Per tutti gli dei

Visitiamo in camper la Magna Grecia: seguendo un itinerario classico da Grand Tour, ma rivisitato per gli amanti del fuoristagione e corroborato da alcune imperdibili divagazioni a tutta natura.

Indice dell'itinerario

Sono stati i viaggiatori del Grand Tour, due secoli fa, a rendere famosa la Magna Grecia. “Una primavera splendida come quella che ci ha sorriso stamane non ci è mai stata concessa nella nostra vita mortale” annotava Johann Wolfgang Goethe, che visitò Agrigento nell’aprile del 1787. “Il Tempio della Concordia si vede spuntare all’estremità meridionale di un pianoro tutto verde e tutto fiori. Di fronte ai templi di Paestum sta come la figura di un Dio di fronte a quella di un gigante”. Il poeta era stato preceduto di vent’anni da Johann von Riedesel, barone di Einsbach, che fu il primo a descrivere il tempio di Segesta. “Ha trentasei colonne, tredici a ogni faccia laterale. Le colonne poggiano su basi di due palmi napoletani di altezza e otto di faccia”. L’inglese Henry Swinburne, nel 1777, preferì invece soffermarsi sulla bellezza del luogo. “Non si sarebbe potuto scegliere un sito migliore di questa collina che digrada dolcemente verso settentrione”.
Ferdinand Gregorovius, tedesco innamorato di Roma e della sua civiltà, visitò la Sicilia nel 1853, e a emozionarlo fu soprattutto Selinunte. “Lo spettacolo di queste rovine sul mare, in una solitudine infinita, non ha certo l’eguale nel mondo. Contemplati da lontano e da vicino, i resti della grandezza ellenica suscitano un sentimento misto di tristezza e di ammirazione”.
Negli ultimi decenni, sul fascino dei luoghi della Magna Grecia in Sicilia hanno pesato le attività non sempre attente dell’uomo. Dagli anni Cinquanta un’alluvione di cemento ha trasformato la sonnolenta Girgenti – la città collinare che ha preso il posto di quella antica in pianura – in un cumulo di moderni palazzoni che sono arrivati fino a San Leone, sulla costa. Non è stata risparmiata neppure la Valle dei Templi, dove sono sorte decine di fabbricati illegali.
All’interno, tra le colline di Calatafimi e di Alcamo, Segesta ha mantenuto il suo fascino austero. Qualche brutta struttura in cemento è sorta accanto ai campeggi ai piedi delle scogliere di Capo Bianco e delle rovine di Eraclea Mìnoa; un’altra ondata di cemento ha invaso Marinella, tra la foce del Belice e Selinunte, per arrestarsi a poca distanza dai templi.
Ogni anno gli ambientalisti e la stampa ricordano che il saccheggio di questa parte dell’isola non si è fermato, e l’ennesimo condono edilizio non fa presagire niente di buono. Però sarebbe un errore pensare che il fascino del Vallo di Mazara – così gli arabi chiamavano l’angolo sud-occidentale della Sicilia – sia svanito. Insieme ai parchi archeologici che includono i più bei monumenti della Magna Grecia, una rete di riserve naturali ha messo al riparo dall’urbanizzazione selvaggia molti dei paesaggi più evocativi della zona. Scrittori come Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri, nati a pochi chilometri da Agrigento, hanno ricordato che il bello, il vero e il giusto si raggiungono con percorsi tortuosi.

Grecia per quattro
E’ la Valle dei Templi, com’è ovvio, a segnare l’inizio del viaggio tra le quattro meraviglie della Sicilia greca. Ancora rivestita di mandorli (che fioriscono a febbraio), alberi da frutto e ulivi, la conca ai piedi di Agrigento è chiusa verso il mare da un crinale roccioso, costeggiato da un vialetto che offre una delle più belle passeggiate d’Italia.
Sulle rocce, a qualche centinaio di metri l’uno dall’altro, sorgono i templi di Giove Olimpico, della Concordia, dei Dioscuri, di Giunone (il meglio conservato) e il santuario di Demetra e Kore. Tombe (la più bella è quella del tiranno Terone), resti di mura e di costruzioni di vario tipo completano un’area dal fascino straordinario.
