Passepartout alpino

Certificata Cittaslow per la qualità della vita e dell'accoglienza, da sempre fondamentale punto di transito di genti e di commerci, Chiavenna è al centro di un itinerario che abbraccia l'omonima piana e si spinge verso due confini: ad est lungo il breve tratto in terra italiana della Val Bregaglia, a nord attraverso i paesaggi che preludono al Passo dello Spluga, tra bellezze naturali e secoli di storia da scoprire e conoscere a ritmo lento. Anzi, slow.

Indice dell'itinerario

Il corso della Mera, proveniente dalla Val Bregaglia dove nasce svizzera con il nome romancio di Maira, disegna una delle tre direttrici al cui incontro si sviluppò Chiavenna, che estese il suo nucleo storico lungo la sponda sinistra del fiume. Prossima alle alte creste delle Alpi centrali, per la sua posizione in prossimità di valichi strategici e all’estremità settentrionale del Lago di Como, fu nei secoli un punto d’incontro fondamentale di commerci e traffici europei. Oggi, con le nuove direttrici e i moderni mezzi di trasporto che hanno reso obsolete le vecchie vie di comunicazione, questo è un territorio vocato alla scoperta turistica, con la città a fare da punto di partenza di itinerari fra storia e natura nelle valli circostanti.
Trovato senza troppe difficoltà un posto tranquillo per il v.r., la visita inizia da Piazza Verdi scendendo lungo la stretta Via del Portone Vecchio per cercare l’arco del Reguscio, in pietra viva, sotto il quale risaliva e pagava dazio la gran parte delle merci dirette verso la città. La lapide abrasa sulla facciata sud dovette celebrare qualche personaggio del potere grigione, e fu resa come altre illeggibile dopo la fine di quella dominazione avvenuta nel 1797. Dalla piazza ci si inoltra quindi nel centro storico passando sotto il portone di Santa Maria, eretto a metà del ‘700, ed entrando in Piazza Pestalozzi. La fontana al centro dello slargo è in pietra ollare, dalle qualità assai particolari, al pari di lapidi, portali e altri elementi decorativi e architettonici che troveremo risalendo Via Dolzino, strada commerciale e asse del nobile nucleo antico, con bei palazzi risalenti al XVI e al XVII secolo. Una laterale sulla destra dà accesso in pochi passi alla graziosa e raccolta Piazza San Pietro, con l’adiacente Palazzo Pretorio. Sullo stesso lato è Piazza Bertacchi con la sede municipale, mentre più avanti Piazza Castello è fronteggiata dalla rude facciata del palazzo Balbiani, che nel ‘400 appartenne ai feudatari degli Sforza. Fiancheggiando la costruzione si giunge all’accesso del parco botanico, mentre al di là della fontana una stradina permette di salire in un’ora al Parco delle Marmitte dei Giganti (vedi riquadro a pagina 67). Verso sinistra, invece, già si scorge il ponte che porta al di là del Mera e alla zona di archeologia industriale dove si svilupparono diverse attività che sfruttavano l’energia delle acque correnti: la più importante di queste, svoltando a sinistra prima del ponte, è il Mulino della Bottonera risalente al 1868, un gioiello anche di carpenteria divenuto museo dopo il restauro.
