Pesci e uccelli, ruote e pagaia

Minuscoli e dimenticati specchi d'acqua toscani, proprio a cavallo con l'Umbria, disertati più che altro per la mancanza d'approcci, i laghetti di Chiusi e Montepulciano sono riusciti a conservare intatte le loro caratteristiche naturali, rivelandosi preziose oasi di vita selvatica. Ma per scoprirli veramente ci vogliono un camper e una canoa.

Indice dell'itinerario

Chi si aspetta un imbarcadero comodo abbandoni quest’idea: i laghi di Chiusi e Montepulciano non sono proprio un’area selvaggia, ma poco ci manca. Così il turismo tradizionale li trascura a favore di ambienti più attrezzati. I due laghi sono diversi fra loro: più ampio e luminoso quello di Chiusi, più piccolo e appartato quello di Montepulciano, per quanto ambedue esplodano di vita animale. Ma come si fa a vederla? L’ideale è portare con noi un mezzo galleggiante, una canoa del tipo gonfiabile pronta all’uso appena arrivati sulla sponda. Occorre saper remare perché i mezzi a motore qui sono proibiti, ma le distanze sono veramente minime. L’accoppiata camper-canoa può rivelarsi ancora più produttiva di quella camper-bicicletta. Dove va la bici, infatti, si va anche a piedi, ma un ambiente umido è impraticabile senza un mezzo galleggiante. E ce ne sono di cose da scoprire, in un lago.
Quello di Chiusi è quasi deserto al centro ma pieno di vita lungo le sponde. Partendo dal moletto del ristorante si può bordeggiare su entrambi i lati. L’ideale sarebbe di farsi il periplo completo ma, se mancano il tempo e la voglia di remare, è senz’altro meglio optare per il lato sud, costeggiando cioè sulla destra. Già poco dopo si sente il coro gracchiante degli aironi: un’intera garzaia zeppa di nidi. Costeggiando, tra una fuga e l’altra dei grandi ed eleganti uccelli (soprattutto garzette, aironi rossi e nitticore), si arriva alla punta più meridionale del lago, coperta da un vasto nufareto, cioè una distesa di ninfea gialla, il cui nome scientifico, Nuphar lutea, spiega il termine. Entrarci è possibile ma faticoso: le piante galleggianti frenano la chiglia. Ma vedere un nufareto in fiore (il periodo è maggio-giugno) è uno spettacolo che ha dell’incredibile, con migliaia di bottoni gialli a perdita d’occhio sopra un tappeto di larghe foglie galleggianti. Su questo mantello vegetale cammina, sfruttando il suo poco peso, la sgarza ciuffetto, un piccolo airone dai movimenti scattanti, mentre la cannaiola vola a caccia di insetti.
Il lato opposto del lago di Chiusi, costeggiando cioè a sinistra una volta abbandonato il moletto galleggiante, porta invece a una vasta distesa di Iris pseudacorus, o giglio di palude. Questo fiore spettacolare forma ciuffi incredibili, sempre in primavera, che colorano di giallo interi tratti di lago. Uno spettacolo che solo la barca permette di godere appieno. In questa zona nidifica lo svasso maggiore. Il nido è galleggiante, un poco nascosto nel canneto: se ci avviciniamo lo svasso darà cenni di nervosismo e, prima di allontanarsi, nasconderà le uova sotto le foglie. Meglio stargli lontano che danneggiare una covata. Se i piccoli sono già nati, invece, se li caricherà sul dorso.
Ma la vera sorpresa è il lago, più piccolo e meno frequentato di Montepulciano. Qui la presenza dell’uomo è leggera, le strade di grande scorrimento transitano lontano. Qualche casolare qua e là, l’immancabile nonna vestita di nero che guarda con l’occhio arcigno. Dall’unico punto panoramico, una piazzola erbosa nella minuscola frazione di Binami, sul versante umbro, si può avere un’occhiata d’insieme sul lago. Dal colle lo specchio d’acqua appare modesto come estensione e i canneti sembrano occuparne più di metà, fittissimi e impraticabili. Ma sono proprio loro la cosa più interessante.
L’ideale è di cominciare la conoscenza del lago dal centro visite “La Casetta”, gestito dalla LIPU, da cui partono una serie di percorsi a piedi, escursioni accessibili anche con normali scarpe da passeggio (fango permettendo). Qualcosa si riesce a scorgere attraversando il ponte e costeggiando il Canale Maestro Chiana, oppure lungo le passerelle dell’oasi (oltre il canale). Ogni tanto lo sciaguattare di folaghe che si rincorrono o il volo veloce di un forapaglie tra le canne sono sorprese piacevoli.