Il museo archeologico, che si affianca alla chiesa romanica di San Nicola di fronte agli scavi del quartiere ellenistico, ospita ceramiche e statue di grande bellezza e permette di scoprire la storia della città greca e romana che è stata per mille anni la capitale della Sicilia occidentale. Un gigantesco telamone, pilastro a forma umana di 8 metri di altezza, è stato recuperato nel tempio di Giove Olimpico e sistemato nella sala principale. Tra la primavera e l’estate, il viottolo della Valle dei Templi è affollato da turisti provenienti da ogni parte del mondo. Un ingorgo di auto e pullman paralizza la strada che sale dall’ingresso degli scavi al museo e quindi al capoluogo. Per non peggiorare la situazione con i camper, la soluzione più conveniente (anche per visitare la città) è scegliere come base uno dei vari campeggi marini di San Leone, tutti ben serviti dalle autolinee urbane.
Trentacinque chilometri di statale costiera ci separano dalle scogliere di Capo Bianco e dalle rovine di Eraclea Mìnoa, una delle più sorprendenti città della Sicilia antica. Fondata da coloni provenienti da Selinunte, appartenne dapprima a Sparta, poi a Cartagine, fu colonia romana e in seguito venne abbandonata a causa di una frana. La strada che porta alla zona archeologica offre una visione mozzafiato delle scogliere e del mare. Un bel parcheggio panoramico, di libero accesso e utilizzabile anche per il pernottamento, segnala l’ingresso: all’interno, accanto ai resti dell’abitato, si trovano un piccolo antiquarium, un santuario e un teatro che una grande tettoia ripara dalla pioggia e dal sole. Una piacevole passeggiata scende fin quasi al rio Platani e poi risale fra vari siti in corso di scavo.
Lasciata alle spalle Eraclea la statale scavalca il Platani, sorvola gli aranceti di Ribera, aggira con dei tunnel il centro storico di Sciacca. Superato anche Belice, una breve deviazione verso il mare e il borgo di Marinella porta ai templi di Selinunte, il cui nome deriva dalle distese di prezzemolo – in greco selìnos – che si alternavano alle palme nane sui fianchi della collina; oggi queste piante ci sono ancora, ma in molte zone sono state sostituite da campi coltivati e da rimboschimenti di eucalipti.
Il parco archeologico, uno dei più affascinanti della Sicilia, comprende due colline sulle quali sorgono rispettivamente i templi orientali dell’acropoli e i resti della città antica; tra le due alture si apre la valle del Gorgo Cottone. Verso ovest il torrente Modione separa il parco dal santuario di Malophoros. Le mura, ancora visibili, e le modeste scogliere affacciate sul Mar d’Africa non protessero Selinunte, che fu a lungo alleata di Siracusa, dall’attacco di Cartagine e Segesta: la sua distruzione nel 409 a.C. fu così feroce da diventare proverbiale. Inghiottiti dal suolo, i ruderi sono stati riscoperti solo all’inizio del Seicento e riportati alla luce a partire dal 1823. Anche qui, come nella Valle dei Templi, è bene prepararsi a camminare: le colline, servite da due parcheggi comunicanti, possono essere esplorate con due diversi percorsi, ma seguire a piedi il sentiero che le unisce è assai più gratificante poiché consente di allontanarsi dalla folla e di apprezzare meglio le imponenti dimensioni della città antica. Per la sosta non conviene parcheggiare il camper nei piazzali dell’area archeologica, soggetti agli orari di apertura, ma nel vicino e grande parcheggio alberato della ex stazione, dove si può restare anche per la notte.
L’ultima tappa del viaggio ci porta a nord, in direzione del Tirreno. L’autostrada attraversa le colline del Belice, sfiora Gibellina e Santa Ninfa, permette di scorgere in lontananza le vette rocciose di Erice e dello Zingaro, finché raggiunge il tempio dorico di Segesta, uno dei più integri della Magna Grecia. L’edificio, la cui origine è ancora avvolta dal mistero (era un tempio greco o un santuario indigeno costruito in forme elleniche’), sorge ai piedi del Monte Barbaro. Quest’ultimo, straordinario belvedere sulla Sicilia occidentale, ospita uno dei teatri più belli del mondo antico, il cui restauro sta per essere finalmente completato; gli spettacoli che vi si tengono reggono il confronto con quelli di Taormina.