Ritornati a Piazza Castello e imboccata Via Picchi siamo in breve alla chiesa di San Lorenzo, già esistente nella seconda metà del X secolo, dove sono custoditi due capolavori che da soli valgono il viaggio. Il primo è la grande vasca del battistero scolpita alla metà del XII secolo in un unico blocco di bella pietra ollare, adornata con sobrie sculture dal chiaro simbolismo. Un cortile interno dà invece accesso al Museo del Tesoro, dove il pezzo più sorprendente è la copertina di un evangeliario nota come Pace di Chiavenna, in quanto usata anticamente per il bacio della pace nelle liturgie solenni: nell’armonica composizione spicca la raffinatezza degli smalti e delle filigrane in oro, ma anche dei simboli degli evangelisti sbalzati su lamine auree, insieme a perle e a più specie di gemme con incisioni di fattura anche araba. Un pezzo quasi senza uguali che lasciò incertezza su epoca e provenienza, a meno di non dare fiducia alla tradizione che la vuole omaggio di un vescovo il quale accompagnava Federico Barbarossa in visita alla città. Dono principesco e motivazioni non disinteressate, viene da pensare, essendo la città guardiana dei passi che fin dall’epoca dei Romani collegavano nel modo più diretto la Pianura Padana con il lago di Costanza e le piane del Danubio. Passeggiando tra i monumenti sarà giunta l’ora di cena, e vi consigliamo di dirgervi al Viale Pratogiano dove vi resterà solo da scegliere fra i vari crotti che si trovano alle pendici del monte. All’interno di queste cavità, qualche preistorica frana lascia filtrare tra i suoi interstizi correnti d’aria costanti in ogni stagione sia per umidità che per la temperatura, fra i 6° e gli 8°C. Chiuse con qualche muro e una porta, nacquero così delle vere ghiacciaie fatte apposta per conservare o far maturare vini, formaggi e salumi. Molti crotti sono privati, ma ve ne sono anche di pubblici e se ne trovano in vari paesi di queste valli, luoghi d’elezione di un mangiar rustico in compagnia basato su poche essenziali portate, dove è difficile manchino i gustosi pizzoccheri o una polenta taragna; ma anche centri di naturale socializzazione, come qualcuno bene interpretò scrivendo nel ‘700 su un muro “Si vende vino bono e si tiene scola de ummanità”.
Prima di rimettersi in marcia, una breve escursione (fattibile anche in mountain bike o a piedi via sentiero) ci permetterà di salire a un villaggio distante circa 4 chilometri, che regala una topografica veduta sulla città e sulla valle. Pianazzola, vera oasi del silenzio, gode di una soleggiata esposizione a sud, e le sue stradine a ciottoli meritano una piccola esplorazione tra abitazioni ancora dotate dei vecchi ballatoi in legno.

Tra chiese e cascate
Ad est di Chiavenna la statale 37 sale nella Val Bregaglia, da cui provengono le limpide acque della Mera. Sino alla frontiera svizzera si tratta di una decina di chilometri che in località Prosto, raggiungibile con una deviazione sulla sinistra, offrono un primo motivo di sosta nella cinquecentesca Villa Vertemate Franchi, che fu di un’abbiente famiglia con dimora principale nel centro di Piuro. Il complesso (preceduto da un comodo parcheggio) appare di disegno sobrio negli esterni ed è dotato di cospicui annessi agricoli che ricordano le ville rinascimentali toscane e quelle rustiche di Roma antica, ma il clou è costituito dagli interni, riccamente affrescati con temi mitologici legati alle opere di Ovidio, e negli sbalorditivi soffitti intagliati. L’edificio ebbe la ventura di scampare alla catastrofica alluvione di fango che il 4 settembre 1618 scivolò dall’alto monte dirimpetto, coprendo per sempre il paese con i suoi 900 abitanti: così finirono i palazzi e la ricchezza di Piuro dovuta alla seta, al commercio, ai dazi assicurati dal transito delle merci.
Tornati sulla statale, occorre attraversare la Mera per raggiungere l’Hospitale e la chiesa di Santa Maria, eretta dopo il 1572 per commemorare l’apparizione della Madonna a una giovane lavandaia. Oltre l’adiacente piazzale si trova un laboratorio dove si potranno ottenere molte informazioni da uno degli ultimi artigiani e artisti della pietra ollare: la quale, va ricordato, veniva usata non soltanto a fini decorativi ma anzitutto per tornire le pentole, un tempo usate in tutta la valle.