Un’altra passeggiata è possibile lungo un percorso che si snoda attraverso una pioppeta allagata, dove non è inutile un paio di stivali. Al termine, una scala traballante permette di salire su una torre-osservatorio ancora più traballante. L’unica cosa ben visibile sono i nidi dei pendolini, che ciondolano qua e là dai rami dei salici. Per fortuna ci siamo portati la barca con cui andare ad infilarsi nei dedali formati dalla Phragmites australis, o canna di palude, la più alta graminacea nostrana (raggiunge i 3 metri). Non è un’impresa da professionisti dell’outdoor. Affrontare in canoa un lago piccolo come Montepulciano è alla portata di tutti. Il periodo migliore per la visita è relativo a ciò che si vuol vedere. D’inverno lo specchio d’acqua è invaso da centinaia di anatre schiamazzanti, mentre in primavera gli uccelli nidificanti hanno i piccoli, che conviene non infastidire troppo.
La prima cosa che salta agli occhi, entrando in acqua, è che i canneti non sono affatto una muraglia impenetrabile. L’ampia distesa si apre in canali, cataletti, schiarite collegate fra loro da passaggi appena accessibili. Basta infilare il remo in profondità per accorgersi che si tocca quasi ovunque; non è piacevole cadere in acqua, ma la limitata profondità regala un senso di sicurezza. Una delle cose più impressionanti della visita in barca è la colonna sonora. È tutto un miscuglio di suoni accompagnato a violenti e improvvisi sciacquii che fanno immaginare chissà quali battaglie, prodotti dai vari aironi, gallinelle, folaghe, svassi, cuculi e cannareccioni nascosti nel folto.
L’ideale sarebbe muoversi lentamente, rimanendo al limitare del canneto per non dare troppo nell’occhio. Ce n’è per tutti i gusti: immacolate garzette, aironi cenerini, qualche airone rosso al limitare delle canne e tante, tante nitticore. La sgarza ciuffetto e il tarabusino volano via all’apparire della barca, regalandoci l’immagine fugace delle loro code in allontanamento. In quest’abbondanza di vita persino il fotografo più fissato finisce per avere momenti di requie, in cui si limita a godersi ciò che lo circonda. E’ una scelta felice. Non appena i remi smettono di percuotere l’acqua ecco che gli animali si tranquillizzano, qualcuno più curioso si avvicina e il fotoamatore realizza così le immagini migliori.
Se molti uccelli non concedono confidenze agli estranei, per gli svassi il discorso è diverso. Tentare l’avvicinamento diretto è il modo migliore per farli scappare. Sono tuttavia animali abituati ai pescatori: non rimane perciò che starsene immobili e attendere. Presi come sono nelle loro immersioni, è facile che riaffiorino a pochi metri di distanza. Sarà un attimo e subito torneranno ad immergersi spaventati, ma il tempo è sufficiente per una veloce foto di rapina. E’ proprio l’isolamento e la quiete che portano gli animali alla confidenza. Molti di loro trovano a Montepulciano (essendo proibita la caccia) tranquillità, le condizioni migliori per nidificare, abbondanza di pesci e insetti di cui cibarsi, un canneto dove nascondersi.
Un ingannevole approdo è costituito dalle isole di radici galleggianti. Sembrano stabili, sopra alcune fiorisce il giglio di palude, perfino qualche salice riesce ad attecchire; ma non appena ci decidiamo a un ottimistico approdo il terreno ci cede sotto i piedi e l’intera isola sprofonda, incapace di sostenere il nostro peso. Sono le radici delle canne che, poco alla volta, costituiscono simili agglomerati. Con il tempo formeranno un tutt’uno con il fondale, trattenendo il limo fino a diventare terraferma. Ma non si sa mai quali sono i punti stabili: meglio quindi rimanere sulla canoa, accettando la realtà di un ambiente fatto a misura per animali dal peso modesto, dove la nostra corporatura è fuori posto.
La sponda migliore di Montepulciano è costituita dal grande canneto che copre il lato nord-occidentale: è in questa zona che conviene indugiare, evitando di impegnarsi in giri del lago. Non è questo lo scopo, dopo tutto: vivere il lago in barca è qualcosa di più. Nessuna foto può ricreare l’atmosfera del muro di canne, del leggero sciacquio tutt’intorno, della fuga veloce di una sgarza ciuffetto. Nessun filmato può restituire quel sapore d’avventura che l’accoppiata camper-canoa ci ha regalato in questi piccoli e nascosti specchi d’acqua.

PleinAir 309 – aprile 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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