E pensare che sant’Antonio nella bella città laziale non mise mai piede… Nel XIII secolo il comune guelfo di Rieti, forte di una possente cinta muraria, si offrì come rifugio per i papi. In quel periodo Antonio lasciava le terrene spoglie e affidava ai devoti padovani il suo destino celeste: trascorsi pochi giorni dalla morte, un gruppo di fedeli si presentò a Rieti deciso a chiedere udienza al pontefice per la sua canonizzazione. Gregorio IX non pose impedimenti. In terra umbra, nella primavera del 1232, santificò l’amato Antonio. Intorno alla sua figura crebbero attive confraternite, prima tra queste la Pia Unione di Sant’Antonio di Padova, artefice di una celebrazione talmente coinvolgente da farla apparire come il miracolo più grande dell’intera storia.
Fede e cioccolata
Nel periodo della grande festa ferve la passione. Nelle strade di Rieti, nelle piazze e tra la gente di altro non si parla che dei preparativi per la processione. Sono parecchi coloro che hanno supplicato il generoso frate Antonio. Gli si chiede di tutto: guarigioni, protezione contro guerre, naufragi ed epidemie, aiuto nel ritrovare persone scomparse o oggetti smarriti, un anno di buon raccolto e chi più ne ha più ne metta.
Il giorno fatidico inizia presto. Prestissimo per le suore Clarisse che, all’alba, da ore stanno mescolando grandi paioli di cioccolata calda, che i fedeli troveranno nella sacrestia della chiesa di San Francesco, subito dopo la confessione. Una tradizione che si rinnova annualmente e che affianca alla fumante tazza di cioccolata un pasciuto maritozzo. Le funzioni religiose nel corso della giornata si svolgono alla presenza del santo, o meglio della sua immagine. Scortata da angeli e adornata di ex-voto, la statua collocata presso l’altare si può vedere sin dal giorno 12, vigilia dell’anniversario della morte. La mattinata precedente, infatti, intorno all’immagine orbitano decine di volontari che allestiscono l’addobbo. La statua resta immersa in un bagno di luce e di fede, sino alla seconda domenica successiva, quando le strade della città si trasformano in prati fioriti. L’infiorata, che opera un sorprendente mimetismo urbano, è il prodotto di una competizione tra uomini e donne di borgata: i motivi che prendono vita fra le strette strade sono tra i più disparati. Per non danneggiare le delicate geometrie i visitatori si muovono in fila indiana, sfiorando porte e finestre.
In processione con i ceri
Quando il fiume di folla rompe gli argini e straripa sulla piazza antistante la chiesa di San Francesco, manca poco al momento solenne: l’uscita del santo tra la gente. Un’esplosione di grida e applausi accoglie la statua sul sagrato. Collocata su di un baldacchino ligneo, è portata a spalla da sedici uomini: sono i membri delle confraternita che, indossando un saio, si alternano in un faticoso carosello di quattro squadre, sessantaquattro portatori in circa tre ore. Altri fedeli, per grazia ricevuta, sfilano accanto al santo portandosi appresso enormi ceri.
Dai balconi piovono fiori su suonatori, comparse in costume e donne pallide nel bagliore di un cero. La sera trasforma il corteo in una tremolante fiaccolata dove le pause, imposte dai portatori che nelle abitazioni di Via Roma trovano di che sostentarsi, rallentano il ritorno di Sant’ Antonio nella piazza dedicata al confratello Francesco. Con le porte della chiesa si chiude anche l’evento che ha trasformato le strade di Rieti in un torrente di cera. La folla si disperde e le mille fiammelle si spengono, una dopo l’altra, lasciando spazio alla notte.
PleinAir 311 – giugno 1998