A Borgonuovo il piccolo museo allestito nella sacrestia della chiesa di Sant’Abbondio è dedicato ai reperti recuperati durante gli scavi sul sito di Piuro; tra altri documenti è esposto lo scheletro – quasi una reminiscenza pompeiana – di un uomo che tende in avanti i palmi delle mani per proteggersi d’istinto dalla massa di fango. Nelle adiacenze sorge un campeggio, l’unica struttura ricettiva all’aria aperta del Chiavennate. Poco oltre, l’ameno spettacolo delle cascate dell’Acquafraggia si osserva già dalla nazionale, ma conviene prendere la successiva svolta a sinistra per arrivare all’area attrezzata situata ai piedi di due salti d’acqua gemelli, provenienti dall’emissario di un laghetto di origine glaciale oltre quota 2.000.
L’abitato di Santa Croce prese nome dalla chiesa, nota già nel 1100, che si trova lungo la strada e che aveva in origine pianta circolare. La bella ancona lignea di fine ‘400 è del tedesco Yvo Strigel, molto attivo all’epoca nei Grigioni. Dal vicino ponte si può passare alla sponda opposta del fiume, dove alla confluenza con un altro torrente si trova San Martino, che serba notevoli affreschi e della quale si lascia ammirare l’elegante sagoma dell’alto campanile a bifore. Villa di Chiavenna, sede della stazione doganale, domina un azzurro bacino idroelettrico dove la Mera si concede una pausa prima di riprendere la sua corsa verso il Lago di Como.
Proprio seguendo il fiume verso sud, tornati a Chiavenna e lasciato il camper in favore delle bici, su strade poco frequentate si procede in direzione del Lago di Mezzola. La Via Trivulzia, parallela alla statale 36, attraversa la piana bonificata al tempo degli Sforza dall’avventuroso Gian Giacomo Trivulzio, che fu anche maresciallo di Francia. Con l’opera di bonifica il condottiero intendeva anche favorire i commerci tra Milano e i valichi d’oltralpe, tracciando due canali navigabili per avvicinare a Chiavenna le merci trasportate sulle vie d’acqua: il Lario si era infatti sempre più allontanato per effetto di esondazioni e interramenti causati dal Mera e dall’Adda, tanto che dell’antico abitato di Samolaco (dal latino summo lacu, al vertice del lago) era restato quasi solo il nome. In vista del Ponte Nave si svolta a destra e si segue l’indicazione per Casenda, prendendo poi lo sterrato sulla sinistra. Dopo meno di un chilometro si incontrano i suggestivi resti di San Giovanni all’Archetto, con il sentiero che in 3 chilometri conduce a San Fedelino. Il semplice e grazioso edificio venne costruito verso la metà del X secolo dopo il ritrovamento delle reliquie di San Fedele, un soldato romano martirizzato nel III secolo sotto l’imperatore Massimiano. Per visitare l’interno, dove si trovano interessanti affreschi, bisogna programmare la visita per il sabato o la domenica, partendo dal ristorante La Barcaccia dalla cui banchina la gita può essere compiuta anche in barca. Si rientra per la stessa strada dopo aver percorso in tutto, fra andata e ritorno, una trentina di chilometri.

La via del passo
Ripreso il mezzo a Chiavenna, risaliamo ora la Valle Spluga. Dopo il paese di San Giacomo Filippo facciamo la conoscenza del suggestivo santuario di Gallivaggio, dal torreggiante campanile. Al di là del cristallo sottostante l’altare si può osservare il masso su cui la Madonna avrebbe posto il piede nell’apparire a due giovanette che raccoglievano castagne, avvenuta il 10 ottobre 1492 (giusto per inquadrare l’epoca, vale la pena ricordare che due giorni dopo Cristoforo Colombo avrebbe scoperto l’America). Una gigantesca e inquietante parete rocciosa domina gli spazi del parcheggio.
