Nel cuore di Iglesias, la chiesa di San Michele brulica come un alveare. Un ininterrotto flusso di folla sale e scende la scalinata che immette nel piccolo tempio, sede dell’Arciconfraternita della Vergine della Pietà del Santo Monte, la più prestigiosa e antica, che da secoli presiede ai riti della Pasqua. E’ la Settimana Santa, sono i giorni in cui gli appartenenti al sodalizio, i germani (termine derivato dallo spagnolo hermano che rimanda al periodo della dominazione aragonese) vanno e vengono, indaffarati in mille attività. Tutt’intorno si alza il fracasso delle raganelle e delle matraccas, marchingegni di legno provvisti di ingranaggi dentati che ruotano intorno a un perno, azionati da gruppi di giovani che sciamano nei vicoli intorno all’oratorio. E’ questo rumore lugubre e inquietante, a metà tra una scarica di mitra e il gracidare di una rana, la colonna sonora che rimbomba per le stradine della vecchia Iglesias, normalmente tranquille per buona parte dell’anno.
Giovedì Santo 1
Ma lo spettacolo vero, già si capisce, è la partecipazione popolare: il sentimento religioso sembra parte integrante della vita cittadina, e dai volti degli iglesienti non traspare solo un profondo senso della fede ma anche l’orgoglio di appartenere a una comunità con un passato nobile e carico di storia. C’è poi il cordone ombelicale che lega Iglesias alla Spagna: l’eredità iberica si annusa nell’aria, insieme all’atmosfera venata di misticismo.
Mentre attendo la processione dell’Addolorata dentro la chiesa di San Michele, Giacomo Orru – conservatore dell’Arciconfraternita, la carica più alta – mi allunga la documentazione storica sulla Settimana Santa. L’introduzione è dedicata al segno lasciato dalla cultura spagnola su quella locale: spagnola è la stessa arciconfraternita, spagnole sono le volte gotiche della cattedrale di Santa Chiara, spagnolo è il nome della città.
Intanto la gente continua ad affluire nella chiesetta. Seduto su una panca di legno, continuo la lettura tra due giovani baballottis coperti dalle lunghe vesti penitenziali bianche, che si ricollegano ai flagellanti del XIII secolo e che vengono indossate solo in occasione dei riti pasquali. In questo gruppo ci sono giovani di ogni età, tutti con fazzoletto al collo, guanti bianchi e cappuccio calato sul viso, con le sole aperture per gli occhi; alcuni sono già grandi, altri così piccoli da restare in braccio ai genitori. I germani invece spiccano per l’abito sontuoso, con il cappuccio enorme, la tunica voluminosa, i guanti neri come i nastri della camicia, che ha le maniche svolazzanti a sbuffo.
Giovedì Santo 2
Un giovane baballottis con il lungo copricapo sollevato si avvicina. «Peccato che ti sei perso la processione dei sette simulacri, è quella che apre la Settimana Santa». La tradizione vuole che vengano trasportate per la città le sette statue del ‘600 che raffigurano gli ultimi giorni della vita di Gesù: la Preghiera nell’Orto dei Getsemani, la Cattura, la Flagellazione, l’Ecce Homo, Gesù con la Croce, Gesù col Crocifisso e poi l’Addolorata. Il primo mistero è il più complicato da allestire, poiché si deve assemblare sulla portantina una sorta di giardino mediterraneo in miniatura decorato con gigli bianchi, calle, rosmarino, lavanda, alloro e poi un grosso ramo d’ulivo alto più o meno 3 metri. Non è uno scherzo portare in processione per ore questo pesantissimo carico, ma si presentano in tanti per avere il privilegio. «E’ un onore per noi – dice uno di loro – sudare sotto il peso dei simulacri». I germani fanno le selezioni e scelgono i più robusti baballottis in base a statura e aspetto fisico. Le sette statue sono seguite dalla banda e dalle donne della confraternita del Santissimo Sacramento.
Adesso la chiesa di San Michele è piena come un uovo, e i germani cominciano a invitare le persone a uscire. Tra poco, alle 19 in punto del Giovedì Santo, la statua dell’Addolorata verrà fatta uscire dal sacro luogo e portata in processione per le vie della città. La sfilata, accompagnata dal cupo rimbombo dei tamburi e dal gracidio delle matraccas, procede in silenzio tra ali di folla, seguendo il tradizionale giro delle sette chiese. Entrando nei vari templi, l’Addolorata rende omaggio all’ostia consacrata esposta negli altari, i cosiddetti Sepolcri, addobbati con fiori, drappi colorati e candele.
Venerdì santo
Il Venerdì Santo è il giorno più atteso. Si comincia alle 9 del mattino con la bellissima processione del monte, un percorso che attraversando la parte più alta della città, il rione Sa Costera, simboleggia l’ascesa di Gesù al Calvario. Al seguito della statua del Nazareno con la croce sulle spalle ci sono i germani con la Vergine della Pietà, le consorelle del Santissimo Sacramento e un numero impressionante di piccoli baballottis che portano minuscole croci. Quando il corteo si scioglie, in attesa del prossimo evento c’è tutto il tempo di esplorare il piacevole centro storico e di leggere gli annunci appesi in questo periodo ai portoni delle case: lo scorso anno, in Via Cagliari, ce n’era uno che sollecitava l’affitto di un balcone con ottima vista per fotografare la processione. “La crisi aguzza la fantasia – titolava La Nuova Sardegna – non si ferma nemmeno davanti alla fede: chissà il ministro Tremonti che ne pensa”.
Alle 20 l’intera città accorre davanti alla chiesa di San Michele per partecipare al coinvolgente rito della processione del descenso. E’ il momento del funerale di Gesù e l’aria vibra di tensione. L’intero centro storico è affollato di gente assiepata nelle strade dove passerà il corteo, austero e doloroso, che ricalca la scenografia delle antiche sfilate spagnole. In sottofondo, la banda suona a lutto mentre le preghiere dei fedeli si mescolano al rumore delle matraccas.
Aprono la sfilata is vessillas, i due stendardi dove sono raffigurati simboli e personaggi della Passione, poi due bimbi in abito orientale che rappresentano San Giovanni e la Maddalena, quindi is varonis che simboleggiano Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, seguiti dai due servi con la scala che servirà per deporre Gesù. Ecco infine il prezioso simulacro del Cristo Morto e la statua dell’Addolorata, scortata dai germani col volto nascosto dal cappuccio.
Domenica di Pasqua
La Domenica di Pasqua, finalmente, è il giorno della Resurrezione, e i confratelli del Santo Monte passano il testimone a quelli di San Giuseppe. Nell’Incontru l’effigie della Madonna esce dalla chiesa consacrata al santo falegname per incontrare la statua del Cristo Risorto insieme ai piccoli Maddalena e San Giovanni, ricoperti di monili d’oro, spille e cammei. Sono le 11 in punto quando le due statue si trovano di fronte sotto le palme di Piazza Quintino Sella: in sottofondo c’è un allegro scampanìo, tutti sorridono e si abbracciano, e il suono lugubre delle matraccas è ormai solo un ricordo.