Giunti al grande piazzale d’arrivo, i bus navetta (preziosi nelle giornate più calde) collegano comodamente al teatro e alla cima del monte; per il ritorno consigliamo ancora una volta di andare a piedi. A metà strada, un viottolo indicato da cartelli porta ai resti della Porta Mango e di un altro santuario: qui, lasciatasi nuovamente alle spalle la folla, si ritrova la Magna Grecia dei misteri. La natura tra i monumenti
Il fascino della Valle dei Templi non è fatto solo di pilastri e colonne. Nel grande spettacolo di natura offerto da mandorli, ulivi e fioriture spicca il Giardino della Kolymbetra. Dopo anni di restauri, questi 5 ettari di campagna affidati alle cure del FAI hanno ritrovato l’aspetto che avevano nell’antichità e nel Medioevo. Nella Kolymbetra, per il quale sono state impiegate tecniche di irrigazione di tradizione araba, si coltivano aranci, cedri e pompelmi, melograni e susini, agavi e fichi d’India, mandorli e ulivi, mentre la vegetazione mediterranea spontanea è presente con lentisco, fillirea e terebinto. Piccoli uccelli canori come il fanello, il cardellino e il verzellino si lasciano avvistare facilmente.
A ovest di Porto Empedocle, la spettacolare costa rocciosa tra Siculiana e Montallegro è la più integra di questa zona dell’isola. Il merito è qui del WWF, che nel 1989 ha acquistato gli 8 ettari e mezzo dell’Oasi di Siculiana bloccando la cementificazione del litorale. Nel 2000 la Riserva Naturale Regionale di Torre Salsa ha inglobato la vecchia oasi: anche la nuova, magnifica area protetta – fino a oggi meno frequentata di quanti meriti – è stata affidata al WWF.
Chi visita Torre Salsa, preferibilmente con le guide del Panda e facendo base nell’area attrezzata dell’omonima azienda agrituristica, scopre un ambiente integro e vario. Accanto alle piante pioniere si osservano imponenti scogliere e splendidi cristalli di gesso, l’andirivieni dei rapaci, le farfalle e gli anfibi che frequentano la foce del Salso. A primavera danno spettacolo le fioriture; d’estate, in spiaggia, fare attenzione a non danneggiare i nidi della tartaruga Caretta Caretta. Tra Torre Salsa e Selinunte altre deviazioni dalla statale costiera portano a due riserve gestite dall’Azienda Regionale delle Foreste Demaniali. Frequentate d’estate dai bagnanti in cerca di tranquillità, la Foce del Platani e la Foce del Belice offrono belle distese sabbiose, dune rivestite di vegetazione pioniera e rimboschimenti di pini ed eucalipti. La prima riserva offre una bella passeggiata verso il tratto finale del fiume e ha come sfondo le scogliere di Capo Bianco, mentre la seconda, raggiungibile da Marinella di Selinunte, separa due tratti di costa ormai sfigurati dall’edilizia intensiva.
Dalla Foce del Belice e da Selinunte gli amanti della natura possono proseguire verso Mazara del Vallo, la Riserva Naturale dei Gorghi Tondi e le spettacolari saline di Trapani (vedi PleinAir n. 375). Noi però vi guidiamo a nord, con due proposte: la prima riguarda Santa Ninfa, uno dei centri più colpiti dal terremoto della Valle del Belice (vedi PleinAir n. 363). Il paese, che conserva alcune chiese barocche, è stato ricostruito ma viene raramente toccato dai flussi turistici nonostante l’ottima qualità del vino, dei formaggi e dell’olio.
L’altopiano tra l’abitato e Gibellina offre un paesaggio aspro e di grande interesse scientifico, e ospita una quarantina di grotte e inghiottitoi. Le acque del torrente Biviere hanno formato nei millenni la Grotta di Santa Ninfa, un ampio sistema ipogeo che raggiunge i 1.400 metri di lunghezza, comprende pozzi, sale e meandri ed è decorato da splendide concrezioni di gesso. La visita della grotta, invece, è un magnifico itinerario di introduzione alla speleologia: la cavità, priva di attrezzature turistiche, non ha pozzi verticali ma comprende scivoli, meandri, strettoie e dev’essere affrontata con casco, stivali e una tuta per proteggersi dal fango. Per salvaguardarne il delicato ambiente, il numero di visitatori ammessi è limitato (necessaria la prenotazione).
