antalya, ci dirigiamo ora verso nord-ovest in un itinerario di rientro che non mancherà di scoperte significative. Seguendo le indicazioni per Burdur, alla biforcazione segnata da un distributore della Total occorre prendere a sinistra verso Korkuteli, individuando il bivio per Termessos: vi conduce, all’interno di un parco naturale, una bella strada che sale fino alla deliziosa radura-parcheggio con fontanella a quota 850, ideale anche per il pernottamento. Da qui calcolate circa mezz’ora di sentiero per trovare i primi resti significativi, poi un breve bivio a sinistra costeggia il ginnasio e la palestra, costruiti in pietra viva ben tagliata e connessa; colpisce la conservazione degli edifici sparsi nel monte, dovuta peraltro a una posizione che rendeva troppo faticoso asportarne i massi. Salendo ancora si incontrano via via altre costruzioni, mura, templi diruti, un piccolo pianoro con profonde cisterne scavate nel terreno per la riserva d’acqua e soprattutto i magnifici resti del teatro, aggrappati a 1.000 metri di quota tra rocce e precipizi, in un contesto di sorprendente bellezza e panoramicità che lo rende praticamente unico fra quelli che abbiamo visto in Asia Minore.

 

Terrazze di calcare

Monti e campagne nell'interno verso Tavas
Monti e campagne nell’interno verso Tavas

Facendo rotta verso Korkuteli si attraversano lungamente paesaggi di altopiano, e poco oltre l’alberato trivio di Sögüt si sale ai 1.460 metri del piccolo passo di Comaklibel. Dopo qualche decina di chilometri, al bivio per Tavas tra monti suggestivi nella loro nudità, starà a voi decidere se proseguire direttamente verso Pamukkale o compiere una diversione (100 chilometri fra andata e ritorno) agli scavi di Afrodisia, che conservano un tempio di Afrodite e un odeon di epoca romana; il parcheggio antistante la casermetta della gendarmeria può fungere da sosta anche notturna.
Riprendendo verso Pamukkale-Hierapolis, il popoloso centro agricolo di Denizli va solo sfiorato per accedere al villaggio moderno di Pamukkale Köyü e di qui risalire la collina dal lato nord (dei due ingressi è il più conveniente). Si attraversano per un paio di chilometri i resti dell’antica necropoli, poi la strada asfaltata si sviluppa sul pianoro toccando le terme trasformate in basilica cristiana e costeggiano per un chilometro i ruderi di Hierapolis, portando ai diversi parcheggi presso il museo allestito nei grandi ambienti di altre terme romane. Da qui si raggiunge facilmente la zona più adatta a godere della veduta sull’abbagliante candore dei terrazzamenti di Pamukkale, digradanti verso valle. La formazione delle celebri vasche naturali si deve alla sorgente a 38°C che sgorga sull’altopiano e che deposita su tutto il declivio il carbonato di calcio in essa contenuto, anche se in verità negli ultimi decenni l’originaria bellezza del luogo è stata alterata dallo sfruttamento delle acque per le piscine alberghiere, che ha inaridito buona parte delle vasche e ha spinto a limitare l’accesso dei turisti ai terrazzamenti.

Lo spettacolo delle candide terrazze naturali di Pamukkale, formate da sorgenti di acqua fortemente calcarea
Lo spettacolo delle candide terrazze naturali di Pamukkale, formate da sorgenti di acqua fortemente calcarea

Quanto a Hierapolis, più volte distrutta dai terremoti e ricostruita, il centro urbano era costituito dalla strada a colonne che si estende a sud della triplice porta turrita dedicata all’imperatore Domiziano: molti restauri sono stati compiuti, e una pianta circostanziata potrà dare una chiara idea dei diversi monumenti. Altro motivo di attrazione è la trasparente piscina termale situata a monte dei parcheggi: se vorrete godervi di notte le suggestioni della città morta dopo che i turisti avranno lentamente sfollato, e magari osservare la bianca Pamukkale sotto il chiarore della luna, sappiate che nessuno verrà a disturbare la romantica scelta.
Circa 120 chilometri di buona strada, in via di ulteriore ampliamento, separano Pamukkale da Aydin: qui inizia l’autostrada che vi condurrà a Çesme o a Izmir, per riprendere il traghetto verso l’Italia o per continuare su altre direttrici l’esplorazione della Turchia.

 

 

 

 

 

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