In questa profonda valle e nelle laterali i villaggi sono composti di piccoli gruppi di case. Così quello di Vho, nei cui paraggi il misterioso intaglio geometrico della roccia, detto Scribaita, sollecita da quasi un secolo le interpretazioni degli studiosi. A Campodolcino, invece, nella lunga striscia pianeggiante a lato dal torrente si sussegue una serie di frazioni alcune delle quali possiedono un proprio dialetto, chiamato brì. In quella di Portarezza c’è ancora qualche anziano che ricorda e tramanda l’usanza di mandare il prossimo a quel paese servendosi di maledizioni esagerate e pittoresche, come “che tu possa trovarti di gennaio al Pizzo Stella (oltre i 3.000 metri, ndr) con la tramontana, camicia bagnata e sbarra di ferro in mano”, o anche più feroci come “che tu possa avere una nidiata di topi nel cervello che ti faccia capolino dagli occhi”.
Presso il bivio di Fraciscio il cosiddetto ponte romano sostituì nel ‘700 quello medioevale travolto dal torrente Rabbiosa, su cui passava una storica mulattiera. La Ca’ Bardassa di Fraciscio, bella abitazione rustica del ‘700, è stata restaurata per essere adibita a museo delle tradizioni locali. Dal paese, al termine dell’asfalto, si può raggiungere con una facile escursione di circa 2 ore e 650 metri di dislivello il Lago Angeloga (2.040 m), dove si incontra il Rifugio Chiavenna.
Campodolcino è stazione di sport invernali, essendo collegata da una funicolare sotterranea direttamente alle piste di Madesimo. Appartiene invece ai tempi del turismo della Belle Époque il grande edificio decaduto dell’Albergo Posta, ricostruito nell’800 come stabilimento climatico e idroterapico con sale da ballo, musica, biliardo e giardino d’inverno.
Proseguiamo verso il Passo Spluga attraverso la variante lievemente più lunga che tocca Isola, punto di sosta sull’antica mulattiera. La locanda Cardinello, alle soglie del villaggio, è un ampliamento dell’edificio già esistente nel ‘700. Dalle frazioni sovrastanti si può raggiungere in circa 2 ore di cammino il Pian dei Cavalli, tra 2.000 e 2.200 metri, dove sono stati rinvenuti siti archeologici con reperti che attestano la presenza di insediamenti umani risalenti a 10.000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione.
Lasciata Isola e superato anche il bivio per il tunnel che porta a Madesimo, saliamo fino al Lago di Montespluga, dove parcheggiamo il veicolo ai piedi dell’angolo sinistro della diga per salire alla sommità e proseguire fino a un altro sbarramento, presso il quale si innesta il sentiero che proviene dal passo. Di qui l’antico tracciato scende tortuosamente a mezza costa delle gole del Cardinello: qui si verificò nell’anno 1800 il disastro del generale napoleonico Mc Donald, che sotto una tempesta di neve vide precipitare nel burrone un centinaio dei suoi uomini con equipaggiamento e animali.
L’odierna rotabile si tiene invece alla destra del lago per raggiungere il piccolo abitato di Montespluga, dove l’antica Ca’ della Montagna (oggi Hotel Vittoria) fu rifugio di viandanti smarriti e bestie da soma, spesso salvati dalla campana che veniva suonata in caso di nebbia e neve. A qualche chilometro, ma 200 metri più in alto, c’è il valico doganale fiancheggiato dalle due cime del Tambò e del Suretta, oltre quota 3.000. Il passo perse traffico e importanza nel XIX secolo, quando le nuove carozzabili privilegiarono il settore occidentale delle Alpi. Nella seconda metà dell’800 il transito delle merci decrebbe progressivamente fino ad azzerarsi con l’apertura, nel 1882, del traforo ferroviario del Gottardo. Per far risorgere lo Spluga si immaginarono espedienti anche di pura fantasia, come un tunnel con locomotive ippotrainate per evitare ai passeggeri il fumo delle locomotive, oppure l’attraversamento del valico con vasche di sollevamento, come avviene dal 1914 nel Canale di Panama. Ai camper, certamente, nessuno aveva pensato: e mentre ridiscendiamo verso la Valchiavenna per riprendere la via di casa finiamo con il sentirci un po’ pionieri.

PleinAir 436 – novembre 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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