La riserva che tutela la zona, affidata in gestione a Legambiente, include anche 150 ettari di colline dove volano la poiana e il gheppio e fioriscono le orchidee selvatiche. Alcuni viottoli conducono alla necropoli protostorica del Monte Finestrelle, al vicino Museo delle Tradizioni Popolari e al castello di Rampinzeri (XVII secolo), oggi agriturismo, che conserva un frantoio e i resti di una cappella neogotica. La seconda proposta ci porta nella Riserva Naturale dello Zingaro (vedi PleinAir n. 375). Da Castellammare del Golfo, dove la A29 si affaccia sul Tirreno, una deviazione verso nord conduce all’area protetta – la più famosa della Sicilia occidentale – che dal mare sale ai 913 metri del Monte Speziale. Istituita nel 1981 ed estesa su 1.600 ettari, è visitata ogni anno da 300.000 persone. Molti turisti puntano a un bagno nelle splendide cale della Capreria e delle Barche o sulla spiaggia ghiaiosa della Tonnarella dell’Uzzo; altri, soprattutto in primavera, arrivano per visitare le grotte, camminare lungo i sentieri, osservare la fauna e la flora. Accanto alle onnipresenti palme nane crescono fichi d’India, rosmarino, cisto ed euforbie arboree; nei valloni si incontrano querce da sughero, mandorli e frassini dai quali i contadini per secoli hanno estratto la manna. In primavera fioriscono la calendola selvatica, qui chiamata fiorrancio, la violacciocca e il piè di capra, mentre a settembre compaiono i fiori viola della mandragola. Sul terreno si possono osservare le tracce dell’istrice, del coniglio selvatico e della volpe, nel cielo volano l’aquila reale, l’allocco, il falco pellegrino e il gheppio. L’imponente Grotta dell’Uzzo fu abitata dall’uomo a partire da 12.000 anni fa e molto tempo prima, fra 50.000 e 38.000 anni fa, vi trovarono riparo elefanti, ippopotami e orsi.
Nei casali ristrutturati dalla riserva sono stati allestiti il Centro Visitatori, il Museo Naturalistico, il Museo della Civiltà Contadina e quello delle Attività Marine, dove alcuni artigiani mostrano ai visitatori la tecnica dell’intreccio delle fibre di palma nana per realizzare cesti e altri oggetti. Più in alto sono stati restaurati i casali di Contrada Sughero (dove è possibile pernottare portando il materassino e il sacco a pelo) e il borgo agricolo del Baglio Cosenza. La passeggiata sul sentiero costiero, che offre splendidi panorami sul mare, richiede mezz’ora tra andata e ritorno se ci si ferma alla Capreria e un paio di ore se si arriva alla grotta; per raggiungere il Baglio Cosenza occorre camminare tre o quattro ore (per escursioni guidate rivolgersi al Centro Visitatori).
Lo scorso 29 agosto i telegiornali hanno mostrato le drammatiche immagini dello Zingaro in fiamme, a causa di un incendio appiccato vicino alla strada per San Vito lo Capo e dilagato per lo scirocco che, alla velocità di 60-80 chilometri orari, ha scavalcato la montagna e raggiunto l’area protetta. Per fortuna il bilancio è stato meno nero del previsto: il fuoco ha interessato 600 ettari bruciando le praterie di ampelodesma (disa in dialetto locale), ma ha risparmiato i boschi e gli edifici; per cautela è stato però chiuso per alcuni mesi l’accesso settentrionale della riserva. A pagare il prezzo più alto sono i conigli selvatici, maggiormente esposti agli attacchi dei rapaci per la momentanea mancanza di cespugli; per aquile e falchi questo sarà un anno di festa.
Ma la natura non si arrende e sono presto comparsi i primi segni della rinascita: a settembre le palme nane annerite dal fumo già cominciavano a colorarsi di nuove foglie. Auguri, Zingaro.

PleinAir 380 – marzo 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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